Originariamente Scritto da
axeUgene
vedi, tu enunci queste formule, senza renderti conto della loro contraddizione logica; vediamo:
benissimo, anche se il concetto di Paolo è un po' diverso: lui dice che la fede - ossia quella Grazia di cui si parla - non è un merito, in quanto dono di Dio; questo è un concetto diverso, che non esclude quello che enunci tu, dicendo che la Grazia non viene elargita per meriti;
fin qui, ci siamo ?
bene; ma allora mi devi spiegare che differenza ci sarebbe tra un credente ed un non credente che facciano buon uso del loro libero arbitrio e, soprattutto, perché Dio faccia quel dono ad alcuni e ad altri no;
perché qui i casi sono due: o
a) il credere distingue in modo essenziale e imprescindibile - nulla salus extra ecclesiam, non c'è salvezza al di fuori della Chiesa; ma, siccome quel credere è deciso da Dio stesso con un suo intervento su ciascuno di noi, e questo sarebbe la negazione del libero arbitrio; cioè, si è pii per decisione di Dio, e non per proprio merito, come afferma Paolo; cioè, ci si salva per sola fede, sentimento, come concludono Agostino e Lutero, e che ciò sia unicamente imputabile ad una scelta di Dio; oppure
b) nel giudizio di Dio conta effettivamente l'uso che ognuno fa del proprio libero arbitrio nel proprio agire;
ma, se così fosse, sarebbe la Grazia della fede ad essere irrilevante, prescindibile, dispensabile, e così tutta la stessa necessità di Cristo e lo stesso intervento divino nel conferire quella Grazia; cioè, sarebbe la possibilità di salvarsi per sola ragione, anche non avendo ricevuto il dono della fede, la Grazia;
cioè, in soldoni, un non credente si salverebbe agli occhi di Dio se, obbedendo solo alla propria coscienza, seguisse il precetto morale evangelico, pur non credendo alla divinità e alla resurrezione di Cristo; le quali, però, diventerebbero accessorie, prescindibili; è possibile ?
beh, in questo modo, quel merito che Paolo caccia dalla porta, lo fai rientrare dalla finestra, e allora ti tocca argomentare in smentita di quella dottrina;
cioè, da cosa dipende quell'accogliere o rifiutare di cui parli sempre ? se affermi che dipende dalla nostra libertà, stai negando che quella fede che induce ad accogliere sia un dono discrezionale di Dio, e quindi fai ricadere la responsabilità sulla persona;
d'altro canto, se invece ritieni essenziale l'intervento divino sul sentimento della persona, stai affermando che in ultima analisi, il nostro comportamento è decisione di Dio, e pertanto non possiamo essere imputabili, né giudicabili, e siamo, in effetti, burattini, predestinati; con l'importante differenza, questa sì rilevante, del sentimento col quale viviamo questa condizione, che è appunto il filone paolino-agostiniano-luterano;
Pietro non era libero di non rinnegare Gesù, ma era, evidentemente, predestinato; altrimenti, avrebbe smentito la prescienza divina; ma è stato perdonato perché ha vissuto quella circostanza obbligata con un sentimento di sofferenza, da subito, nell'incredulità;
se valesse il criterio del libero arbitrio, si dovrebbe concludere per una colpevolezza di Pietro; altrimenti, se il perdono fosse indistintamente per tutti allo stesso modo, non si vede in cosa distinguere Bene e Male;
il punto che ti sfugge è che nel momento in cui postuli il libero arbitrio, sottrai all'onnipotenza divina quell'ambito di libertà umana - quindi neghi la stessa onnipotenza: c'è qualche foglia che si muove malgrado Dio, e contro il suo volere - dato che anche l'ottriazione divina di quella libertà sarebbe pur sempre una decisione compiuta nella prescienza di ciò che accadrà, a meno di contestare l'onniscienza divina;
e questo è solo uno dei tanti profili contraddittori di tutto il sistema.