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Discussione: Una conferma sulla saggezza di non sposarsi e non avere figli negli ultimi tempi.

  1. #406
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Io non credo sia attribuibile alla lezione dell'Onnipotente ( anche Gesù non lo riteneva), quanto piuttosto, ed è questo che Gesù intendeva come lezione, ad una riflessione: visto che non siete morti riflettete sul fatto che potrebbe in futuro succedere anche a voi, e su questo concetto probabilistico invitava ad essere migliori. Cioè non ci colga impreparati.

  2. #407
    Opinionista L'avatar di Arcobaleno
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    Citazione Originariamente Scritto da crepuscolo Visualizza Messaggio
    Io non credo sia attribuibile alla lezione dell'Onnipotente ( anche Gesù non lo riteneva), quanto piuttosto, ed è questo che Gesù intendeva come lezione, ad una riflessione: visto che non siete morti riflettete sul fatto che potrebbe in futuro succedere anche a voi, e su questo concetto probabilistico invitava ad essere migliori. Cioè non ci colga impreparati.
    Il tuo è un voler rimanere bloccato a 2000 anni fa. Mentre mi pare evidente che fenomeni come le due guerre mondiali e questa pandemia - nel mondo ci si avvicina ai 200.000 morti - si possono considerare fenomeni apocalittici. Non è tanto il numero dei morti, comunque già elevato, ma le ripercussioni su tutte le nostre vite che rende questa pandemia apocalittica.
    Chi considera le due guerre mondiali e questa pandemia né più né meno che fenomeni normali che si ripetono nel tempo, non ha fatto un passo avanti rispetto ai tempi di Gesù.
    Fate l'amore, non la guerra.
    Lavorare tutti, lavorare meno.

  3. #408
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Il tuo è un voler rimanere bloccato a 2000 anni fa..
    Infatti, secondo me, è da li che tutto si schiarisce.

  4. #409
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    Citazione Originariamente Scritto da Arcobaleno Visualizza Messaggio
    . Mentre mi pare evidente che fenomeni come le due guerre mondiali e questa pandemia - nel mondo ci si avvicina ai 200.000 morti - si possono considerare fenomeni apocalittici. Non è tanto il numero dei morti, comunque già elevato, ma le ripercussioni su tutte le nostre vite che rende questa pandemia apocalittica.
    Chi considera le due guerre mondiali e questa pandemia né più né meno che fenomeni normali che si ripetono nel tempo, non ha fatto un passo avanti rispetto ai tempi di Gesù.
    Se sei cristiano dovresti capire che dalla resurrezione in poi è tutto attesa.
    Se credi in Cristo devi avere fiducia.

  5. #410
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    Citazione Originariamente Scritto da crepuscolo Visualizza Messaggio
    Se sei cristiano dovresti capire che dalla resurrezione in poi è tutto attesa.
    Se credi in Cristo devi avere fiducia.
    Se l'attesa è a occhi chiusi, uno non si accorge di nulla, si tratta solo di sonno profondo...
    Fate l'amore, non la guerra.
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  6. #411
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    Certo, sarebbero infatti i "ciechi", quelli che pur avendo gli occhi non riescono a vedere.

  7. #412
    Opinionista L'avatar di Vega
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    Citazione Originariamente Scritto da Arcobaleno Visualizza Messaggio
    Il tuo è un voler rimanere bloccato a 2000 anni fa. Mentre mi pare evidente che fenomeni come le due guerre mondiali e questa pandemia - nel mondo ci si avvicina ai 200.000 morti - si possono considerare fenomeni apocalittici. Non è tanto il numero dei morti, comunque già elevato, ma le ripercussioni su tutte le nostre vite che rende questa pandemia apocalittica.
    Chi considera le due guerre mondiali e questa pandemia né più né meno che fenomeni normali che si ripetono nel tempo, non ha fatto un passo avanti rispetto ai tempi di Gesù.
    Perché te ne hai fatti tanti?
    Abbi pazienza, se per apocalittici intendi che sono gravi e c'è il rischio di poco felici ripercussioni è un conto, se stai a ventilare annunci della fine del mondo, statte bbbuono!! Che forse non ti ricordi i vari episodi di peste, vaiolo dei secoli passati e la spagnola del bienno 1918-20, dove morirono molte più persone e più giovani di adesso , tanto che la fascia più colpita fu più o meno quella fra i 20 ed i 40. Alla prima guerra mondiale si sommarono anche il danno e le morti dell'epidemia.
    Pienamente funzionante e programmata in tecniche multiple

  8. #413
    Opinionista L'avatar di Arcobaleno
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    Citazione Originariamente Scritto da Vega Visualizza Messaggio
    Perché te ne hai fatti tanti?
    Abbi pazienza, se per apocalittici intendi che sono gravi e c'è il rischio di poco felici ripercussioni è un conto, se stai a ventilare annunci della fine del mondo, statte bbbuono!! Che forse non ti ricordi i vari episodi di peste, vaiolo dei secoli passati e la spagnola del bienno 1918-20, dove morirono molte più persone e più giovani di adesso , tanto che la fascia più colpita fu più o meno quella fra i 20 ed i 40. Alla prima guerra mondiale si sommarono anche il danno e le morti dell'epidemia.
    Sì, ne ho fatti tanti di passi in avanti rispetto all'epoca di Gesù. Con ciò non voglio prendermi meriti che appartengono a chi mi ha fatto fare quei passi in avanti, e cioè i successivi inviati divini, nonché quelli "paralleli".

    Quanto al saper riconoscere come apocalittici certi eventi, serve per riconoscere i segni dei tempi. Si stanno realizzando certe profezie e nel tempo si dovrebbero avere effetti positivi, ma solo dopo che sarà stata riconosciuta la mano di Dio nella storia dell'uomo. Prima di allora non dobbiamo meravigliarci di eventi disastrosi e coinvolgenti come questa pandemia.
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  9. #414
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Citazione Originariamente Scritto da axeUgene Visualizza Messaggio
    ma che c'entra mai il destino dell'Unione con la questione morale che pretendi di mettere in agenda, riguardo alla gente che si dovrebbe sposare e far figli ?

    visto, soprattutto, che l'UE è principale entità politica che blinda letteralmente quei diritti individuali che tu ritieni abusati;

    a me sembra evidente che la morale "tradizionalista" sia esattamente il vessillo di chi vuole distruggere l'Unione, un po' dappertutto; tutti i sovranisti sono anche tradizionalisti, filo-confessionali e fanno esattamente i discorsi che fai tu; vedo una schisi ideologica nel tutto.
    E' ora di parlare chiaro fra noi, Axe: Te mi ritieni tradizionalista? Ritieni che Papa Francesco sia un tradizionalista quando parla di Nuovo Umanesimo per l'Europa? Sincero, per favore. Non me la prendo. Basta che rispondi. Tornare ad essere più naturali, recuperare quei Valori trasversali alla Società, antitetici all'edonismo, all'isolazionismo, all'individualismo...secondo te è essere intolleranti, reazionari e sovranisti? Leggi bene, per favore.

