Il principale "teologo" di questa nuova religione è, senza dubbio, Nietzsche:
L'essenziale, invece, di una buona e sana aristocrazia è che essa "non" si avverta come funzione (sia della regalità che della comunità), bensì come senso e come suprema giustificazione di queste - che accolga perciò con tranquilla coscienza il sacrificio di innumerevoli esseri umani che "per amor suo" devono essere spinti in basso e diminuiti fino a divenire uomini incompleti, schiavi, strumenti. La sua convinzione fondamentale deve essere appunto questa: che la società "non" può esistere per amore della società, bensì soltanto come infrastruttura e impalcatura, su cui una specie prescelta di individui è in grado di innalzarsi al suo compito superiore e soprattutto a un "essere" superiore.
Trattenerci reciprocamente dall'offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, stabilire un'eguaglianza tra la propria volontà e quella dell'altro: tutto questo può, in un certo qual senso grossolano, divenire una buona costumanza tra individui, ove ne siano date le condizioni (vale a dire la loro effettiva somiglianza in quantità di forza e in misure di valore, nonché la loro mutua interdipendenza all'interno di "un unico" corpo). Ma appena questo principio volesse guadagnare ulteriormente terreno, addirittura, se possibile, come "principio basilare della società", si mostrerebbe immediatamente per quello che è: una volontà di "negazione" della vita, un principio di dissoluzione e di decadenza. Su questo punto occorre rivolgere radicalmente il pensiero al fondamento e guardarsi da ogni debolezza sentimentale: la vita è "essenzialmente" appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie, un incorporare o per lo meno, nel più temperato dei casi, uno sfruttare - ma a che scopo si dovrebbe sempre usare proprio queste parole, sulle quali da tempo immemorabile si è impressa un'intenzione denigratoria? Anche quel corpo all'interno del quale, come è stato precedentemente ammesso, i singoli si trattano da eguali - ciò accade in ogni sana aristocrazia - deve anch'esso, ove sia un corpo vivo e non moribondo, fare verso gli altri corpi tutto ciò da cui vicendevolmente si astengono gli individui in esso compresi: dovrà essere la volontà di potenza in carne e ossa, sarà volontà di crescere, di estendersi, di attirare a sé, di acquistare preponderanza - non trovando in una qualche moralità o immoralità il suo punto di partenza, ma per il fatto stesso che esso "vive", e perché vita "è" precisamente volontà di potenza.
In nessun punto, tuttavia, la coscienza comune degli Europei è più riluttante all'ammaestramento di quanto lo sia a questo proposito; oggi si vaneggia in ogni dove, perfino sotto scientifici travestimenti, di condizioni di là da venire della società, da cui dovrà scomparire il suo «carattere di sfruttamento» - ciò suona alle mie orecchie come se si promettesse di inventare una vita che si astenesse da ogni funzione organica. Lo «sfruttamento» non compete a una società guasta oppure imperfetta e primitiva: esso concerne l'"essenza" del vivente, in quanto fondamentale funzione organica, è una conseguenza di quella caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita. - Ammesso che questa, come teoria, sia una novità - come realtà è il "fatto originario" di tutta la storia: si sia fino a questo punto sinceri verso se stessi! -