Le categorie dei “vizi” e delle “virtù” hanno nell’arte grandi interpreti che hanno saputo personificare tali sentimenti.

I vizi hanno maggiore rappresentazione perché è più facile interpretarli. Sono sette i “vizi” considerati “capitali” (da “caput”) e capaci di generarne altri che si ramificano in diversi atteggiamenti e comportamenti: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia.

Il pittore Giotto a Padova, nella Cappella degli Scrovegni, li ha personificati all’interno del racconto dell’incarnazione di Dio in Gesù di Nazaret, della risurrezione e del giudizio universale.

Nella corrispondenza tra Virtù e Vizi che decora la fascia inferiore delle pareti, c’è l’affresco allegorico giottesco che simboleggia la “desperatio” (disperazione) opposto a quello della “Spes”, la Speranza.

Etimologicamente la parola “disperazione” rimanda al lemma latino “desperatione(m)”, derivato dal verbo “desperare”, l’opposto della speranza.

Ma davvero l’esito obbligato della disperazione è l’annientamento di sé, perché dalla disperazione, come dice Sartre, “Non c’è via d’uscita” ?

Oltre a ciò che di negativo la caratterizza, la disperazione ha in sé anche la forza di attivare energie insospettate, tali da suggerire soluzioni coraggiose. Perciò di disperazione si può non morire. Accanto alla strada del coraggio al disperato può aprirsi anche un’altra strada.

La disperazione è emotivamente pervasiva e coincide con la mancanza di attesa, di futuro, di progettualità, di insopportabilità del vivere, di assenza del desiderio di guardare oltre. Gli stessi che mancano ad Adrianus Jacobus Zuyderland, un olandese veterano di guerra raffigurato più volte da Vincent van Gogh.


Adrianus Jacobus Zuyderland ritratto da van Gogh nel 1882

In quest'altro dipinto è visibile la postura di un uomo depresso, disperato; è seduto su una sedia, chinato in avanti, si copre il viso con le mani chiuse a pugno. E’ presumibile che il quadro sia espressione dello stato d’animo dell’artista.

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Vincent van Gogh: “Sulla soglia dell’eternità”, olio su tela, 1890.
Per la raffigurazione, conosciuta anche col nome “Vecchio che soffre”, van Gogh si basò su una precedente litografia e su un disegno a matita, utilizzando come modello il sopra citato Adrianus Jacobus Zuyderland.