    "Senza la cultura cristiana il nostro mondo sarà destinato a fallire lo sostiene con forza il grande studioso e storico delle civiltà inglese Christopher Dawson, nel suo “La crisi dell’istruzione occidentale”, pubblicato da D’Ettoris Editori. Attraverso l’istruzione e quindi rendendo integrante del nostro sistema educativo lo studio della cultura cristiana, potremmo far ripartire la nostra società. Ma questo vale non solo per i cattolici, ma anche per quelli che non lo sono, “dal momento che sono eredi della stessa tradizione culturale, benché non siano più consapevoli della sua relazione con l’attuale crisi della società occidentale sotto la pressione esterna delle ideologie totalitarie e delle forze dissolvitrici del materialismo secolarista”. Per Dawson è convinto che occorre riorientare gli studi superiori verso gli studi umanistici attraverso la cultura cristiana, trovando i modi di studiarla, e non tanto verso gli studi classici o quelli della scienza della tecnologia.
    Negli ultimi due secoli siamo stati educati a pensare allo Stato-nazione e quindi anche l’istruzione è stata progressivamente nazionalizzata e diretta allo studio della cultura nazionale. Oggi questo tipo di cultura sta scomparendo, e lo scrittore inglese lo scriveva nel 1961, si sta sviluppando una organizzazione mondiale. Però né la prima, né la seconda, sono capaci sono capaci di dare una base soddisfacente per la comunità culturale. Certo rimangono le sei religioni mondiali che costituiscono le unità sociali: tre sono in Occidente e tre in Oriente. Ognuno di esse ha la sua storia, la sua letteratura, la sua filosofia.
    Per Dawson la civiltà moderna non può ignorare queste società culturali che hanno avuto una influenza enorme. “Eppure l’istruzione moderna le ha trascurate e ha ignorato la loro importanza fondamentale, cosicché la tradizione spirituale del mondo moderno si è sconvolta e persa”. Impossibile per chiunque conoscerle tutte, ma questo non è una ragione perché “non dobbiamo studiare la nostra tradizione spirituale, che ha creato la nostra civiltà e specialmente i valori spirituali superiori da cui siamo moralmente dipendenti”.
    La civiltà moderna, per Dawson, “è moralmente debole e spiritualmente divisa”, tuttavia, “la scienza e la tecnologia sono in sé moralmente neutrali e non forniscono alcun principio guida spirituale”, qualsiasi potere può usarle per i propri fini, per controllare la società. Lo fanno gli Stati totalitari, ma anche quelli democratici. Tutte le società hanno bisogno di qualche principio superiore, anche il nostro mondo moderno, nonostante rifiuti le religioni tradizionali e neghi la verità o il sistema teologico. Eppure il nostro cristianesimo, anche se è stato gradualmente privato d’influenza intellettuale e sociale sulla cultura moderna, può offrire moltissimo alla nostra moderna società tecnologica, che ha una disperata necessità di “un principio di coordinamento spirituale e un principio di unità”.

    https://www.imgpress.it/culture/82001/
    amate i vostri nemici

  10. #415
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Cono, abbi pazienza, se tu incolli l'articolo di uno che parla di cartina geografica e non di mappa dei contagi o dell'inquinamento o dei due valori messi insieme per una possibile relazione, cosa uno dovrebbe intuire? Che poi ce ne saranno mille di mappe, con colori, simboli e distribuzione diverse per far vedere i contagi nelle regioni o altro che si vuol mettere in evidenza.
    Anche tu, invece del copia-incollaggio compulsivo, dovresti imparare a essere più bravo, preciso, discernere, che finisci sempre a fare quello sordo per poi dire agli altri che non capiscono, non si rendono conto, quando più spesso, scusami, è il contrario e l'unico apporto è un copia-incolla per il quale nemmeno ti sei preso, probabilmente, la briga 5 minuti di controllare.

    Ora ritorni ancora sulla puttanata di madre natura che si rende conto dei danni e passa all'attacco. Ma si rende conto di che? E' un'entità cosciente? E' una dea? Dove sta la coscienza della natura? Perché qualcuno a questo punto dovrebbe spiegare il fenomeno, dove sta la coscienza della natura visto che in tanti scrivono di questa emerita scemenza. Meno male che ci siamo dati pure il doppio sapiens per indicare la nostra specie!
    E mi stupisco di te e del papa che venite a rivogare questa scemenza, voi che credete in un dio che la natura l'avrebbe creata. Come ti ho detto, che sia il solito modo comodo per tirare fuori il vostro dio dal lato cattivo e dall'idea che sia lui a punirci?
    Io poi ti ho chiesto, visto sei convinto, che copi-incolli in maniera altrettanto convinta articoli che da due mesi ci fracassano i genitali con tutti i problemi del pianeta che sembrano la causa del virus o legati ad esso, di spiegare in cosa i migranti dall'africa, l'amazzonia disboscata, due esempi tirati in ballo, abbiano una relazione col coronavirus, se sei sicuro che il cambiamento climatico abbia creato il covid-19 o contribuisca alla diffusione. Perché se si deve parlare in senso generico delle epidemie e dei vari patogeni, di motivi ce ne possono essere tanti, se si devono fare du' 'oglioni sul covid-19 e tutti i problemi ambientali del pianeta, allora i sapientini spieghino le relazioni del covid-19 con l'amazzonia, gli orsi polari senza ghiaccio e tutto il resto che è stato messo nel calderone.
    Per la prossima risposta, prego astenersi rispostine vaghe e generiche, sull'inquinamento, gli allevamenti, sui disboscamenti.
    E ti invito ancora a far riferimento ai tuoi figli laureati.
    Il Manifesto è un quotidiano cattolico? No perchè adesso cadi nella provocazione eh....
    Quante volte ho premesso "fosse solo il Papa a fare questa analisi, ti darei ragione"? Quante volte Laura? 10? 50? 150?

    Covid-19, non torniamo alla normalità. La normalità è il problema! Il pericolo principale è pensare al Coronavirus come un fenomeno isolato, senza storia, senza contesto sociale, economico o culturale. Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri, ci ha condotto a quel che oggi abbiamo.

    Nell’ottobre del 2016 i suini neonati degli allevamenti della provincia di Guangdong, nel sud della China, cominciarono ad ammalarsi per il virus della diarrea epidemica suina (PEDV), un coronavirus che colpisce le cellule che ricoprono l’intestino tenue dei maiali. Quattro mesi dopo, tuttavia, i piccoli suini smisero di risultare positivi al PEDV, anche se continuavano ad ammalarsi e a morire.

    Come confermarono gli esami, si trattava di un tipo di malattia mai visto prima e che fu battezzata come Sindrome della Diarrea Acuta Suina (SADS-CoV), provocata da un nuovo coronavirus che uccise 24 mila suini neonati fino al maggio del 2017, precisamente nella stessa regione in cui tredici anni prima si era scatenata l’epidemia di polmonite atipica conosciuta come SARS.

    Nel gennaio del 2017, nel pieno dello sviluppo dell’epidemia suina che devastava la regione di Guangdong, vari ricercatori in virologia degli Stati uniti pubblicarono uno studio sulla rivista scientifica “Virus Evolution” in cui si indicavano i pipistrelli come la maggiore riserva animale di coronavirus del mondo.

    Le conclusioni della ricerca sviluppata in Cina furono coincidenti con lo studio nordamericano: l’origine del contagio fu localizzata, con precisione, nella popolazione di pipistrelli della regione.

    Ma come fu possibile che una epidemia tra i maiali fosse scatenata dai pipistrelli? Cos’hanno a che fare i maiali con questi piccoli animali con le ali?

