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Discussione: Mente cosmica (Coscienza cosmica) e teoria del Campo Unificato

  1. #346
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    Sbagliato.

    La differenza tra "attitudine maschile" e "attitudine femminile" è data dall'emisfero sinistro e dall'emisfero destro del nostro cervello.

    si. sarebbe come dire che i mancini sono tutti froci e le mancine tutte virago. purtroppo non è così...

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    Trilogia di Matrix:
    Morpheus rappresenta la nostra parte "maschile"...l'emisfero sinistro del nostro cervello.
    Trinity rappresenta la nostra parte "femminile"...l'emisfero destro del nostro cervello.
    Neo rappresenta la nostra "consapevolezza".

    si. mi rimangio quello che ho detto in altra sede. matrix è meglio del vangelo. e guai a chi non capisce di cinema. ovviamente ciò non toglie che siamo "tutti critici cinematografici", perché anche marsellus vuole la sua parte.

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    A livello generale si può affermare che l'emisfero sinistro del cervello è "l'ingegnere": oltre ad essere specializzato nei processi linguistici, comanda in quelli sequenziali e nella percezione-gestione degli eventi che si susseguono nel tempo, come ad esempio la concatenazione logica del pensiero; in altri termini, il cervello ingegnere è maggiormente qualificato nella percezione analitica della realtà.

    guarda. credo che la differenza tra i due emisferi sia una nozione abbastanza artefatta. io mi preoccuperei di distinguere tra "i cervelluti" e i "deficienti". direi che sarebbe già qualcosa. ovviamente donne escluse. ovviamente.

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    L'emisfero destro, invece, è il "poeta", più specializzato nell'elaborazione visiva e nella percezione delle immagini, nella loro organizzazione spaziale e nell'interpretazione emotiva; più sommariamente, al cervello poeta spetta la percezione globale e complessiva degli stimoli.
    si. e come mai non tutti diventano "poeti"? ma poi che cavolo ci vuole a scrivere come pavese o calvino? lo possono fare tutti. o almeno tutti gli "alfabetizzati". non capisco, ma forse la memoria "collettiva" è stata come dire, un po' costruita, nel senso che un poeta è più importante di un lavoratore, e da quegli stessi che hanno a suo tempo mandato in malora il paese perché non era un paese di soli lavoratori...mah.

  2. #347
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  3. #348
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    Anatomia della Coscienza Quantica

    “Nulla esiste nell’universo che non sia nel corpo umano, nulla esiste nel corpo umano che non sia nell'universo.”
    (cit. in Medicina Quantistica, pref. di Franco Fraschini)

    Coscienza quantica: due parole apparentemente difficili, quantomeno di complessa definizione, per esprimere qualcosa che in realtà è probabilmente molto più intuitivo che razionale e sottende la nostra più intima essenza.

    Domande come “chi siamo?”, “da dove veniamo?”, “dove andiamo?”, “cosa c’era prima del Big Bang?”, “se l’universo contiene tutto, cosa contiene l’universo?” e via così, fino a “c’è qualcosa dopo la morte? E prima della nascita?”... domande come queste forse le riteniamo buone per i filosofi, gli adolescenti e i matti, categorie talora anche sovrapponibili. Eppure chi di noi non se le è mai poste?

    Poi, la routine della vita, con le sue concrete illusioni – illusioni per gli uomini dei Veda, concrete per noi che abbiamo le bollette da pagare a fine mese – dilava la nostra iniziale e universale inclinazione metafisica e ci porta giù, molto più giù, fino al sonno profondo di chi non si pone più domande di questo genere.

    È spesso allora che giunge una malattia, un dramma, un fallimento, un lutto. E chi lo vive ecco che torna a porsele, queste domande. Se le pone... oppure muore, nei vari sensi che si possono dare alla morte.

    Si muore anche per assenza di coscienza o di passione, come sapeva bene Pablo Neruda.

    Si vive grazie a essa, quella facoltà misteriosa che nella sua più basica manifestazione è collegata alla veglia, all'attenzione, alla concentrazione e nelle sue pieghe più profonde attiene ai confessionali, ai misteri degli alchimisti e in qualche caso anche allo studio dello psichiatra, soprattutto se lo psichiatra è uno di quelli che questo genere di domande non hanno smesso di porsele.

    Appartengono alla stessa categoria di quesiti anche quelli del genere: “perché alcuni si ammalano e altri no?”, “perché proprio in quell'organo e non in un altro?”, “perché alcuni guariscono e altri no?”, “perché se dico ai miei capelli di crescere o al mio grasso di scomparire non accade e invece senza dire nulla una ferita guarisce?”, e così via... Lo ammetto, credo di avere scelto, tantissimo tempo fa, posto che il tempo esista, di fare la psichiatra per essere certa che non avrei mai smesso di pormi domande.

    La mia professione è stata fin dall'inizio il migliore dei pretesti per continuare a stare a contatto con i misteri.

    E sono stata molto fortunata o molto lungimirante, a seconda che crediate nel caso, nella sincronicità o nella co-creazione della realtà, concetto di cui non potremo fare a meno di parlare anche in questo libro. Mi è andata bene: perché oggi è la scienza stessa, con le più recenti acquisizioni di neuroscienze e fisica quantistica, a condurci al principio, in realtà antico, per il quale noi siamo un campo energetico emotivo, che si manifesta per mezzo di un corpo.

    La medicina ufficiale ha già riconosciuto, meglio tardi che mai, il ruolo che la psiche ha nell'insorgenza di molte patologie. I cardiologi hanno evidenziato ad esempio come la personalità di tipo A (competitiva, aggressiva) correli con l’infarto, come la depressione correli con l'ipercortisolemia e lo stato infiammatorio cronico alla base di molte patologie neurodegenerative e oncologiche, e così via.

    Anche il ruolo che la psiche potrebbe avere nel migliorare lo stato di salute di una persona e nel favorirne l'autoguarigione è salito all’attenzione della medicina istituzionale, tanto da far parlare Umberto Veronesi, durante un discorso ufficiale tenuto al Parlamento, dell’importanza dell’Anima nella medicina e da fargli scrivere testualmente, nel sito dell’Istituto Europeo Oncologico di Milano (a proposito di un progetto che vede l’applicazione della psicoterapia di gruppo con i pazienti oncologici), che “la mente gioca quindi un ruolo da ‘antitumorale’ non poco efficace” e che “la depressione clinica non è un disturbo solo psicologico, ma una malattia che può indebolire l’organismo anche sul piano biologico”.

    Ma, nonostante questo, ancora oggi, la scienza, l’amata scienza del nostro secolo, avanza inesorabile fino alle domande che la mettono in scacco, come il cavaliere che corre veloce per sfuggire la morte fino a Samarcanda, dove la morte lo aspetta.

