Il cardinale tedesco Nikolaus Krebs von Kues, teologo e filosofo, noto da noi col nome italianizzato Nicola Cusano, è anche conosciuto per la sua originale elaborazione della “teologia negativa”, dottrina secondo la quale al concetto di Dio ci si avvicina negando quello che egli non è.

Cusano espone la sua tesi nel 1440 nel saggio “De Docta Ignorantia”, titolo che afferma di aver ripreso da un passo della “Lettera 130 (a Proba)” attribuita ad Agostino, vescovo di Ippona.

Il titolo è un ossimoro: ignorante è l’individuo che non può conoscere Dio, ma la sua ignoranza può essere definita dotta perché è consapevole che Dio, Essere perfetto ed infinito, è inaccessibile alla nostra conoscenza.

Nel 1449 questo cardinale pubblicò un altro saggio “Apologia doctae ignorantiae”, titolo che evoca il suo precedente elaborato.

Cusano afferma che sapiente non è colui che possiede la verità, ma colui che conosce la propria ignoranza, ed è quindi consapevole dei propri limiti; non si può infatti essere consci della propria ignoranza senza avere già parzialmente o inconsciamente intravisto cos'è che non si sa; viceversa, l'ignorante assoluto non ha neppure coscienza della propria ignoranza.
In questo senso il cardinale tedesco si collega a Socrate nell'affermare che è essenziale “sapere di non sapere”, e tale è per gli uomini l'unica maniera possibile per pensare a Dio.
La massima socratica: "quanto meglio uno saprà che non si può sapere, tanto più sarà dotto."

Cusano è consapevole che il logos (la ragione umana) non può andare oltre il finito e l’individuo non potrà mai conoscere Dio finché è parte del finito, e dunque finché è in questa vita.

Se Dio è la perfezione assoluta e infinita, niente di quello che l'uomo può sapere e imparare raggiungerà questa perfezione: la perfezione assoluta compete solo a Dio. L'intelletto umano è per natura finito e limitato in capacità conoscitive, ciò che conosce non potrà mai essere in realtà corrispondente ad una vera e profonda comprensione della totalità dell'esistente.

Cusano afferma che il processo di conoscenza tende a instaurare una proporzione tra ciò che già è saputo e ciò che si deve ancora sapere, una proporzione tra il noto e l'ignoto. Proprio per questo la conoscenza procede gradualmente nel sondare il buio dell'ignoto, grandi e improvvisi balzi in avanti non sono possibili, poiché non avremmo comunque basi solide per rapportare ciò che conosciamo all'enorme baratro nel non conosciuto: se non conosciamo quanto ancora ci è ignoto, impossibile conoscere quanto realmente conosciamo in un determinato momento, non abbiamo termini di paragone.