    La risposta arrivò un anno dopo, quando un gruppo di ricercatori cinesi pubblicò un rapporto sulla rivista “Nature” in cui, oltre a segnalare al loro paese il focolaio rilevante di apparizione di nuovi virus ed enfatizzare l’alta possibilità di una loro trasmissione agli esseri umani, facevano notare come la crescita dei macro-allevamenti di bestiame avesse alterato le nicchie vitali dei pipistrelli.

    Inoltre, lo studio rese chiaro che l’allevamento industriale ha incrementato le possibilità di contatto tra la fauna selvatica e il bestiame, facendo esplodere il rischio di trasmissione di malattie originate da animali selvatici i cui habitat sono drammaticamente aggrediti dalla deforestazione.

    Tra gli autori di questo studio compare Zhengli Shi, ricercatrice principale dell’Istituto di virologia di Wuhan, la città da cui proviene l’attuale Covid-19, il cui ceppo è identico per il 96 per cento al tipo di coronavirus trovato nei pipistrelli per mezzo dell’analisi genetica.

    2.

    Nel 2004, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Organizzazione mondiale della salute animale (Oie) e l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), segnalarono l’incremento della domanda di proteina animale e l’intensificazione della sua produzione industriale come principali cause dell’apparizione e propagazione di nuove malattie zoonotiche sconosciute, ossia di nuove patologie trasmesse dagli animali agli esseri umani.

    Due anni prima, l’organizzazione per il benessere degli animali Compassion in World Farming aveva pubblicato sull’argomento un interessante rapporto. Per redigerlo, l’associazione britannica aveva utilizzato dati della Banca mondiale e dell’Onu sull’industria dell’allevamento che erano stati incrociati con rapporti sulle malattie trasmesse attraverso il ciclo mondiale della produzione alimentare.

    Lo studio concluse che la cosiddetta “rivoluzione dell’allevamento”, ossia l’imposizione del modello industriale dell’allevamento intensivo legato ai macro-allevamenti, stava provocando un incremento globale di infezioni resistenti agli antibiotici, rovinando i piccoli allevatori locali e promuovendo la crescita delle malattie trasmesse attraverso alimenti di origine animale.

    Nel 2005, esperti della Oms, della Oie e del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati uniti e il Consiglio nazionale del maiale di questo paese elaborarono uno studio nel quale si tracciava la storia della produzione negli allevamenti dal tradizionale modello delle piccole fattorie familiari fino all’imposizione delle macro-fattorie industriali.

    Tra le sue conclusioni, il rapporto segnalava, come uno dei maggiori impatti del nuovo modello di produzione agricola, la sua incidenza nell’amplificazione e mutazione di patogeni, così come il rischio crescente di disseminazione di malattie.

    Inoltre, lo studio notava come la sparizione dei modi tradizionali di allevamento a favore dei sistemi intensivi si stava producendo nella percentuale del 4 per cento l’anno, soprattutto in Asia, Africa e Sudamerica.

    Nonostante i dati e gli allarmi, non si è fatto nulla per frenare la crescita dell’allevamento industriale intensivo.

    Oggi, Cina e Australia concentrano il maggior numero di macro-fattorie del mondo. Nel gigante asiatico la popolazione degli animali allevati si è praticamente triplicata tra il 1980 e il 2010.

    La Cina è il produttore di animali allevati più importante del mondo, e concentra nel suo territorio il maggior numero di “landless systems” (sistemi senza terra), macro sfruttamento di allevamenti in cui si affollano migliaia di animali in spazi chiusi.

    Nel 1980 solo il 2,5 per cento degli allevamenti cinesi era costituito da questo tipo di fattoria, nel 2010 raggiungeva il 56 per cento.

    Come ci ricorda Silvia Ribeiro, ricercatrice del Gruppo di azione su erosione, tecnologia e concentrazione (ETC), una organizzazione internazionale che si concentra nella difesa della diversità culturale e ecologica e dei diritti umani, la Cina è la fabbrica del mondo.

    La crisi scatenata dall’attuale pandemia provocata dal Covid-19 rivela il suo ruolo nell’economia globale, particolarmente nella produzione industriale di alimenti e nello sviluppo dell’allevamento intensivo.

    Solo la Mudanjiang Ciy Mega Farm, una fattoria gigante situata nel nord-est della Cina, che contiene centomila vacche la cui carne e il cui latte sono destinati al mercato russo, è cinquanta volte più grande della più grande fattoria bovina dell’Unione europea.

    Le epidemie sono un prodotto dell’urbanizzazione. Quando circa cinquemila anni fa gli esseri umani cominciarono a raggrupparsi in città con una certa densità di popolazione, le infezioni poterono colpire simultaneamente grandi quantità di persone e i loro effetti mortali si moltiplicarono.

    Il pericolo di pandemie come quella attuale si generalizzò quando il processo di urbanizzazione è diventato globale.

    Se applichiamo questo ragionamento all’evoluzione della produzione di carne le conclusioni sono realmente inquietanti. In un periodo di cinquanta anni l’allevamento industriale ha “urbanizzato” una popolazione animale che prima si distribuiva in piccole e medie fattorie familiari. Le condizioni di affollamento di questa popolazione in macro-fattorie convertono ciascun animale in una sorta di potenziale laboratorio di mutazioni virali suscettibili di provocare nuove malattie e epidemie.

    Questa situazione è tuttavia più inquietante se consideriamo che la popolazione globale di animali allevati è quasi tre volte maggiore di quella di esseri umani.

    Negli ultimi decenni, alcune delle infezioni virali con maggiore impatto si sono prodotte grazie a infezioni che, oltrepassando la barriera delle specie, hanno avuto origine nello sfruttamento intensivo dell’allevamento.

    Michael Greger, ricercatore statunitense sulla salute pubblica e autore del libro “Flu: A virus of our own hatching” (influenza aviaria: un virus che abbiamo incubato noi stessi), spiega che prima della domesticazione degli uccelli, circa 2500 anni fa, l’influenza umana di certo non esisteva.

    Allo stesso modo, prima della domesticazione degli animali da allevamento non si hanno tracce dell’esistenza del morbillo, del vaiolo e di altri morbi che hanno colpito l’umanità da quando sono apparsi in fattorie e stalle intorno all’anno ottomila prima della nostra era.

    Una volta che i morbi saltano la barriera tra specie possono diffondersi nella specie umana provocando conseguenze tragiche, come la pandemia scatenata da un virus dell’influenza aviaria nel 1918 e che in un solo anno uccise tra 20 e 40 milioni di persone.

    Come spiega il dottor Greger, le condizioni di insalubrità nelle trincee della prima guerra mondiale sono solo una delle variabili che causarono una rapida propagazione del contagio del 1918, e sono a loro volta replicate oggi in molti dei mega-allevamenti che si sono moltiplicati negli ultimi venti anni con lo sviluppo dell’allevamento industriale intensivo.

    Miliardi di polli, per esempio, sono allevati in questa macro-imprese che funzionano come spazio di contenimento suscettibile di generare una tempesta perfetta di carattere virale.

    Da quando l’allevamento industriale si è imposto nel mondo, la medicina sta rilevando morbi sconosciuti e un ritmo insolito: negli ultimi trent’anni si sono identificati più di trenta patogeni umani, la maggior parte dei quasi virus zoonotici come l’attuale Covid-19.

    4.

    Il biologo Robert G. Wallace ha pubblicato nel 2016 un libro importante per tracciare la connessione tra i modelli della produzione capitalista di bestiame e l’eziologia delle epidemie esplose negli ultimi decenni: “Big Farms Make Big Flu” (le mega-fattorie producono macro-influenze).