    È la scienza a dirci che, se teniamo presente come una verità scientifica non sia altro che la migliore spiegazione che possiamo produrre attualmente per interpretare e predire degli eventi, allora dobbiamo ammettere che la visione materialistica della realtà non permette di comprendere, spiegare e tanto meno predire una svariata serie di fenomeni che vanno dal perché una persona si ammala, e proprio in quell'organo, al perché il corpo invecchia, visto che le cellule continuano a rinnovarsi e replicarsi; dal perché alcune cellule improvvisamente diventano “tumorali” al perché accadono guarigioni straordinarie; da come funziona davvero il placebo, e in che modo attivarlo in tutti gli individui al massimo del suo potere, fino a domande cosmologiche come quelle che si pone il biologo Robert Lanza, insieme al fisico Bob Berman, nel libro Biocentrismo, del tipo: “cosa c’era prima del Big Bang?”, oppure “dove si trova l’universo?”; e ancora: “come mai tutte le costanti calcolate nell'universo indicano che esso è finemente accordato per favorire la vita esattamente così come è?”.

    È la scienza a dirci che, continuando a partire dal presupposto che la vita e la coscienza siano sottoprodotti casuali di leggi fisiche, ha finito per arenarsi in teorie non verificabili o sparire in quel 96% di universo formato da materia oscura ed energia oscura, le quali praticamente non sappiamo cosa siano, ma a quanto pare la fanno da padrone in quella che chiamiamo realtà.

    E se fosse tutto il contrario? Se la vita e la coscienza fossero alla base di tutto? Se non fossero saltate fuori da una giocata fortunata ai dadi del cosmo, o per l’urto un po’ più forte di qualche “pallina” atomica, così come ci hanno insegnato a scuola? Se la vita e la coscienza fossero l’informazione del campo stesso in cui si manifestano?

    “Cabalisti e alchimisti di tutto il mondo unitevi!”: mai come oggi le scienze di frontiera, fisica quantistica, neuroscienze, giungono proprio a sfiorare concetti che abitano da sempre la mistica, l’alchimia, lo sciamanesimo, l’insegnamento vedico, buddista, zen, taoista.

    Sappiamo, infatti, che ciò che noi percepiamo come reale è l’espressione della percezione della nostra coscienza: il comportamento delle particelle subatomiche che costituiscono la materia è irriducibilmente connesso con la coscienza che lo osserva, senza la quale la materia non sarebbe che un’onda di probabilità tra infinite onde. Tempo e spazio non sono dimensioni esterne a noi e indipendenti, non sono qualcosa di fisico e reale, ma sono schemi interpretativi della nostra mente cognitiva che modella le percezioni in chiave tridimensionale.

    Sappiamo che il nostro cervello può funzionare su differenti piani di coscienza, fino a quegli stati di improvvisa lucidità e connessione nei quali il tempo svanisce, gli oggetti perdono la loro individualità e nulla nell’essere è più separato dal resto, in una percezione finalmente omnicomprensiva.

    Alle frontiere della scienza d’avanguardia più rigorosa, apparecchi ed esperimenti sempre più raffinati permettono di studiare le emissioni elettromagnetiche anche nei sistemi biologici, aprendo la strada a una nuova medicina che si evolve attraverso la fisica dei quanti e la neuroquantistica.

    Le ricerche degli ultimi decenni ci conducono in un’unica direzione: vedere l’essere umano prima di tutto come sede di fenomeni energetici. La natura biologica vive di segnali che agiscono a distanza e istantaneamente da cellula a cellula, da molecola a molecola, nel DNA, nell’acqua informata del nostro corpo: è così che una sostanza riconosce il suo recettore da qualche parte nell'organismo e agisce proprio dove deve agire.

    L’esistenza di codici di riconoscimento è stata messa in evidenza in primis nel DNA ma ormai è ben nota la sua presenza in tutte le biomolecole, che dunque non interagiscono a caso, ma secondo pattern di comunicazione ben precisi.

    Immaginate una molecola, che a partire da distanze infinitesime dell’ordine di pochi Angstrom (1 Ǻ equivale a 1 centomilionesimo di centimetro), viaggia in tutto il corpo, magari dall'ipofisi fino al suo recettore nei surreni e non sbaglia, mai.

    L’unica forza in grado di interagire sia nell'infinitamente piccolo, con le molecole, sia coprendo lunghe distanze, è la forza del campo elettromagnetico che, infatti, è stato dimostrato giocare un ruolo fondamentale per la coesione della sostanza liquida e solida.

    Esiste allora un livello elettromagnetico della materia, una dimensione sottile della materia stessa che dialoga con le dimensioni dense, biochimiche e le regola.

    Ma questo non riecheggia potentemente l’idea insita nel biblico: “E in principio fu il Verbo”?

    In principio segnali impalpabili immateriali, onde, vibrazioni (e la voce non è forse vibrazione? la parola non è forse suono?) e da essi il risultato materico: parafrasando Niels Bohr, che soleva dire “se la meccanica quantistica non ti ha provocato un forte shock significa che non l’hai capita bene”, se avete capito bene ciò di cui stiamo parlando, non potete non provare una vertigine. Ma, per quanto mi riguarda, una vertigine piacevole ed elettrizzante, appunto.

    Per comprendere la biologia davvero a fondo, la biochimica non può bastare, è necessario penetrare i meccanismi e i processi biofisici che abitano al di sotto di essa.

    I “meccanismi che sottendono i meccanismi” sono le leggi dell’energia, che governano la materia: la vita appare così dominata non già da fenomeni chimici, che si susseguono nel tempo e nello spazio, ma da una rete fittissima di segnali biofisici istantanei e non locali che regola gli effettori biochimici.

    Per chi studia e applica con atteggiamento scientifico (nel senso di sperimentale, empirico, basato sull'efficacia dei risultati) le medicine cosiddette complementari, o tradizionali – medicina cinese, agopuntura, medicina ayurvedica – ma anche approcci a mediazione corporea, fitoterapia, omeopatia, e tutti gli approcci in passato definiti complementari (peraltro anche oggetto del piano di sviluppo WHO Traditional Medicine 2014-2023, che vede come obiettivo per tutti gli Stati membri l’introduzione di questi approcci, testualmente definiti come “una parte sottostimata delle cure mediche”) nella sanità pubblica, risulta evidente il ricollegarsi profondo di queste antichissime discipline alle più recenti scoperte della fisica dei quanti.

    Oggi, infatti, la scienza ha dovuto ricredersi e accettare queste discipline con radici popolari, considerate superstizione in passato e oggi viste invece come saggezza, tanto da avere medici che le studiano: come il dott. Alberto Laffranchi, radiologo ma anche omeopata, che da anni all'Istituto dei Tumori di Milano cura e fa ricerca clinica sulla integrazione delle cure omeopatiche e fitoterapiche nella patologie tumorali, con risultati in alcuni casi stupefacenti e pubblicati su riviste scientifiche; o come il prof. Maurizio Grandi, oncologo di Torino che, nel suo centro La Torre, da anni opera in maniera integrata con terapie convenzionali, fitoterapiche, omeopatiche; o ancora il prof. Franco Berrino, che ha creato un centro di alimentazione macrobiotica a Milano e introdotto i concetti orientali dell’alimentazione come energia e della meditazione all'Istituto dei Tumori di Milano. Ma ormai anche nel sito dell’Anderson Cancer Center, considerato dagli oncologi uno dei centri di riferimento mondiale, si trova una sezione dedicata all'integrazione della chemioterapia con fitoterapia e omeopatia.

