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Risultati da 31 a 45 di 48

Discussione: Con chi siete?

  1. #31
    Citazione Originariamente Scritto da crepuscolo Visualizza Messaggio
    Quanti anni ha tuo figlio?
    Ha 16 anni.

  2. #32
    Citazione Originariamente Scritto da doxa Visualizza Messaggio
    Crep hai titolato questo topic: "Con chi siete". O. K., però a me evoca l'esilarante scena con Benigni e Massimo Troisi nel film: "Non ci resta che piangere".

    questo è il link

    https://www.youtube.com/watch?v=fQa1XH8FMOc

    pensa se ti ferma la police mentre sei in auto e ti fa quelle domande e alla fine ti fa pagare pure la multa.

    Buon pomeriggio !
    Ciao doxa, davvero buffa questa storia tratta dal film, mi ha sempre fatto sbellicare...
    Complimenti per i tuoi post sempre interessanti

  3. #33
    Opinionista L'avatar di follemente
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    Non so se a qualcuno possono risultare utili questi consigli psicologici per vivere al meglio la situazione attuale, io ve li linko lo stesso:

    https://www.ilpost.it/2020/03/16/con...--nJ91n_dRFplM

    Ad esempio, io trascorro troppo tempo leggendo svariati giornali e interagendo su Fb, vedo che mi stanca, anche emotivamente, non mi fa bene.

  4. #34
    رباني L'avatar di King Kong
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    Mia moglie è specialista alle cure intensive, mi ha cacciato da casa per evitare il contagio per me particolarmente pericoloso a causa di patologie importanti e croniche. Sono solo in un piccolo appartamento in campagna, quasi clandestino. Per fortuna i vicini sono amici e ci conosciamo da tanto tempo. Ho un tavolino davanti alla porta d’ingresso, lascio una scodella con i soldi e la lista della spesa e quando la spesa è fatta, la ritrovo sul tavolino. Ho due libri, uno iniziato e uno di riserva. Mi sono portato anche la mia radio Sony che avevo comprato ai tempi della guerra in Bosnia per sentire radio Serayevo. Esco un paio di ore al giorno con le macchine fotografiche, attorno campagna e boschi, mucche al pascolo, cavalli e, con un po’ di fortuna, la volpe e i fagiani. Questa mattina mi è riuscito di fotografare un picchio e una famigliola di caprioli.
    Non mi annoio, mantengo qualche contatto con whatsapp e messenger, la solitudine non mi spaventa, anzi, mi sento a mio agio. Non ho paura del contagio, ma della eventualità che qualche paesano carogna faccia l’untore con me che vengo da “fuori”. Il clima non è dei migliori e su FB si fa a gara a chi trova i “trasgressori”.
    Oggi anche il Corriere pubblica un video con i Runner attorno al castello sforzesco. Vi ricordate i bravi cittadini tedeschi che denunciavano i vicini di casa ebrei? È esagerato, ma comincio a capire come sia stato possibile. Non credo che sia sempre stato l’odio ideologico o politico, ma l’istinto (basso) di sentirsi importanti e dalla parte “giusta”. Tanto tempo fa, quando si pensava di fare la rivoluzione, un amico mi disse che si, la rivoluzione rende creativi i creativi, ma sanguinari i sanguinari. Ecco, credo che in questo momento di crisi avremo modo di conoscere meglio i nostri vicini, colleghi, amici...
    Vabbeh, il pippone mi è sfuggito di mano...
    A tutti auguro il meglio e una pronta guarigione per chi è direttamente coinvolto.
    Andrà tutto bene.
    Aut hic aut nullubi

  5. #35
    Opinionista L'avatar di follemente
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    Grazie King Kong! Tanti auguri anche a te.

    Ultima modifica di follemente; 23-03-2020 alle 16:24

  6. #36
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    C'è chi è dentro e chi è fuori ma tutti siamo nella stessa stanza.

    Proverbio carcerario.

  7. #37
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    La storia raccontata dalla parola lazzaretto

    Il Lazzaretto di Milano venne costruito tra la fine del ‘400 e l'inizio del ‘500 fuori da Porta Orientale, come ricovero per i malati durante le epidemie.
    Era costruito a forma di quadrilatero lungo 378 metri e largo 370 e occupava un'area delimitata dalle odierne via San Gregorio, via Lazzaretto, viale Vittorio Veneto e corso Buenos Aires.


    Il lazzaretto negli anni 1880, attraversato dalla ferrovia

    Alessandro Manzoni “I promessi sposi”, capitolo XXXV):

    “S'immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt'ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; [...] e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi”.

    Lorenzo Tomasin: "Non la chiamiamo più peste, forse perché il termine oggi tecnicamente più appropriato pandemia ce la fa apparire devastante, sì, ma anche più razionalmente descrivibile, riconducibile - con quel tipico grecismo - a una controllabile patologia.