    Alcuni giorni fa, Wallace concesse una intervista alla rivista tedesca Marx21, nella quale sottolinea una idea chiave: concentrare l’azione contro il Covid-19 su mezzi d’emergenza che non combattano le cause strutturali dell’epidemia è un errore dalle conseguenze drammatiche. Il principale pericolo che fronteggiamo è considerare il nuovo coronavirus come un fenomeno isolato.

    Come spiega il biologo statunitense, l’incremento degli incidenti con virus, nel nostro secolo, così come l’aumento delle loro pericolosità, sono direttamente legati alle strategie delle corporazioni agricole e dell’allevamento, responsabili della produzione industriale intensiva di proteine animali.

    Queste corporazioni sono così preoccupate per il loro profitto da assumere come un rischio proficuo la creazione e propagazione di nuovi virus, esternalizzando così i costi epidemiologici delle loro operazioni agli animali, alle persone, agli ecosistemi locali, ai governi e, proprio come mostra la pandemia attuale, allo stesso sistema economico mondiale.

    Nonostante l’origine esatta del Covid-19 non sia del tutto chiara, essendo possibili cause dell’infezione virale tanto i maiali delle macro-fattorie quanto il consumo di animali selvatici, questa seconda ipotesi non scagiona gli effetti diretti della produzione intensiva di animali.

    La ragione è semplice: l’industria dell’allevamento è responsabile dell’epidemia di influenza suina africana (ASP) che ha devastato le fattorie cinesi che allevano maiali l’anno scorso.

    Secondo Christine McCracken, la produzione cinese di carne di maiale potrebbe essere crollata del 50 per cento alla fine dell’anno passato. Considerato che, almeno prima dell’epidemia di ASf nel 2019, la metà dei maiali che esistevano nel mondo veniva allevata in Cina, le conseguenze per l’offerta di carne di maiale sono state drammatiche, particolarmente nel mercato asiatico.

    E’ precisamente questa drastica diminuzione dell’offerta di carne di maiale che avrebbe motivato un aumento della domanda di proteina animale proveniente dalla fauna selvatica, una delle specialità del mercato della città di Wuhan, che alcuni ricercatori hanno segnalato come l’epicentro dell’epidemia di Covid-19.

    5.

    Frédéric Neyrat ha pubblicato nel 2008 il libro “Biopolitique des catastrophes” (biopolitica delle catastrofi), una definizione con la quale egli indica una maniera di gestire il rischio che non mette mai in questione le cause economiche e antropologiche, precisamente le modalità di comportamento dei governi, delle élites e di una parte significativa delle popolazioni mondiali in relazione alla pandemia attuale.

    Nella proposta analitica del filosofo francese, le catastrofi implicano una interruzione disastrosa che sommerge il presunto corso normale dell’esistenza. Nonostante il suo carattere di evento, si tratta di processi in marcia che mostrano, qui e ora, gli effetti di qualcosa che è già in corso.

    Come segnala Neyrat, una catastrofe sempre si origina da qualche parte, è stata preparata, ha una storia.

    La pandemia che ci devasta disegna con efficacia la sua caratteristica di catastrofe, tra l’altro nell’incrocio tra epidemiologia e economia politica. Il suo punto di partenza è saldamente ancorato nei tragici effetti dell’industrializzazione capitalista del ciclo alimentare, particolarmente nell’allevamento.

    Oltre alle caratteristiche biologiche intrinseche dello stesso coronavirus, le condizioni della sua propagazione includono gli effetti di quattro decenni di politiche neoliberiste che hanno eroso drammaticamente le infrastrutture sociali che aiutano a sostenere la vita. In questa deriva, i sistemi sanitari pubblici sono stati particolarmente colpiti.

    Da giorni circolano nelle reti sociali e nei telefoni mobili testimonianze del personale sanitario che sta combattendo con la pandemia negli ospedali. Molti coincidono con la descrizione di una condizione generale catastrofica caratterizzata da una drammatica mancanza di risorse e di personale sanitario.

    Come annota Neyrat, la catastrofe possiede sempre una storicità e dipende da un principio di causalità.

    Dagli inizi del secolo, differenti collettivi e reti cittadine hanno denunciato il profondo deterioramento del sistema pubblico della salute che, per mezzo di una politica reiterata di sottrazione di capitali, ha condotto praticamente al collasso la sanità in Spagna.

    Nella Comunidad (Regione) di Madrid, territorio particolarmente colpito dal Covid-19, l’investimento pro capite destinato al sistema sanitario si è andato riducendo in modo critico negli ultimi anni, mentre si scatenava un parallelo processo di privatizzazione. Sia la cura primaria come i servizi di urgenza della regione erano già saturi e con gravi carenze di risorse prima dell’arrivo del coronavirus.

    Il neoliberismo e i suoi agenti politici hanno seminato su di noi temporali che un microorganismo ha trasformato in tempesta.

    Nel pieno della pandemia ci sarà sicuramente chi si affannerà nella ricerca di un colpevole, si tratti di un capro espiatorio o di un furfante. Si tratta di certo di un gesto inconscio per mettersi in salvo: trovare qualcuno a cui attribuire la colpa tranquillizza perché depista sulle responsabilità.

    Tuttavia più che impegnarsi nello smascherare un soggetto solo, è più opportuno identificare una forma di soggettivizzazione, ossia interrogarsi su uno stile di vita capace di scatenare devastazioni così drammatiche come quelle che oggi investono le nostre esistenze.

    Si tratta senza dubbio di una domanda che non ci salva né ci conforta e meno ancora ci offre una via d’uscita. Sostanzialmente perché questo stile di vita è il nostro.

    Un giornalista si è avventurato qualche giorno fa ad offrire una risposta sull’origine del Covid-19: “Il coronavirus è una vendetta della natura”. Al fondo non gli manca una ragione. Nel 1981 Margaret Thatcher depose una frase per i posteri che rivelava il senso del progetto cui lei partecipava: “L’economia è il metodo, l’obiettivo è cambiare l’anima”.

    La prima ministra non ingannava nessuno. Da tempo la ragione neoliberista ha convertito ai nostri occhi il capitalismo in uno stato di natura. L’azione di un essere microscopico, tuttavia, non solo sta riuscendo di arrivare anche alla nostra anima, ma ha spalancato una finestra grazie alla quale respiriamo l’evidenza di quel che non volevamo vedere.

    Ad ogni corpo che tocca e fa ammalare, il virus reclama che tracciamo la linea di continuità tra la sua origine e la qualità di un modo di vita incompatibile con la vita stessa. In questo senso, per paradossale che sembri, affrontiamo un patogeno dolorosamente virtuoso.

    La sua mobilità aerea sta mettendo allo scoperto tutte le violenze strutturali e le catastrofi quotidiane là dove si producono, ossia ovunque.

    Nell’immaginario collettivo comincia a diffondersi una razionalità di ordine bellico: siamo in guerra contro un coronavirus. Eppure sarebbe forse più esatto pensare che è una formazione sociale catastrofica quella che è in guerra contro di noi già da molto tempo.

    Nel corso della pandemia, le autorità politiche e scientifiche dicono che sono le persone gli agenti più decisivi per arginare il contagio.

    Il nostro confinamento è inteso in questi giorni come il più vitale esercizio di cittadinanza. Tuttavia, abbiamo bisogno di essere capaci di portarlo più lontano.