    È chiaro che queste medicine concepiscono l’uomo come abitato non solo da processi biochimici e molecolari, ma prima ancora da fenomeni biofisici e vibrazionali, nei quali rientrano l’elettromagnetismo, i concetti di frequenza, di risonanza, di interferenza costruttiva e distruttiva, e così via.

    Del resto, anche nel cuore della medicina convenzionale occidentale queste energie nascoste, in realtà centrali nell'atomo e nella vita stessa, vengono già utilizzate da tempo: la risonanza magnetica nucleare, come dice il nome stesso, sfrutta il principio di risonanza degli atomi di idrogeno che compongono i tessuti per indagarne forma e struttura; l’elettrocardiogramma e l’elettroencefalogramma misurano appunto segnali elettrici provenienti dall'attività del cuore e del cervello; e ancora pensiamo alla radioterapia e alla adroterapia, ai trattamenti con ultrasuoni, e così via...

    Nulla di nuovo sotto il sole, dunque: qual è allora la novità?

    La novità sta semplicemente nel fatto di considerare le implicazioni di tutto questo: noi utilizziamo energie fisiche, e non solo sostanze chimiche, per interagire con i sistemi biologici e anche per quanto riguarda le sostanze farmacologiche parliamo di farmacodinamica, cioè dell’insieme delle interazioni tra farmaci e recettori, oltre che di farmacocinetica.

    Tutto questo, se capiamo bene di cosa stiamo parlando, non ci può che condurre a considerare, proprio da un punto di vista scientifico, la rilevanza dell’energia nella nostra vita biologica.

    Possiamo e dobbiamo a questo punto vedere l’organismo anche come un complesso di frequenze elettromagnetiche, di fenomeni di risonanza, fino a giungere a quelle che vengono chiamate energie deboli, ma che in realtà sono fondamentali nel mondo dell’infinitamente piccolo e fanno parte delle forze che regolano l’universo: forza gravitazionale, comune a tutta la materia, secondo la quale tutti i corpi materiali si attirano reciprocamente; forza nucleare forte, che agisce all'interno dei nuclei atomici tenendo assieme protoni e neutroni; e le due forze deboli: forza elettromagnetica, prodotta dalle cariche elettriche, sia attrattiva che repulsiva; forza nucleare debole, che agisce all'interno dei nuclei atomici ed è responsabile della radioattività.

    L’interrelazione e la sintesi tra fisica e medicina ci conducono a integrare potentemente il dato fisico nel sistema biologico: a partire dalle reminiscenze della fisica scolastica per giungere alla relatività di Einstein, alla ricerca sui biofotoni di Popp, fino al rapporto nucleoni/fotoni nell'atomo scoperto dal premio Nobel Rubbia e che ci conduce a vedere l’atomo come sostanzialmente fatto di vuoto per il 99%.

    È così che si aprono orizzonti nuovi e potenti per l’indagine profonda degli stati di salute e malattia e per altrettanto profondi interventi terapeutici alla radice più intima della nostra biologia e della nostra coscienza, così strettamente intrecciate, come gli studi che Ventura svolge a Bologna sui campi elettromagnetici.

    La medicina potrebbe ambire realmente alla possibilità di agire prima che una malattia si manifesti, di predire la comparsa di sintomi ed evitarli, di evitare recidive penetrando i meccanismi energetici sottesi al sintomo, con un approccio anche meno cruento e meno colmo di collateralità, come accade a tutt'oggi con molte terapie mediche chirurgiche e farmacologiche.

    In questa logica, la patologia che appare nel manifesto come alterazione della struttura molecolare di un corpo, rimanda necessariamente a un’alterazione della rete elettromagnetica.

    Il salto misterioso dalla mente al corpo sembra trovare nel campo elettromagnetico un orizzonte di nuova comprensione: in fondo il pensiero corrisponde a un’attività cerebrale, elettromagnetica, misurabile... perché dunque non considerare persino quasi ovvio che il pensiero sia in grado, in quanto segnale elettromagnetico, di interagire con la materia?

    Possiamo dunque intervenire sul piano dell’alterazione biochimica e molecolare, e questo è ciò che già sappiamo fare, con l’uso di sostanze chimiche da assumere, o possiamo agire sul piano elettromagnetico, sia con frequenze elettromagnetiche sia con una sorgente psichica di frequenze, o fare entrambe le cose.

    Pensate all'uso dei mantra nelle medicine orientali: vibrazioni sonore che si trasmettono alla rete elettromagnetica dell’organismo... Ecco il senso e l’importanza del sottoporre alla ricerca e allo studio rigoroso tutte quelle medicine cosiddette in passato complementari, diffusissime in tutto l’oriente del mondo e praticate da un numero sempre maggiore di persone e di medici, così come del procedere nella ricerca sulla medicina quantistica: oggi disponiamo della comprensione scientifica dei meccanismi attraverso i quali esse agiscono, comprensione fino a pochi anni fa carente.

    Dunque oggi possiamo intervenire sul piano energetico, applicando direttamente dall’esterno campi elettromagnetici, come nelle magnetoterapie, nell'elettroagopuntura, nelle terapie Bicom, Seqez, Diacom, Metatron, Ak-Tom, Papimi, e così via; oppure intervenire in modo indiretto sui segnali elettromagnetici attraverso quel generatore di elettromagnetismo che è il nostro cervello e forse, ancora più potentemente, il cervello del nostro cuore, il cervello del nostro intestino e il cervello alla membrana di ogni cellula.

    Tutto questo si ritrova nelle intuizioni dell’alchimia, dello sciamanesimo, del buddismo, della medicina cinese, ayurvedica, vietnamita, tibetana, nella cabala, e così via; ma oggi diviene, come ha scritto nel libro Medicina quantistica il prof. Franco Fraschini (Ordinario di Farmacologia presso la facoltà di Medicina dell’Università di Milano), “materia con solide basi scientifiche che può, secondo noi, a pieno titolo transitare con tutto rispetto nella medicina ufficiale e nella scienza”.

    Oggi i segnali elettromagnetici di cui vive la natura possono essere infatti misurati, persino memorizzati e riprodotti per essere restituiti a un tessuto, a un organo, alle cellule di cui è composto: questa è scienza, d’avanguardia, ma scienza.

    Nella prefazione al già citato testo Medicina quantistica, testo prezioso e rigoroso di Piergiorgio Spaggiari e Caterina Tribbia (entrambi laureati sia in fisica che in medicina e rispettivamente direttore nel tempo di diverse aziende ospedaliere, docente alla facoltà di Farmacia e ricercatore al CNR l’uno; e medico oculista, docente di biofisica in molte facoltà, l’altra), l’allora Presidente Vicario dell’Associazione Stampa Medica Italiana, Sergio Angeletti, citava un esempio fascinoso per comprendere al volo come i segnali biochimici siano sottesi da una rete biofisica.