    E non parliamo più di lazzaretti: «non abbiamo voluto creare un lazzaretto», ha detto qualche giorno fa un consulente della Regione Lombardia, chiarendo: «non abbiamo voluto creare capannoni con brandine per mettere lì chi non aveva più speranza».

    Tanto può, nell'immaginario generale, il topos romanzesco del lazzaretto come luogo caotico della incurabile disperazione. È un altro nome da non evocare, un' altra parola da evitare, in italiano almeno, perché ormai carica di un' inguaribile negatività. Ai lombardi di oggi, il nome ricorda il lazzeretto milanese descritto dal Manzoni dei Promessi sposi: luogo sciagurato in cui le duecento e ottantotto stanze previste «o giù di là» erano state stipate con diecimila accattoni raccolti spesso a forza dagli angoli delle strade.

    A dire il vero, il nome lazzaretto (oggi definitivamente impostosi in una forma diversa da quella toscaneggiante preferita da Manzoni) non viene dalla Milano di Renzo e fra' Cristoforo, bensì da una Venezia più antica, in cui i Lazzaretti - ce ne sono due: il Vecchio e il Nuovo - erano luoghi più ordinati ed efficienti.

    La storia dei lazzaretti inizia su un' isola della Laguna posta di fronte al Lido, sede dal tardo Medioevo di un monastero dedicato a Santa Maria di Nazareth, detto appunto popolarmente nazaret(o). Nella prima metà del Quattrocento il luogo fu scelto come ricovero per i malati, e qualche decennio più tardi un' altra isola poco lontana - che ospitava la vigna dei Benedettini di San Giorgio: oggi Lazzaretto nuovo - fu destinata alla pratica della contumacia per merci e marinai sani provenienti da porti infetti. È quella che chiamiamo oggi quarantena, termine quest' ultimo di origine religiosa (in origine indicava periodi di penitenza e preghiera) che però qui non era usato, sebbene oggi molti lo ritengano di origine veneziana: nel senso di 'isolamento sanitario' pare lo si sia introdotto per la prima volta in Lombardia, durante la cosiddetta peste di San Carlo (1566-1567: lo usa anche Torquato Tasso in una sua lettera di quegli anni).

    La denominazione dell' isoletta lagunare oscillava dunque tra nazareto e lazareto, e quest' ultima forma era certo influenzata dal nome del Lazzaro lebbroso menzionato nel Vangelo (per cui termini simili riferiti a persone indicavano già in generale i malati, i derelitti, gli emarginati: si pensi al fortunato lazzarone, di origine meridionale), oltre che dalla vicinanza di un' altra isola, dedicata appunto a San Lazzaro (oggi degli Armeni) e adibita da tempo ad analoghe funzioni. Nei decreti della Serenissima emanati durante il Quattrocento per fronteggiare le pestilenze si può osservare quasi in diretta l' evoluzione dell' uso dal Nazareth ancora impiegato nelle prime leggi in materia al Lazzareto invalso verso la fine del secolo.

    La parola veneziana vagò per l' Europa, andando a indicare in alcune lingue il ricovero per gli ammalati, senza un necessario nesso né con le pratiche di contumacia, né con le pestilenze: per questa via, ancora oggi in alcune lingue la parola corrispondente a 'lazzaretto' indica semplicemente l' ospedale, come càpita nei Paesi scandinavi: in svedese e norvegese, lasarett, in danese lazarett, che (come in tedesco e in inglese) è l' ospedale da campo, ciò che fa supporre una circolazione del termine in ambiente militare, lontano dalle pagine della letteratura. (Il Sole 24 Ore, 29 – 3 - 2020)

  8. #38
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  9. #39
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    Musica che unisce: Bellissimo il programma di Rai1, con i messaggi da tutta Italia che scorrevano durante le più belle canzoni dei nostri autori e cantanti. Napoletani che gridano "forza Lombardia!", friulani che si sentono nella stessa barca dei marchigiani, un unico e accorato CE LA FAREMO che ha percorso lo stivale da nord a sud: E' stato bello!

    https://www.repubblica.it/spettacoli...-C8-P1-S1.8-T1
    amate i vostri nemici

  10. #40
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    Per la quarantena io e il gatto trascorriamo il tempo alla finestra


  11. #41
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    La colonna e la lapide che furono collocate nel 1630 a Milano all’angolo tra le attuali via Gian Giacomo Mora e Corso di Porta Ticinese in memoria del processo “all’untore” Gian Giacomo Mora.

    La colonna fu voluta dal governo milanese durante la dominazione spagnola come marchio d’infamia nei confronti dei due untori.