    Se la clausura ha congelato la normalità delle nostre inerzie e dei nostri automatismi, approfittiamo del tempo sospeso per interrogarci su inerzie e automatismi.

    Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri ci ha condotto a quel che oggi abbiamo.

    Il problema che affrontiamo non è solo il capitalismo in sé, ma anche il capitalismo in me. Chissà che il desiderio di vivere non ci renda capaci della creatività e della determinazione per costruire collettivamente l’esorcismo di cui abbiamo bisogno.

    Questo, inevitabilmente, tocca a noi persone comuni.

    Grazie alla storia sappiamo che i governanti e i potenti si affanneranno a fare il contrario.

    Non permettiamo che ci combattano, dividano o mettano gli uni contro gli altri.

    Non permettiamo che, travolti una volta ancora dal linguaggio della crisi, ci impongano la restaurazione intatta della struttura stessa della catastrofe.

    Benché apparentemente il confinamento ci abbia isolato gli uni dagli altri, tutto questo lo stiamo vivendo insieme.

    Anche in questo il virus appare paradossale: si mette in una condizione di relativa eguaglianza. In qualche modo riscatta dalla nostra amnesia il concetto di genere umano e la nozione di bene comune. Forse i fili etici più efficaci da cui cominciare a tessere un modo di vita diverso a un’altra sensibilità.

    https://ilmanifesto.it/covid-19-non-...e-il-problema/
    amate i vostri nemici

  11. #416
    Opinionista L'avatar di axeUgene
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    Citazione Originariamente Scritto da conogelato Visualizza Messaggio
    E' ora di parlare chiaro fra noi, Axe: Te mi ritieni tradizionalista? Ritieni che Papa Francesco sia un tradizionalista quando parla di Nuovo Umanesimo per l'Europa? Sincero, per favore. Non me la prendo. Basta che rispondi.
    se chiedi, ti rispondo volentieri; anche se è un po' difficile, perché manchi un po' delle categorie pe inquadrare il punto, sebbene sia una cosa comunissima;

    il problema è che la tua idea di società e di "menu" è come quella di una mensa di caserma, in cui la questione è la qualità, quantità del cibo, ecc... decisa dall'aiutante maggiore e dal capitano che comanda la Comando & Servizi; tu pensi - e questo è perfettamente legittimo - che alcuni piatti siano più buoni e sani di altri, e misuri il tuo giudizio su quello;
    la società moderna, da alcuni secoli, non è più una caserma; la gente, alla pausa pranzo, esce dal negozio o dall'ufficio e si sceglie la propria tavola calda; ora, io posso mangiare sano e deplorare il fast food, ma non posso litigare con chi ci va perché gli piace così;
    tu rimuovi proprio il punto:
    Tornare ad essere più naturali
    questa è una colossale sciocchezza, vuota, inutilizzabile, a meno di non chiamare in causa Nietzsche; tutta la nostra cultura, i "Valori", a maggior ragione il Vangelo, sono un costrutto diretto a combattere la "naturalità"; è assurdo che un cattolico che firma con "amate i vostri nemici" chiami in causa la naturalità, che suggerisce di sopprimere precauzionalmente quelli che nemici nemmeno sono, ma potrebbero diventarlo;

    recuperare quei Valori trasversali alla Società, antitetici all'edonismo, all'isolazionismo, all'individualismo...secondo te è essere intolleranti, reazionari e sovranisti? Leggi bene, per favore.
    oh Cono… certo che ho letto bene; io sono formato ad orientarmi tra le idee;

    "Senza la cultura cristiana il nostro mondo sarà destinato a fallire lo sostiene con forza il grande studioso e storico delle civiltà inglese Christopher Dawson
    bene, lo sostiene lui; quindi ?

    il problema di discutere con te è che tu contempli solo il merito, l'unico che ti piace, e rimuovi il metodo, che invece è la struttura della nostra società, che così non capisci;
    io i rendo pure conto che la tua idea di cittadinanza possa essere quella dell'attesa di un "leader buono"; è un'idea comune;

    ma quando tu pensi ad un'idea di Bene comune, verso il quale la società dovrebbe orientarsi, non contempli nemmeno l'idea che quell'idea potrebbe essere opposta alla tua; è successo nella storia;
    la società sovietica, quella cinese, avrebbero oppresso il tuo diritto al culto, ad avere quanti figli credi, anche quelle in nome di un Bene comune opposto all'individualismo, egoismo, edonismo, ecc...

    qui però la rimozione è, diciamo, poco onesta intellettualmente; perché la circostanza che quell'individualismo tutela anche le tue libertà individuali non può sfuggirti;

    posto che la "cultura cristiana" effettivamente prevalente è proprio quella che ha prodotto l'individualismo che critichi, nella sua versione riformata;
    ma qui mi fermo, perché dovrei fare "brevi cenni sull'universo".
    c'� del lardo in Garfagnana

  12. #417
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    Citazione Originariamente Scritto da conogelato Visualizza Messaggio
    ...Inoltre, lo studio rese chiaro che l’allevamento industriale ha incrementato le possibilità di contatto tra la fauna selvatica e il bestiame, facendo esplodere il rischio di trasmissione di malattie originate da animali selvatici i cui habitat sono drammaticamente aggrediti dalla deforestazione.

    Tra gli autori di questo studio compare Zhengli Shi, ricercatrice principale dell’Istituto di virologia di Wuhan, la città da cui proviene l’attuale Covid-19, il cui ceppo è identico per il 96 per cento al tipo di coronavirus trovato nei pipistrelli per mezzo dell’analisi genetica.
    ...
    https://ilmanifesto.it/covid-19-non-...e-il-problema/
    Interessante questa relazione tra allevamenti intensivi di animali e la trasmissione all'uomo del coronavirus.
    Fate l'amore, non la guerra.
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  13. #418
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    Citazione Originariamente Scritto da conogelato Visualizza Messaggio
    Il Manifesto è un quotidiano cattolico? No perchè adesso cadi nella provocazione eh....
    Quante volte ho premesso "fosse solo il Papa a fare questa analisi, ti darei ragione"? Quante volte Laura? 10? 50? 150?

    Covid-19, non torniamo alla normalità. La normalità è il problema! Il pericolo principale è pensare al Coronavirus come un fenomeno isolato, senza storia, senza contesto sociale, economico o culturale. Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri, ci ha condotto a quel che oggi abbiamo.

    Nell’ottobre del 2016 i suini neonati degli allevamenti della provincia di Guangdong, nel sud della China, cominciarono ad ammalarsi per il virus della diarrea epidemica suina (PEDV), un coronavirus che colpisce le cellule che ricoprono l’intestino tenue dei maiali. Quattro mesi dopo, tuttavia, i piccoli suini smisero di risultare positivi al PEDV, anche se continuavano ad ammalarsi e a morire.

    Come confermarono gli esami, si trattava di un tipo di malattia mai visto prima e che fu battezzata come Sindrome della Diarrea Acuta Suina (SADS-CoV), provocata da un nuovo coronavirus che uccise 24 mila suini neonati fino al maggio del 2017, precisamente nella stessa regione in cui tredici anni prima si era scatenata l’epidemia di polmonite atipica conosciuta come SARS.

    Nel gennaio del 2017, nel pieno dello sviluppo dell’epidemia suina che devastava la regione di Guangdong, vari ricercatori in virologia degli Stati uniti pubblicarono uno studio sulla rivista scientifica “Virus Evolution” in cui si indicavano i pipistrelli come la maggiore riserva animale di coronavirus del mondo.