    Un maschio di falena agita le sue antenne piumose, sbatte le ali e vola fino a una femmina distante anche undici chilometri: è bastato che una semplice molecola, un feromone – un aroma d’amore, come lo definisce Angeletti – giungesse proprio lì, ai recettori delle sue antenne a farlo volare guidato dall'accrescersi dell’aroma...

    Nel nostro corpo accade così, ogni istante, ogni millesimo di istante, in migliaia di cellule, tra decine di migliaia di molecole: un costante, infinitesimo e infinito dialogo di aromi, segnali, vibrazioni, informazioni. Una vita che vive sotto la nostra vita razionale e conscia, una vita e un’intelligenza interconnessa costantemente molto più che il nostro Web, che le nostre radio e telecomunicazioni, una rete intelligente dove abitano i segreti del cambiamento, della nascita, della morte e della guarigione.

    Una coscienza in grado di orchestrare qualcosa che la mente razionale non può concepire.

    L’alchimista lo sa, come lo sa oggi il medico che sia davvero attento ai progressi scientifici: esistono leggi di natura che sanno perfettamente cosa fare, come e quando.

    Lo sa Loreta, mia paziente, che mi dice durante una seduta: «Sono andata nel mio orto, amo l’orto, amo lavorarci, ci vuole pazienza, ma lì accadono i miracoli. È un miracolo che da un seme si sviluppi una pianta. Lì tutto accade senza interferenze, c’è una verità lì, una forza, c’è una sapienza che non ha niente a che vedere con quella dei nostri pensieri. Quella sapienza mi serve per guarire, a quella mi voglio collegare, mi aiuti a farlo».

    Ha ragione: abbiamo oggi l’opportunità di essere i medici del seme, quelli che studiano e indagano con i codici dell’energia e dell’anima la coscienza che abita nel seme e “fa” la realtà, con una mentalità analoga a quella del contadino che impara i segreti della natura e agisce in accordo alle forze invisibili che la animano, semina e attende, sa che tutto è unità e che materia e coscienza appartengono alla stessa legge. Non c’è dominio sulla natura, né sul corpo che è natura, ma c’è rispetto e cura di chi custodisce segreti, di chi conosce leggi misteriose e permette il loro compimento.

    Così è possibile vedere nel corpo le leggi dell’anima, nella materia le leggi dello spirito; così ogni organo, come insegna Paracelso, è una funzione; ogni organo, come direbbe Jung, è un archetipo; ogni organo, come direbbe il medico cinese, è un’emozione, e un senso abita coscientemente ciò che nella materia accade.

    La coscienza appare essere sempre più il fattore unificante sotteso a biologia, biochimica, biofisica e codici dell’anima.

    Quando iniziamo a integrare questi piani, comprendiamo che guarire significa in ultima analisi poterci allineare con un campo di coscienza intelligente, universale e atemporale, come i saggi della cabala, dei Veda e delle filosofie antiche già sapevano.

    Ora possiamo dire che guarire significa imparare a navigare in questo campo, realizzando così la possibilità di interagire con l’intelligenza cellulare e la rete neurale, in accordo con le scoperte scientifiche che avvalorano oggi l’eterno primato della coscienza e della mente nel plasmare il corpo fisico.

    Noi medici abbiamo dedicato finora il nostro impegno a studiare sistematicamente la materia di cui siamo fatti; ora giunge il tempo di studiare sistematicamente l’energia di cui siamo fatti e le vie di integrazione della nostra parte materiale con la nostra parte energetica.

    Erica Francesca Poli
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  4. #349
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    Per ora l'unica quantistica in medicina è nei macchinari. Il resto è truffa e fuffa dove, come al solito, si appiccica il termine quantistico, quantico per vendere truffa e fuffa.

    Le molecole non hanno bisogno della memoria dell'acqua perché portate dappertutto dalla circolazione e dai liquidi intra ed extracellulari e si attaccano ai recettori o alle proteine carrier grazie a siti di riconoscimento e conformazione della proteina. Nelle proteine dette canale invece passano solo gli ioni. Oppure abbiamo diffusione secondo gradiente di concentrazione direttamente dalla membrana plasmatica. Contro gradiente abbiamo le pompe o permeasi ( tipo pompa sodio-potasdio), con consumo di energia grazie alla molecola ATP ( adenosi -trifosfato) che rilascia l'energia di legame di un fosforo diventando ADP.
    Nessun mistero fisiologico.
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  5. #350
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    Per ora l'unica quantistica in medicina è nei macchinari. Il resto è truffa e fuffa dove, come al solito, si appiccica il termine quantistico, quantico per vendere truffa e fuffa.

    Le molecole non hanno bisogno della memoria dell'acqua perché portate dappertutto dalla circolazione e dai liquidi intra ed extracellulari e si attaccano ai recettori o alle proteine carrier grazie a siti di riconoscimento e conformazione della proteina. Nelle proteine dette canale invece passano solo gli ioni. Oppure abbiamo diffusione secondo gradiente di concentrazione direttamente dalla membrana plasmatica. Contro gradiente abbiamo le pompe o permeasi ( tipo pompa sodio-potasdio), con consumo di energia grazie alla molecola ATP ( adenosi -trifosfato) che rilascia l'energia di legame di un fosforo diventando ADP.
    Nessun mistero fisiologico.
    Appartieni proprio al medioevo.
    Tu hai sempre detto: se porti il concetto di Mente cosmica nella comunità scientifica ti ridono dietro.
    Mi spiace per te sorella...ma ci sono fior di scienziati che stanno lavorando proprio sulle implicazioni della Mente cosmica come UNO al di sotto della materia.
    Tu appartieni al medioevo.
    Fai tanto la saputella quando attacchi la chiesa che processò Galilei e Bruno....ma tu non sei molto diversa da quelli che accendevano i roghi in Campo dei fiori.

    Apri la tua mente.
    E...soprattutto....studia.
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  6. #351
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    Sì, sì

    Intanto non ne chiappi una, hai scritto un papiro con un minestrone di tutto e di nulla, dalla materia oscura, il big bang alla meditazione, guarigioni e la coscienza che c'entrano sega gli uni co gli altri, passando da strafalcioni e biologia ad cazzum.
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  7. #352
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    Sì, sì

    Intanto non ne chiappi una, hai scritto un papiro con un minestrone di tutto e di nulla, dalla materia oscura, il big bang alla meditazione, guarigioni e la coscienza che c'entrano sega gli uni co gli altri, passando da strafalcioni e biologia ad cazzum.
    Veramente il testo è di Erica Poli...Psichiatra e Psicoterapeuta.
    E' il testo di presentazione del suo libro Anatomia della Coscienza Quantica.
    Ma tu credi alla maggggiaaaaaa....che ne vuoi capire tu di questi concetti superiori.