    “La casa del Mora si spiani, et in quel largo si drizzi una Colonna, la quale si chiami Infame et in essa si scrivi il successo, né ad alcuno sia permesso mai più riedificare detta casa”.

    Quella colonna fu demolita nel 1778 quando Milano apparteneva all’impero austriaco. L’amministrazione comunale cercò di far demolire la colonna, approfittando di una norma che vietava il restauro dei monumenti d'infamia.

    Nella notte tra il 24 e il 25 agosto 1778 gli abitanti nelle vicine abitazioni sentirono più volte colpire la base della colonna, che cadde. "La palla che la sormontava rotolò giù pel vicolo dei Vetraschi". Alla fine di agosto i resti furono smantellati completamente.

    Dopo l'eliminazione della colonna infame, il terreno venne acquistato e fu costruita un'abitazione.

    La “Storia della colonna infame”, simbolo della superstizione e dell’iniquità del sistema giudiziario spagnolo, divenne famosa con l’omonimo saggio di Alessandro Manzoni.

    Da Wikipedia: “Milano, allora amministrata dagli spagnoli, fu duramente colpita nel 1630 da una terribile peste diffusa in gran parte del nord della penisola italiana, nota anche come peste manzoniana e che uccise quasi la metà della popolazione provocando la morte di circa 60.000 milanesi: in un clima che vedeva la popolazione allo stremo, aggravato dalla ampia diffusione di superstizioni popolari, una donna del quartiere denunciò Guglielmo Pozza accusandolo di essere un untore intento a diffondere il morbo mediante particolari unguenti procuratigli dal barbiere Gian Giacomo Mora e che egli avrebbe applicato alle porte di alcune case. Venne quindi imbastito un processo in cui i due malcapitati vennero accusati di essere untori: il procedimento, condizionato da un uso disinvolto della tortura secondo gli usi dell'epoca, terminò con la condanna a morte dei due che confessarono la propria inesistente colpevolezza pur di porre fine alle atroci sofferenze a loro causate dalle torture, peraltro contraddicendo più volte le loro stesse dichiarazioni.

    La sentenza, oltre ad una condanna a morte da eseguirsi dopo vari supplizi da infliggere sfilando per le contrade della città, prevedeva l'abbattimento della casa-bottega di Gian Giacomo Mora; lo spazio vuoto venne occupato dalla colonna infame a memoria perpetua delle punizioni che sarebbero toccate a chi si fosse macchiato della colpa di essere un untore e come marchio di infamia indelebile per lo sventurato Mora.

    Nella prima metà del XVIII secolo l'avversione verso i presunti untori era ancora viva e diffusa tra la popolazione.

    Nel 1674 Carlo Torre nel suo “Ritratto di Milano” scrisse: “Ditemi che state voi osservando in quel lato sinistro, dove apresi ristretta aia, entro cui sorge colonna, e nel cui seno leggesi COLONNA INFAME? S'ella è cagione dei vostri fissi sguardi, dirovvi, essere stata tal colonna eretta nell'anno fatale 1630, allor quando in Milano fiero morbo di pestilenza, fece inenarrabile strazio de' cittadini, venendo accresciuta la di lui rabbia con avvelenate unzioni, anzi ammaliate, da perfidi animi somministrate, che pagarono alfine il fio de' loro tradimenti con gastighi atroci. [...] Vennevi mai all'orecchio più enorme scelleratezza? Fu ragione cancellare dal libro dei viventi chi desiderava estinti gli stessi viventi: spiantare le mura dell'abitazione di colui, che voleva dispopolata di cittadini la sua natia città e con unzioni rendeva più sdruccioloso il sentiere della morte”.

    L’abate e storico milanese Serviliano Latuada (1704 – 1764) nel 1738 scrisse: «Sopra la vasta strada, che guida verso il centro della Città, si ritrova a mano manca una Colonna piantata sopra picciola Piazza, che conduce entro un'altra Contrada, detta de' Cittadini [...]. Chiamasi Colonna Infame, sendo stata innalzata ad eterna memoria dell' empia scelleraggine commessa dal barbiere Giangiacopo Mora, che appunto in questo luogo abitava, la di cui Casa diroccata servì di piedistallo all'erezione di questa Colonna. Nell'anno 1630 faceva gran strage in questa Città la pestilenza, ed il mentovato Mora collegato Con Guglielmo Piazza e molt'altri accresceva con unguenti avvelenati a' nostri Cittadini il terrore. Preso pertanto, e condannato ad atrocissima morte, insieme degli altri Complici, gli fu ancora eretto quello perenne testimònio delle di lui scelleraggini»

    Della colonna non sono giunte descrizioni dettagliate, ma nelle stampe è raffigurata con una palla posta sulla sommità.
    La lapide che descrive gli avvenimenti e le pene inflitte ai colpevoli era originariamente posta su un muro a fianco della colonna ed è oggi conservata nei musei del castello sforzesco.