    Le conclusioni della ricerca sviluppata in Cina furono coincidenti con lo studio nordamericano: l’origine del contagio fu localizzata, con precisione, nella popolazione di pipistrelli della regione.

    Ma come fu possibile che una epidemia tra i maiali fosse scatenata dai pipistrelli? Cos’hanno a che fare i maiali con questi piccoli animali con le ali?

    La risposta arrivò un anno dopo, quando un gruppo di ricercatori cinesi pubblicò un rapporto sulla rivista “Nature” in cui, oltre a segnalare al loro paese il focolaio rilevante di apparizione di nuovi virus ed enfatizzare l’alta possibilità di una loro trasmissione agli esseri umani, facevano notare come la crescita dei macro-allevamenti di bestiame avesse alterato le nicchie vitali dei pipistrelli.

    Inoltre, lo studio rese chiaro che l’allevamento industriale ha incrementato le possibilità di contatto tra la fauna selvatica e il bestiame, facendo esplodere il rischio di trasmissione di malattie originate da animali selvatici i cui habitat sono drammaticamente aggrediti dalla deforestazione.

    Tra gli autori di questo studio compare Zhengli Shi, ricercatrice principale dell’Istituto di virologia di Wuhan, la città da cui proviene l’attuale Covid-19, il cui ceppo è identico per il 96 per cento al tipo di coronavirus trovato nei pipistrelli per mezzo dell’analisi genetica.

    2.

    Nel 2004, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Organizzazione mondiale della salute animale (Oie) e l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), segnalarono l’incremento della domanda di proteina animale e l’intensificazione della sua produzione industriale come principali cause dell’apparizione e propagazione di nuove malattie zoonotiche sconosciute, ossia di nuove patologie trasmesse dagli animali agli esseri umani.

    Due anni prima, l’organizzazione per il benessere degli animali Compassion in World Farming aveva pubblicato sull’argomento un interessante rapporto. Per redigerlo, l’associazione britannica aveva utilizzato dati della Banca mondiale e dell’Onu sull’industria dell’allevamento che erano stati incrociati con rapporti sulle malattie trasmesse attraverso il ciclo mondiale della produzione alimentare.

    Lo studio concluse che la cosiddetta “rivoluzione dell’allevamento”, ossia l’imposizione del modello industriale dell’allevamento intensivo legato ai macro-allevamenti, stava provocando un incremento globale di infezioni resistenti agli antibiotici, rovinando i piccoli allevatori locali e promuovendo la crescita delle malattie trasmesse attraverso alimenti di origine animale.

    Nel 2005, esperti della Oms, della Oie e del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati uniti e il Consiglio nazionale del maiale di questo paese elaborarono uno studio nel quale si tracciava la storia della produzione negli allevamenti dal tradizionale modello delle piccole fattorie familiari fino all’imposizione delle macro-fattorie industriali.

    Tra le sue conclusioni, il rapporto segnalava, come uno dei maggiori impatti del nuovo modello di produzione agricola, la sua incidenza nell’amplificazione e mutazione di patogeni, così come il rischio crescente di disseminazione di malattie.

    Inoltre, lo studio notava come la sparizione dei modi tradizionali di allevamento a favore dei sistemi intensivi si stava producendo nella percentuale del 4 per cento l’anno, soprattutto in Asia, Africa e Sudamerica.

    Nonostante i dati e gli allarmi, non si è fatto nulla per frenare la crescita dell’allevamento industriale intensivo.

    Oggi, Cina e Australia concentrano il maggior numero di macro-fattorie del mondo. Nel gigante asiatico la popolazione degli animali allevati si è praticamente triplicata tra il 1980 e il 2010.

    La Cina è il produttore di animali allevati più importante del mondo, e concentra nel suo territorio il maggior numero di “landless systems” (sistemi senza terra), macro sfruttamento di allevamenti in cui si affollano migliaia di animali in spazi chiusi.

    Nel 1980 solo il 2,5 per cento degli allevamenti cinesi era costituito da questo tipo di fattoria, nel 2010 raggiungeva il 56 per cento.

    Come ci ricorda Silvia Ribeiro, ricercatrice del Gruppo di azione su erosione, tecnologia e concentrazione (ETC), una organizzazione internazionale che si concentra nella difesa della diversità culturale e ecologica e dei diritti umani, la Cina è la fabbrica del mondo.

    La crisi scatenata dall’attuale pandemia provocata dal Covid-19 rivela il suo ruolo nell’economia globale, particolarmente nella produzione industriale di alimenti e nello sviluppo dell’allevamento intensivo.

    Solo la Mudanjiang Ciy Mega Farm, una fattoria gigante situata nel nord-est della Cina, che contiene centomila vacche la cui carne e il cui latte sono destinati al mercato russo, è cinquanta volte più grande della più grande fattoria bovina dell’Unione europea.

    Le epidemie sono un prodotto dell’urbanizzazione. Quando circa cinquemila anni fa gli esseri umani cominciarono a raggrupparsi in città con una certa densità di popolazione, le infezioni poterono colpire simultaneamente grandi quantità di persone e i loro effetti mortali si moltiplicarono.

    Il pericolo di pandemie come quella attuale si generalizzò quando il processo di urbanizzazione è diventato globale.

    Se applichiamo questo ragionamento all’evoluzione della produzione di carne le conclusioni sono realmente inquietanti. In un periodo di cinquanta anni l’allevamento industriale ha “urbanizzato” una popolazione animale che prima si distribuiva in piccole e medie fattorie familiari. Le condizioni di affollamento di questa popolazione in macro-fattorie convertono ciascun animale in una sorta di potenziale laboratorio di mutazioni virali suscettibili di provocare nuove malattie e epidemie.

    Questa situazione è tuttavia più inquietante se consideriamo che la popolazione globale di animali allevati è quasi tre volte maggiore di quella di esseri umani.

    Negli ultimi decenni, alcune delle infezioni virali con maggiore impatto si sono prodotte grazie a infezioni che, oltrepassando la barriera delle specie, hanno avuto origine nello sfruttamento intensivo dell’allevamento.

    Michael Greger, ricercatore statunitense sulla salute pubblica e autore del libro “Flu: A virus of our own hatching” (influenza aviaria: un virus che abbiamo incubato noi stessi), spiega che prima della domesticazione degli uccelli, circa 2500 anni fa, l’influenza umana di certo non esisteva.

    Allo stesso modo, prima della domesticazione degli animali da allevamento non si hanno tracce dell’esistenza del morbillo, del vaiolo e di altri morbi che hanno colpito l’umanità da quando sono apparsi in fattorie e stalle intorno all’anno ottomila prima della nostra era.

    Una volta che i morbi saltano la barriera tra specie possono diffondersi nella specie umana provocando conseguenze tragiche, come la pandemia scatenata da un virus dell’influenza aviaria nel 1918 e che in un solo anno uccise tra 20 e 40 milioni di persone.

    Come spiega il dottor Greger, le condizioni di insalubrità nelle trincee della prima guerra mondiale sono solo una delle variabili che causarono una rapida propagazione del contagio del 1918, e sono a loro volta replicate oggi in molti dei mega-allevamenti che si sono moltiplicati negli ultimi venti anni con lo sviluppo dell’allevamento industriale intensivo.