    La coscienza appare essere sempre più il fattore unificante sotteso a biologia, biochimica, biofisica e codici dell’anima.
    Quando iniziamo a integrare questi piani, comprendiamo che guarire significa in ultima analisi poterci allineare con un campo di coscienza intelligente, universale e atemporale, come i saggi della cabala, dei Veda e delle filosofie antiche già sapevano.
    Ultima modifica di xmanx; 28-10-2019 alle 18:59
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  8. #353
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    Sì, vabbè, ciao!!
    Cosa non si fa per vendere un libro! La quantistica come il prezzemolo!!

    I fisici son lì che si lambiccano il cervello con i fenomeni della fisica e delle particelle e ora arrivano questi che sanno tutto e spaccian pure la quantistica con la coscienza e le guarigioni! Poeri noi se queste son le nuove frontiere della medicina della psichiatria. Meglio tornare a clisteri e salassi.
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  9. #354
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    Intuire chi siamo veramente

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  10. #355
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    La differenza qualitativa dell'homo rispetto agli altri animali


    Ian Tattersall (Regno Unito, 1945) è un antropologo inglese naturalizzato statunitense, dal 1971 al 2010 curatore della divisione di Antropologia dell'American Museum of Natural History di New York, e autore di molti libri e articoli.
    Tattersall è cresciuto in Africa orientale. Ha studiato presso l'Università di Cambridge Archeologia e Antropologia, e poi presso l'Università di Yale geologia e paleontologia dei vertebrati. Nel 1971 ha conseguito il dottorato a Yale. Ha lavorato come docente presso la New School for Social Research e presso la City University di New York, proseguendo la carriera nell'insegnamento come professore alla Columbia University e alla City University di New York. Fondatore della Hall of Human Biology and Evolution dell'American Museum, i suoi studi sul campo si sono svolti in Madagascar, Comore, Mauritius, Borneo, Nigeria, Niger, Sudan, Yemen, Vietnam, Suriname, Guyana francese, Réunion e Stati Uniti.

    Il suo recente Becoming Human ha vinto il prestigioso premio W. W. Howells dell'American Anthropologican Association.

    Il suo lavoro di ricerca principale è, da un lato sui primati del Madagascar, dall'altro, sulla documentazione fossile umana.

    Ecco cosa dice Ian Tattersall...ecco cosa dice la Scienza:

    Non è un segreto che qualcosa ci renda profondamente diversi da tutti gli altri organismi, compresi quelli che ci sono più vicini nel grande albero della vita.
    Esiste pertanto una netta discontinuità, un profondo abisso qualitativo, tra il modo in cui gli altri organismi gestiscono l’informazione e il modo in cui lo facciamo noi.
    L’emergere della consapevolezza dei moderni esseri umani ci pone di fronte ad un profondo mistero, forse il più grande affrontato dalla scienza . E’ chiaro infatti che il nostro modo di far funzionare la mente non rappresenta semplicemente il prodotto di un miglioramento incrementale di altre forme cognitive esistenti.
    La differenza è qualitativa e non tanto quantitativa: non abbiamo semplicemente un po’ più della stessa cosa che hanno tutti gli altri esseri viventi.

    La cosa che veramente ci distingue e ci fa sentire così diversi da tutti gli altri esseri viventi è il modo di elaborare le informazioni nel nostro cervello. Quello che solo noi esseri umani facciamo è disassemblare mentalmente il mondo che ci circonda in un vocabolario sterminato di simboli mentali. Questa capacità unica si palesa in ogni aspetto delle nostre vite.

    Per comprendere le caratteristiche di questo nuovo fenomeno è importante ricordarsi che l’Homo sapiens con capacità cognitive moderne non è semplicemente un’estrapolazione di tendenze precedenti. I ritrovamenti archeologici mostrano piuttosto chiaramente che noi non facciamo le stesse cose che facevano i nostri predecessori, solo un po’ meglio: ricreando mentalmente il mondo noi di fatto facciamo, nella nostra testa, qualcosa di completamente nuovo e diverso.

    Questa innovazione è emersa non come adattamento, ma come exattamento, cioè un adattamento nato per assolvere a una certa funzione e che poi finisce per assolvere anche o soprattutto un’altra funzione indipendente da quella originaria.
    Queste nuove potenzialità, che hanno fornito il sostrato biologico per la cognizione simbolica, sono rimaste «in sonno» fino a quando, sotto l’impulso probabilmente di uno stimolo culturale, non si sono concretizzate. La mia idea è che questo stimolo è stato l’invenzione del linguaggio, cioè l’attività simbolica per eccellenza.

    Qui dunque vediamo la vera grandezza, la vera dignità, dell’uomo.
    Considerando queste sue eccezionali facoltà non si può negare che perfino color che reclamano per lui un posto indipendente, quale un ordine, una classe o un sottoregno, abbiano qualche ragione.
    L’uomo è veramente un essere a sé stante.
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  11. #356
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    L'homo rappresenta un "salto evolutivo" di tipo qualitativo.

    ANGELO VIANELLO è docente di Biologia delle piante all’Università degli Studi di Udine e autore di numerosi articoli scientifici e rassegne bibliografiche su argomenti di Biochimica e Fisiologia delle piante, apparsi su riviste indicizzate. Si è pure occupato di temi riguardanti la biodiversità e l’evoluzione della vita, nonché del dialogo tra cultura umanistica e scientifica. È stato Preside della Facoltà di Agraria, Prorettore Vicario e Delegato alla cultura dell’Università degli Studi di Udine. Fa parte del Comitato scientifico del Centro studi filosofico-religiosi “L. Pareyson” (Torino), del Centro interateneo sulla morfologia “F. Moiso” (Torino) e della Forum, editrice universitaria (Udine).

    “Il primate pensante” (The Thinking Primate) è il titolo di un’affascinante conferenza che il grande paleoantropologo Ian Tattersall ha tenuto presso l’Università di Udine, lo scorso 4 novembre 2016. Curatore emerito dell’American Museum of Natural History di New York, Tattersall è uno dei più prestigiosi studiosi dell’evoluzione degli ominidi. Ha partecipato a numerose spedizioni scientifiche in Madagascar, Yemen e Vietnam, dedicandosi all’analisi dei fossili presenti in quelle regioni; si è, inoltre, dedicato allo studio della tassonomia e dell’ecologia dei lemuri del Madagascar. Ha pure proposto nuove e originali chiavi di (ri)lettura della storia di Homo sapiens, e dell’emergenza del linguaggio e del pensiero simbolico, due caratteri peculiari della nostra specie.

    Nella prima parte del suo intervento Tattersall ha ripercorso le principali tappe della nostra storia evolutiva a partire da scimmie antropomorfe risalenti a circa 6-7 milioni di anni fa. Una storia, la nostra, ancora più antica se pensiamo che nei nostri cromosomi sono presenti geni condivisi con batteri, rettili, anfibi ecc. In altri termini, siamo connessi a tutti gli altri organismi viventi nel grande “albero della vita”, già intuito da Charles R. Darwin nella sua fondamentale opera L’origine delle specie per selezione naturale del 1859. Solo una piccolissima parte di questo grande albero, peraltro differenziatasi di recente, include gli ominidi, tra cui più specie appartenenti al genere Homo. Solo per fare un esempio, 40 mila anni fa convivevano H. sapiens, H. erectus, H. neanderthalensis e H. floresiensis: non eravamo gli unici.