    Miliardi di polli, per esempio, sono allevati in questa macro-imprese che funzionano come spazio di contenimento suscettibile di generare una tempesta perfetta di carattere virale.

    Da quando l’allevamento industriale si è imposto nel mondo, la medicina sta rilevando morbi sconosciuti e un ritmo insolito: negli ultimi trent’anni si sono identificati più di trenta patogeni umani, la maggior parte dei quasi virus zoonotici come l’attuale Covid-19.

    4.

    Il biologo Robert G. Wallace ha pubblicato nel 2016 un libro importante per tracciare la connessione tra i modelli della produzione capitalista di bestiame e l’eziologia delle epidemie esplose negli ultimi decenni: “Big Farms Make Big Flu” (le mega-fattorie producono macro-influenze).

    Alcuni giorni fa, Wallace concesse una intervista alla rivista tedesca Marx21, nella quale sottolinea una idea chiave: concentrare l’azione contro il Covid-19 su mezzi d’emergenza che non combattano le cause strutturali dell’epidemia è un errore dalle conseguenze drammatiche. Il principale pericolo che fronteggiamo è considerare il nuovo coronavirus come un fenomeno isolato.

    Come spiega il biologo statunitense, l’incremento degli incidenti con virus, nel nostro secolo, così come l’aumento delle loro pericolosità, sono direttamente legati alle strategie delle corporazioni agricole e dell’allevamento, responsabili della produzione industriale intensiva di proteine animali.

    Queste corporazioni sono così preoccupate per il loro profitto da assumere come un rischio proficuo la creazione e propagazione di nuovi virus, esternalizzando così i costi epidemiologici delle loro operazioni agli animali, alle persone, agli ecosistemi locali, ai governi e, proprio come mostra la pandemia attuale, allo stesso sistema economico mondiale.

    Nonostante l’origine esatta del Covid-19 non sia del tutto chiara, essendo possibili cause dell’infezione virale tanto i maiali delle macro-fattorie quanto il consumo di animali selvatici, questa seconda ipotesi non scagiona gli effetti diretti della produzione intensiva di animali.

    La ragione è semplice: l’industria dell’allevamento è responsabile dell’epidemia di influenza suina africana (ASP) che ha devastato le fattorie cinesi che allevano maiali l’anno scorso.

    Secondo Christine McCracken, la produzione cinese di carne di maiale potrebbe essere crollata del 50 per cento alla fine dell’anno passato. Considerato che, almeno prima dell’epidemia di ASf nel 2019, la metà dei maiali che esistevano nel mondo veniva allevata in Cina, le conseguenze per l’offerta di carne di maiale sono state drammatiche, particolarmente nel mercato asiatico.

    E’ precisamente questa drastica diminuzione dell’offerta di carne di maiale che avrebbe motivato un aumento della domanda di proteina animale proveniente dalla fauna selvatica, una delle specialità del mercato della città di Wuhan, che alcuni ricercatori hanno segnalato come l’epicentro dell’epidemia di Covid-19.

    5.

    Frédéric Neyrat ha pubblicato nel 2008 il libro “Biopolitique des catastrophes” (biopolitica delle catastrofi), una definizione con la quale egli indica una maniera di gestire il rischio che non mette mai in questione le cause economiche e antropologiche, precisamente le modalità di comportamento dei governi, delle élites e di una parte significativa delle popolazioni mondiali in relazione alla pandemia attuale.

    Nella proposta analitica del filosofo francese, le catastrofi implicano una interruzione disastrosa che sommerge il presunto corso normale dell’esistenza. Nonostante il suo carattere di evento, si tratta di processi in marcia che mostrano, qui e ora, gli effetti di qualcosa che è già in corso.

    Come segnala Neyrat, una catastrofe sempre si origina da qualche parte, è stata preparata, ha una storia.

    La pandemia che ci devasta disegna con efficacia la sua caratteristica di catastrofe, tra l’altro nell’incrocio tra epidemiologia e economia politica. Il suo punto di partenza è saldamente ancorato nei tragici effetti dell’industrializzazione capitalista del ciclo alimentare, particolarmente nell’allevamento.

    Oltre alle caratteristiche biologiche intrinseche dello stesso coronavirus, le condizioni della sua propagazione includono gli effetti di quattro decenni di politiche neoliberiste che hanno eroso drammaticamente le infrastrutture sociali che aiutano a sostenere la vita. In questa deriva, i sistemi sanitari pubblici sono stati particolarmente colpiti.

    Da giorni circolano nelle reti sociali e nei telefoni mobili testimonianze del personale sanitario che sta combattendo con la pandemia negli ospedali. Molti coincidono con la descrizione di una condizione generale catastrofica caratterizzata da una drammatica mancanza di risorse e di personale sanitario.

    Come annota Neyrat, la catastrofe possiede sempre una storicità e dipende da un principio di causalità.

    Dagli inizi del secolo, differenti collettivi e reti cittadine hanno denunciato il profondo deterioramento del sistema pubblico della salute che, per mezzo di una politica reiterata di sottrazione di capitali, ha condotto praticamente al collasso la sanità in Spagna.

    Nella Comunidad (Regione) di Madrid, territorio particolarmente colpito dal Covid-19, l’investimento pro capite destinato al sistema sanitario si è andato riducendo in modo critico negli ultimi anni, mentre si scatenava un parallelo processo di privatizzazione. Sia la cura primaria come i servizi di urgenza della regione erano già saturi e con gravi carenze di risorse prima dell’arrivo del coronavirus.

    Il neoliberismo e i suoi agenti politici hanno seminato su di noi temporali che un microorganismo ha trasformato in tempesta.

    Nel pieno della pandemia ci sarà sicuramente chi si affannerà nella ricerca di un colpevole, si tratti di un capro espiatorio o di un furfante. Si tratta di certo di un gesto inconscio per mettersi in salvo: trovare qualcuno a cui attribuire la colpa tranquillizza perché depista sulle responsabilità.

    Tuttavia più che impegnarsi nello smascherare un soggetto solo, è più opportuno identificare una forma di soggettivizzazione, ossia interrogarsi su uno stile di vita capace di scatenare devastazioni così drammatiche come quelle che oggi investono le nostre esistenze.

    Si tratta senza dubbio di una domanda che non ci salva né ci conforta e meno ancora ci offre una via d’uscita. Sostanzialmente perché questo stile di vita è il nostro.

    Un giornalista si è avventurato qualche giorno fa ad offrire una risposta sull’origine del Covid-19: “Il coronavirus è una vendetta della natura”. Al fondo non gli manca una ragione. Nel 1981 Margaret Thatcher depose una frase per i posteri che rivelava il senso del progetto cui lei partecipava: “L’economia è il metodo, l’obiettivo è cambiare l’anima”.

    La prima ministra non ingannava nessuno. Da tempo la ragione neoliberista ha convertito ai nostri occhi il capitalismo in uno stato di natura. L’azione di un essere microscopico, tuttavia, non solo sta riuscendo di arrivare anche alla nostra anima, ma ha spalancato una finestra grazie alla quale respiriamo l’evidenza di quel che non volevamo vedere.

    Ad ogni corpo che tocca e fa ammalare, il virus reclama che tracciamo la linea di continuità tra la sua origine e la qualità di un modo di vita incompatibile con la vita stessa. In questo senso, per paradossale che sembri, affrontiamo un patogeno dolorosamente virtuoso.