    Sia il darwinismo sia il succesivo neodarwinismo prevedono che l’evoluzione delle specie – esseri umani compresi – sia continua e progressiva, generando specie sempre più adatte alle prevalenti condizioni ambientali. Tuttavia, attorno al 1972 Stephen J. Gould e Niles Eldredge, sulla base dell’analisi dei resti fossili di organismi succedutisi in periodi di tempo molto lunghi, si resero conto che questo modello era inadeguato. L’evoluzione poteva essere meglio descritta come un fenomeno caratterizzato da lunghi periodi di stasi (in cui succede poco), punteggiati (interrotti) da momenti di rapido cambiamento (con la comparsa di nuove specie), in cui la contingenza (fenomeni imprevedibili) svolge un ruolo cruciale. Ebbene, Ian Tattersall, sulla scorta di queste nuove acquisizioni, capì che anche l’evoluzione degli ominidi può essere descritta con questo modello. Una versione divulgativa di tale straordinaria intuizione la possiamo trovare nel suo libro La scimmia allo specchio.

    Nella seconda parte del suo intervento, questo grande studioso ha affrontato alcuni affascinanti aspetti che rendono H. sapiens così unico. Con lucidità ha definito il divario che ci separa dagli animali più vicini a noi (le scimmie antropomorfe), illustrando peraltro le tappe evolutive verso l’emergere di questa peculiarità. La nostra specie è la sola ad aver acquisito capacità cognitive così spiccate; in particolare, la nostra familiarità con i concetti astratti (simbolici) e il linguaggio. Un aspetto inatteso e molto significativo di questa vicenda evolutiva, emerso chiaramente dalla relazione di Tattersall, è che le innovazioni morfologico-anatomiche necessarie per esprimere un linguaggio sono apparse molto prima che questo si manifestasse. Ad esempio, alcuni resti fossili di ominidi ritrovati a Herto in Etiopia e risalenti a 200-160 mila anni fa, esibiscono dei tratti morfologici piuttosto simili a quelli di uomini moderni. Eppure, le capacità linguistiche emersero solo circa 100 mila anni fa, cioé dopo un significativo lasso di tempo. La più bella evidenza presentata da Tattersall riguarda alcuni oggetti con un chiaro valore simbolico (perline, collane), databili a circa 77 mila anni orsono, ritovati, assieme a diversi utensili, nella grotta di Blombos in Sudafrica. Questa “esplosione” di tratti simbolici, che implicano un pensiero cognitivo, secondo Ian Tattersall, si sarebbe verificata in concomitanza con l’emergere del linguaggio verbale, in una forma di stretta co-evoluzione. Infatti, citando il linguista Wolfram Hinzen, egli afferma che pensiero e linguaggio non sono due domini separati, anzi sono inseparabili. La rapidità con cui apparvero queste capacità ha indotto Tattersall a proporre un meccanismo – l’esattamento (exaptation) – che indubbiamente può giustificare tale brusca apparizione.

    Questa strategia evolutiva – peraltro già intuita da Darwin – fu proposta nel 1982 da Stephen J. Gould ed Elisabeth S. Vrba, per andare oltre il rigido automatismo dei processi adattativi. In breve, un carattere che inizialmente si è evoluto per il vantaggio che offriva per svolgere una funzione (o che non ne aveva nessuna) è poi stato ‘reinterpretato’ per svolgerne un’altra. Un semplice esempio può chiarire questo concetto: le piume degli uccelli si sono inizialmente evolute come apparati di termoregolazione, ma poi (come penne) sono diventate una parte fondamentale del meccanismo che ha permesso a questi animali di spiccare il volo guadagnando opportunità fino ad allora inesplorate.

    Pensiero simbolico e linguaggio sarebbero così il risultato di un rapido processo evolutivo che si discosta dalla classica spiegazione adattativa darwiniana, senza per questo metterne in discussione la validità, ma includendola nella nuova visione nota come Sintesi estesa. Queste due caratteristiche della mente non si sarebbero così evolute attraverso l’accumulo di tante piccole mutazioni che avrebbero poi portato, per gradi, all’affermazione di queste capacità. Il cambiamento iniziale sarebbe invece dipeso da un evento brusco e del tutto imprevedibile, non necessariamente adattativo. In alti termini, un meccanismo che non è stato vagliato da una lenta e progressiva selezione da risultare, pertanto, ancora “imperfetto”. Secondo Tattersall, questa “imprecisione” potrebbe sorprendentemente spiegarci perché i nostri processi decisionali siano spesso così confusi e, conseguentemente, i nostri comportamenti siano molte volte irrazionali e autodistrutivi, votati a prospettive quasi sempre a breve termine. Forse, questa originale spiegazione potrebbe aiutarci a capire anche il più grande e impenetrabile mistero della vita: la nostra psiche.

    Ian Tattersall è uno scienziato di estrema onestà intellettuale, capace di esprimere sempre a livelli elevati una grande umanità che peraltro traspare inequivocabilmente dai suoi bellissimi lavori scientifici: gli dobbiamo essere grati.
    Ultima modifica di xmanx; 30-10-2019 alle 11:44
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  12. #357
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    Primo principio della termodinamica:
    Il primo principio della termodinamica rappresenta una formulazione del principio di conservazione dell'energia e afferma che l'energia di un sistema termodinamico non si crea né si distrugge, ma si trasforma, passando da una forma a un'altra.

    Robert Lanza è un medico, scienziato e filosofo americano. Attualmente è a capo della Astellas Global Regenerative Medicine ed è Chief Scientific Officer dell'Astellas Institute for Regenerative Medicine e professore a contratto presso la Wake Forest University School of Medicine.

    Robert Lanza
    Non esiste la morte, solo una serie di eterni ‘adesso’.
    Cosa succede dopo la morte, secondo il biocentrismo?


    Adesso ti diciamo che cosa succede dopo la morte. Sul serio. Ok, anzitutto non è così grave, perché non morirai davvero.

    Per iniziare, ribadiamo la visione scientifica della morte: in sostanza, muori ed è la fine di tutto. Questa è la visione preferita dagli intellettuali che si vantano di essere stoici e abbastanza realisti da evitare il vile rifugio spirituale che Karl Marx definiva ‘oppio’ – la credenza in una vita ultraterrena. Questo punto di vista non è molto allegro.

    Ma nella nostra teoria dell’universo, il biocentrismo, secondo cui la vita e la coscienza creano la realtà che li circonda, non c’è spazio per la morte. Per comprenderlo appieno, abbiamo bisogno di tornare alla teoria della relatività di Albert Einstein, uno dei pilastri della fisica moderna. Una conseguenza importante del suo lavoro è che il passato, presente e futuro non sono assoluti, demolendo così l’idea dell’inviolabilità tempo.

    "Se si tenta di mettere le mani sul tempo’, ha detto il fisico Julian Barbour, ‘scivola sempre tra le dita. Le persone sono sicure che è lì, ma non possono entrarne in possesso. Ora, la mia sensazione è che non possono catturarlo perché non c’è’."

    Lui e molti altri fisici vedono ogni momento nel suo complesso, come completo ed esistente di per sé. Viviamo in una successione di "Adesso". "Abbiamo la forte impressione che [le cose] siano in posizioni definite l’una rispetto all’altra", dice Barbour. "[Ma] ci sono degli ‘Adesso’, niente di più, niente di meno."

    In effetti anche John Wheeler, il collega di Einstein, (che ha reso popolare la parola ‘buco nero’) ha ipotizzato che il tempo non sia un aspetto fondamentale della realtà. Nel 2007, il suo esperimento della ‘scelta ritardata’ ha dimostrato che è possibile influenzare retroattivamente il passato, modificando nel presente una particella di luce, chiamata fotone. Appena la luce attraversa un bivio nell’apparato sperimentale, deve decidere se comportarsi come particella o come onda. Più tardi (dopo che la luce è già passata attraverso la fenditura), uno scienziato può posizionare un interruttore su acceso o spento. Quel che lo scienziato fa in quel momento determina retroattivamente quello che la particella ha già fatto al bivio.

    Questi ed altri esperimenti mostrano che il flusso del tempo è illusorio. Ma come possiamo dare un senso a un mondo in cui il tempo non esiste? E che cosa ci dice questo della morte?

    Il biocentrismo getta qualche luce. Werner Heisenberg, l’eminente fisico premio Nobel che ha aperto la strada alla meccanica quantistica, una volta ha detto: "La scienza contemporanea, oggi più che in qualsiasi momento precedente, è stata costretta dalla stessa natura a porre di nuovo la questione della possibilità di comprendere la realtà attraverso dei processi mentali." Si scopre che tutto ciò che vediamo e proviamo è un vortice di informazioni che si verificano nella nostra testa. Non siamo solo oggetti incorporati in qualche matrice esterna che ticchetta ‘là fuori’. Piuttosto, lo spazio e il tempo sono gli strumenti che utilizza la nostra mente per tenere tutto assieme.

    Naturalmente, mentre stai leggendo, stai sperimentando un ‘adesso’. Ma considera questo: dal punto di vista della tua bisnonna, i tuoi ‘adesso’ esistono nel suo futuro e gli ‘adesso’ della sua bisnonna nel suo passato. Le parole ‘passato’ e ‘futuro’ sono solo idee relative a ogni singolo osservatore.

    Allora cosa è successo alla tua bisnonna dopo la morte? Per cominciare – dal momento che il tempo non esiste – non c’è un ‘dopo la morte’, tranne la morte del suo corpo fisico nel tuo ‘adesso’. Dal momento che tutto è solo ‘adesso’, non vi è alcuna matrice di spazio/tempo assoluto dove si dissipi la sua energia – è semplicemente impossibile per lei essere ‘andata’ da qualche parte.

    Pensaci come a un vecchio giradischi. Le informazioni sul disco sono trasformate in una realtà tridimensionale che possiamo sperimentare un momento alla volta. Tutte le altre informazioni registrate sono solo potenziali. Ogni storia causale che porta all’ ‘adesso’ che si sta vivendo può essere pensata come il ‘passato’ (vale a dire, le canzoni suonate prima dell’attuale posizione dell’ago), e tutti gli eventi che seguono si verificano nel ‘futuro’; questi ‘adesso’ paralleli sono detti in sovrapposizione. Allo stesso modo, lo stato precedente la morte, come la tua attuale vita con tutte le sue memorie, resta in sovrapposizione, nella parte della registrazione che rappresenta solo delle informazioni.

    In breve, la morte in realtà non esiste. Al momento della morte, si raggiunge il confine immaginario di noi stessi, il confine boschivo in cui, nella vecchia fiaba, la volpe e la lepre si dicono la buonanotte a vicenda. E se la morte e il tempo sono illusioni, lo è anche la continuità degli ‘adesso’. Dove ci troviamo allora? Su gradini che possono essere mescolati e rimescolati ovunque, ‘like those’, come scrisse Ralph Waldo Emerson nel 1842, ‘that Hermes won with dice, of the Moon, that Osiris might be born.’

    Einstein lo sapeva. Nel 1955, quando morì il suo caro amico Michele Besso, scrisse: "Lui si è allontanato da questo strano mondo un po’ prima di me. Questo non significa niente. La gente come noi, che crede nella fisica, sa che la distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione ostinatamente persistente ".
    Ultima modifica di xmanx; 30-10-2019 alle 14:08
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  13. #358
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  14. #359
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    "Natura inferiore" e "Natura superiore" dell'homo.

    La "Natura inferiore" dell'homo è data dal cervello rettiliano+cervello paleomammaliano. E' la parte "animale" (o istintiva) che c'è in noi. Regolata da meccanismi di causa-effetto. Azione-reazione. Premio-punizione. E deriva da tutti gli animali che ci hanno preceduto nel processo evolutivo (mammiferi, rettili, pesci).
    La "Natura superiore" dell'homo è data dalla neocorteccia dell'homo (comparsa 200mila anni fa con l'homo sapiens e che deriva dalla neocorteccia dei primati). E' la parte cognitiva, la parte dove ha sede il pensiero logico e astratto. Il pensiero simbolico e il linguaggio. E' la parte sede della compassione e del libero arbitrio. E' la sede della "coscienza umana", della consapevolezza e dell'autoconsapevolezza.

    Come si è sviluppata la nostra "natura superiore"?
    La lente scruta ora tra le nebbie di un'epoca che vide i primi uomini abbandonare la mera produzione di beni materiali, armi o rifugi più o meno raffinati, e produrre i primi beni immateriali: idee, lingue, simboli, concezioni, miti e tutto l'armamentario per poter trasmettere conoscenze ai propri discendenti e innescare il processo culturale; il tempo in cui il brodo cognitivo coaugula trovando forme di organizzazione nuove, dando vita a culture e civiltà.

    Ma ancora la nebbia non si è del tutto diradata nel punto in cui l'Homo sapiens fece il passo che lo rese definitivamente umano. Forse schegge di memoria di quell'antico evento sopravvivono nei miti palingenetici di culture sparse per tutto il mondo. Ma finalmente, anche l'indagine scientifica ha aggiunto abbastanza dettagli al quadro per rendere chiaramente identificabili alcuni elementi di base.

    Antichi strumenti litici: E' ai manufatti che bisogna guardare per capire di quale livello cognitivo fossero dotati i loro arterfici. Negli strumenti più antichi, per esempio, non c'è traccia di significati simbolici.

    Ian Tattersall, Direttore del Dipartimento di Antropologia dell'American Museum of Natural History - New York, autore di fortunati libri quali "Il cammino dell'uomo" - Ed. Garzanti Libri 2003, è uno dei più rappresentativi studiosi dell'alba dell'umanità. Egli sostiene sia tempo, ormai, di abbandonare l'idea che il processo di "umanizzazione" sia stato lento e progressivo. Mentre si è invece imposto come una discontinuità, e ha rappresentato una rottura rispetto al passato.