    La sua mobilità aerea sta mettendo allo scoperto tutte le violenze strutturali e le catastrofi quotidiane là dove si producono, ossia ovunque.

    Nell’immaginario collettivo comincia a diffondersi una razionalità di ordine bellico: siamo in guerra contro un coronavirus. Eppure sarebbe forse più esatto pensare che è una formazione sociale catastrofica quella che è in guerra contro di noi già da molto tempo.

    Nel corso della pandemia, le autorità politiche e scientifiche dicono che sono le persone gli agenti più decisivi per arginare il contagio.

    Il nostro confinamento è inteso in questi giorni come il più vitale esercizio di cittadinanza. Tuttavia, abbiamo bisogno di essere capaci di portarlo più lontano.

    Se la clausura ha congelato la normalità delle nostre inerzie e dei nostri automatismi, approfittiamo del tempo sospeso per interrogarci su inerzie e automatismi.

    Non c’è normalità alla quale ritornare quando quello che abbiamo reso normale ieri ci ha condotto a quel che oggi abbiamo.

    Il problema che affrontiamo non è solo il capitalismo in sé, ma anche il capitalismo in me. Chissà che il desiderio di vivere non ci renda capaci della creatività e della determinazione per costruire collettivamente l’esorcismo di cui abbiamo bisogno.

    Questo, inevitabilmente, tocca a noi persone comuni.

    Grazie alla storia sappiamo che i governanti e i potenti si affanneranno a fare il contrario.

    Non permettiamo che ci combattano, dividano o mettano gli uni contro gli altri.

    Non permettiamo che, travolti una volta ancora dal linguaggio della crisi, ci impongano la restaurazione intatta della struttura stessa della catastrofe.

    Benché apparentemente il confinamento ci abbia isolato gli uni dagli altri, tutto questo lo stiamo vivendo insieme.

    Anche in questo il virus appare paradossale: si mette in una condizione di relativa eguaglianza. In qualche modo riscatta dalla nostra amnesia il concetto di genere umano e la nozione di bene comune. Forse i fili etici più efficaci da cui cominciare a tessere un modo di vita diverso a un’altra sensibilità.

    https://ilmanifesto.it/covid-19-non-...e-il-problema/
    E adesso dimmi, dopo quanto hai copia-incollato, dove sta la ribellione e punizione della natura visto che parliamo di fattori ecologici, biologici, sanitari, dove al verificarsi di certe condizioni, si producono degli eventi? Perché non è che basta che l'abbia scritto il giornalista o lo dica il nome altisonante perché questa natura diventi un'entità cosciente. Pur di squillare la tromba dell'apocalisse almeno una volta al giorno e togliere dio da tutto ciò che è negativo, finisci per diventare pure pagano.
    Di malattie e di epidemie ce ne sono tante e di motivi del loro insorgere e diffondersi lo stesso, il clima può entrarci, la presenza di animali vicino l'uomo, sia allevati e selvatici, scambio merci, migrazioni, immunizzazione presente o assente, stato di salute e nutrizionale dell'individuo, igiene, demografia. Senza contare quelle semplicemente che riguardano gli animali, gli ungulati ad esempio, come l'afta epizootica.
    Ogni patogeno ha la sua storia si può dire, appare e si diffonde secondo suoi propri cicli di vita, dove certo i fattori ambientali hanno il loro ruolo. Quello che non hai capito è che quello che fa incazzare è la demagogia e la retorica, questo virus sembra diventato il capro espiatorio di tutti i mali, la scusa per infilarlo per ogni dove, fare sensazione, tirare l'acqua al mulino delle proprie idee ed ideologia. Se è vero che questo pianeta non lo trattiamo molto bene e che, data la situazione due riflessioni in più vengono di farle, è anche vero che questo virus è messo di mezzo anche ad cazzum e ci vengon fatti du' 'oglioni.
    La peste del 1348 ormai è passata, la spagnola pure, il vaiolo, la tubercolosi, il tifo, roba sempre d'altri tempi. Questo virus ci turba perché ha la sua % di mortalità, c'è l'aspetto economico e lo stiamo vivendo noi ora. Ma questa malattia non è neanche fra le peggiori. Altre epidemie hanno fatto ben più morti di adesso e purtroppo alle epidemie è sempre seguito un periodo di crisi e povertà. Oggi non è ieri e speriamo di tamponare lo scossone.
    Il vaiolo, se ci riferiamo a quello più grave e virulento, dato dalla Variola major (meno grave il virus della Variola minor), non ha ospiti animali. Altro tipo di vaiolo è quello bovino e quello sì, trasmissibile fra animali e uomo e da cui poi è stato creato il vaccino anche per il vaiolo solo umano.
    Quindi Cono, quando vieni a squillare l'apocalisse, non ti merita mettere tutto nel calderone, i migranti africani, l'orso polare senza ghiaccio e controllare meglio le fonti a cui attingi.
    Ti ricordo poi che uno fra i tanti fattori delle epidemia è anche quello demografico. Eh sì, la numerosità della specie umana ha il suo peso sulle epidemie.
    Pienamente funzionante e programmata in tecniche multiple

  14. #419
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Citazione Originariamente Scritto da Arcobaleno Visualizza Messaggio
    Il tuo è un voler rimanere bloccato a 2000 anni fa. Mentre mi pare evidente che fenomeni come le due guerre mondiali e questa pandemia - nel mondo ci si avvicina ai 200.000 morti - si possono considerare fenomeni apocalittici. Non è tanto il numero dei morti, comunque già elevato, ma le ripercussioni su tutte le nostre vite che rende questa pandemia apocalittica.
    Chi considera le due guerre mondiali e questa pandemia né più né meno che fenomeni normali che si ripetono nel tempo, non ha fatto un passo avanti rispetto ai tempi di Gesù.
    Se si parla di Gesù quale fondamento della nostra professione di fede il lui, se si cerca ciò che in lui costituisce il fondamento della nostra fede, non può trattarsi che del Gesù di allora.
    Questo fondamento della nostra fede è confermato certamente, e deve essere confermato nella nostra attuale esperienza della realtà; ma esso in sé consiste interamente in ciò che è accaduto un tempo.
    Il Nuovo Testamento ci insegna che, con la sua glorificazione, Gesù fu sottratto alla terra ed ai suoi discepoli. Noi sappiamo che Gesù vive nella gloria solo sulla base di ciò che è allora avvenuto e non sulla base di esperienze attuali.
    Soltanto perché crediamo alla fedeltà ed all'attendibilità del racconto della resurrezione e della glorificazione di Gesù, posiamo rivolgere la nostra preghiera a colui che è stato glorificato e che ora vive, e possiamo essere oggi in rapporto con lui.
    Di questi fatti nessuno comunque possiede oggi un'esperienza, che si possa distinguere con sicurezza da un'illusione.

  15. #420
    Opinionista L'avatar di Arcobaleno
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    Crep, non si può prescindere dalle parole profetiche di Gesù, presenti nei Vangeli canonici, in Apocalisse e nei Vangeli gnostici.
    Tu hai ribadito più volte il tuo legame al qui e ora, che però è già espressione del profetismo del tempo che fu.
    Quello che hai scritto sembra più una citazione che un tuo pensiero originale. Ciò è accettabile solo a prescindere dal Gesù profeta e, quindi, è totalmente inaccettabile.
    Bisogna tener conto delle profezie che si realizzano, tenere gli occhi aperti, non far finta di nulla e restare bloccati.
    Fate l'amore, non la guerra.
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