    E' un punto, questo, irrisolto dai tempi di Darwin e Wallace e che adesso, a distanza di oltre un secolo, assume invece un nuovo significato scientifico: quali sono gli elementi che hanno catalizzato le facoltà biologiche umane - acquisite nel corso di una storia evolutiva ormai chiara nei suoi tratti fondamentali - e innescato quel prodigioso fenomeno, quella misteriosa proprietà emergente che è la mente umana? Nell'intervista (Novembre 2007) Ian Tattersall traccia le linee fondamentali delle sue convinzioni in proposito.

    Prof. Tattersal, lei afferma che ci sono prove evidenti, tra i fossili di ominidi fin qui ritrovati, che le dimensioni del cervello sono aumentate regolarmente nel corso degli ultimi 6 milioni di anni, ma che non c'è alcuna prova che, parallelamente, con l'aumentare della massa cerebrale, siano emerse gradualmente anche le capacità cognitive simboliche. Perciò, se non gradualmente, queste capacità devono essersi sviluppate repentinamente, o comunque in un lasso di tempo molto più breve di quello che si immaginava. Ma iniziamo da ciò che sappiamo sul cervello.

    Ciò che ricaviamo dalle prove fossili di crani è che mediamente, durante gli ultimi due milioni di anni, la dimensione del cervello degli ominidi è cresciuta piuttosto velocemente. Ciò che questo significa, però, non è chiaro, perché non c'è una sola specie le cui dimensioni del cervello si sono incrementate costantemente, ma abbiamo moltissime specie diverse coinvolte in questo andamento generale. E anzi, sembra probabile che per tutto quel lasso di tempo le specie dotate di un cervello grande siano state in competizione con quelle con un cervello più piccolo. È proprio questo il meccanismo che ha portato a cervelli sempre più grandi nel corso del tempo.

    Però, se vogliamo capire qualcosa delle loro capacità cognitive, dobbiamo guardare ad altri reperti…

    Le dimensioni dei crani e dei cervelli, non ci dicono nulla su che tipo di capacità cognitive avessero. L'unica possibilità che abbiamo per comprendere quale realmente fosse la natura dell'intelligenza dei primi ominidi, è guardare a ciò che hanno realizzato con le loro mani. In questo caso troviamo che, per esempio, mentre la fabbricazione di strumenti anche piuttosto raffinati si spinge molto indietro nel tempo, le prime indicazioni che abbiamo di un pensiero simbolico - che è l'unica capacità che ci distingue nettamente dal resto del mondo vivente - non vanno oltre i 100.000 anni di storia (Ad esempio, le pitture rupestri indicano senzaltro capacità di rappresentazione simbolica).

    Cioè quando sono comparse, quasi dal nulla, le prime pitture rupestri e i primi oggetti che riportavano simboli, come pietre coperte di incisioni e così via… Ecco: cosa ci dice tutto questo sul processo evolutivo che ha portato all'emersione dell'intelligenza simbolica? Possiamo dire che è nata improvvisamente, con un balzo?

    Sì, la mia opinione è che la transizione tra cultura non simbolica e simbolica fu molto rapida. Una transizione che si basò sull'acquisizione di una qualche nuova capacità neurologica: una mutazione genetica, forse a livello della chimica del cervello, che si combinava con una lunga storia evolutiva favorevole. Ma il potenziale di questa nuova capacità neurologica aveva bisogno di essere attivato da uno stimolo culturale. E la mia idea è che questo stimolo fu l'invenzione del linguaggio. Quindi avevamo dei cervelli pronti per il linguaggio, probabilmente, ma non da molto tempo prima che il linguaggio fosse inventato.

    Vorrei essere sicuro di aver capito: c'era una capacità potenziale dovuta a una qualche mutazione che l'aveva resa possibile, poi l'invenzione del linguaggio ha catalizzato questa potenzialità. E' così?

    Abbiamo acquisito il potenziale per il linguaggio e il pensiero simbolico indipendentemente dal fatto di usarli. Il potenziale era lì, come risultato di una mutazione genetica: l'intersezione tra un lungo passato evoluzionistico e un elemento nuovo, emergente. A quel punto l'espletazione di questo nuovo potenziale fu un fatto molto rapido, probabilmente innescato dall'invenzione del linguaggio in qualche gruppo non linguistico.
    Ultima modifica di xmanx; 30-10-2019 alle 17:08
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  15. #360
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    Cioè quando sono comparse, quasi dal nulla, le prime pitture rupestri e i primi oggetti che riportavano simboli, come pietre coperte di incisioni e così via… Ecco: cosa ci dice tutto questo sul processo evolutivo che ha portato all'emersione dell'intelligenza simbolica? Possiamo dire che è nata improvvisamente, con un balzo?

    Sì, la mia opinione è che la transizione tra cultura non simbolica e simbolica fu molto rapida. Una transizione che si basò sull'acquisizione di una qualche nuova capacità neurologica: una mutazione genetica, forse a livello della chimica del cervello, che si combinava con una lunga storia evolutiva favorevole. Ma il potenziale di questa nuova capacità neurologica aveva bisogno di essere attivato da uno stimolo culturale. E la mia idea è che questo stimolo fu l'invenzione del linguaggio. Quindi avevamo dei cervelli pronti per il linguaggio, probabilmente, ma non da molto tempo prima che il linguaggio fosse inventato.

    Vorrei essere sicuro di aver capito: c'era una capacità potenziale dovuta a una qualche mutazione che l'aveva resa possibile, poi l'invenzione del linguaggio ha catalizzato questa potenzialità. E' così?

    Abbiamo acquisito il potenziale per il linguaggio e il pensiero simbolico indipendentemente dal fatto di usarli. Il potenziale era lì, come risultato di una mutazione genetica: l'intersezione tra un lungo passato evoluzionistico e un elemento nuovo, emergente. A quel punto l'espletazione di questo nuovo potenziale fu un fatto molto rapido, probabilmente innescato dall'invenzione del linguaggio in qualche gruppo non linguistico.
    vedi, se ci fosse un altro paleo-antropologo ad interloquire, farebbe certamente notare l'elemento - materiale, fisiologico - della fonazione, diversa tra le varie specie di homo:
    la conformazione del cavo oro-laringeo del sapiens, diversa da tutti gli altri, neandertahl incluso, consente una capacità di articolare suoni, fonemi infinitamente maggiore; e questo è il presupposto per l'evoluzione del linguaggio complesso e della relativa capacità di astrazione;

    se tu andassi a consultare qualsiasi trattato o testo specialistico sull'evoluzione del linguaggio umano, questo aspetto lo troveresti trattato ed evidenziato come di importanza fondamentale, per motivi ovvii;
    come mai Tattersall non cita questo aspetto e lascia la questione nel vago ? forse perché una circostanza comprovata, ma tanto materiale e poco suggestiva gli rovina l'effetto mistero che piace tanto ai gonzi creduloni...
    c'� del lardo in Garfagnana

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