    = «Qui dov'è questa piazza sorgeva un tempo la barbieria di Gian Giacomo Mora il quale congiurato con Guglielmo Piazza pubblico commissario di sanità e con altri mentre la peste infieriva più atroce sparsi qua e là mortiferi unguenti molti trasse a cruda morte.

    Questi due adunque giudicati nemici della patria il senato comandò che sovra alto carro martoriati prima con rovente tanaglia e tronca la mano destra si frangessero colla ruota e alla ruota intrecciati dopo sei ore scannati poscia abbruciati e perché nulla resti d'uomini così scellerati confiscati gli averi si gettassero le ceneri nel fiume.

    A memoria perpetua di tale reato questa casa officina del delitto il Senato medesimo ordinò spianare e giammai rialzarsi in futuro ed erigere una colonna che si appelli infame.

    Lungi adunque lungi da qui buoni cittadini che voi l'infelice infame suolo non contamini.

    Il primo d'agosto MDCXXX.
    (Il presidente della Pubblica Sanità, Marco Antonio Monti senatore)
    (Il presidente dell'ecc. Senato, Giovanni Battista Trotti)
    (Il R. Capitano della Giustizia, Giovanni Battista Visconti)”

    Oggi all'angolo tra via Gian Giacomo Mora e corso di Porta Ticinese c’è una palazzina; nel 2005 in una rientranza vennero poste una scultura in bronzo e una targa a ricordo degli eventi:

    “QUI SORGEVA UN TEMPO LA CASA DI GIANGIACOMO MORA
    INGIUSTAMENTE TORTURATO E CONDANNATO A MORTE
    COME UNTORE DURANTE LA PESTILENZA DEL 1630.
    "... È UN SOLLIEVO PENSARE CHE SE NON SEPPERO QUELLO CHE FACEVANO,
    FU PER NON VOLERLO SAPERE, FU PER QUELL'IGNORANZA CHE L'UOMO
    ASSUME E PERDE A SUO PIACERE, E NON È UNA SCUSA MA UNA COLPA".
    (Alessandro Manzoni, “Storia della colonna infame”).

  12. #42
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    Il filosofo e sociologo francese Paul-Michel Foucault (1926 – 1984) scrisse il saggio titolato “Sorvegliare e punire. Nascita della prigione”. Nella terza parte del terzo capitolo dedicato al "panoptismo" argomenta anche sulla peste.

    “Panoptismo” è una parola di origine greca derivante da “panòpticon, lemma composto da “pan” (= tutto) + “opticon” (= visione completa). Fa riferimento al carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham per permettere ad unico sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i soggetti e le strutture dell’istituzione carceraria. E’ una costruzione ad anello al cui interno si trovano tante celle e al cui centro è posizionata una torre per mezzo della quale viene esercitato il controllo.

    Il nome panòpticon evoca il mito greco di “Argo Panòptes”: un gigante con un centinaio di occhi disposti in tutte le direzioni; dormiva chiudendone cinquanta per volta, perciò considerato un ottimo guardiano.

    Foucault usò il termine panòpticon come metafora del potere invisibile che ha la possibilità di spiare tutto e tutti.

    La descrizione dell'epidemia di peste riportata dall'autore è tratta dagli archivi militari di Vincennes (Francia) della fine del XVII secolo e somiglia in parte alle odierne pratiche di quarantena e misure di sicurezza messe in atto per contrastare il propagarsi del COVID 19.

    La città idealmente divisa in settori amministrativi e chiusa alla circolazione anche nel circostante territorio agricolo. Interdizione di uscirne, pena la vita. Tutti gli animali randagi venivano uccisi. Ogni strada era sottoposta all’autorità di un sindaco. Se la lasciava incontrollata veniva ucciso.

    In un giorno pre-determinato ogni famiglia doveva rimanere in casa. Il sindaco chiudeva dall’esterno le abitazioni e le chiavi le consegnava all’intendente di quartiere, che le conservava fino alla fine della quarantena.

    Ogni famiglia aveva le provviste, gli alimentari che non avevano venivano forniti e introdotti in casa tramite tubature in legno o ceste issate con le carrucole o le corde.

    Se era assolutamente necessario uscire di casa, poteva farlo uno alla volta. Nelle strade giravano soltanto il sorvegliante, l’intendente, i soldati di guardia e i cosiddetti “corvi”, “persone da poco che trasportano i malati, interrano i morti, puliscono e fanno molti servizi vili e abbietti”.

    Foucault dice che le ispezioni erano continue: ogni giorno il sindaco passava per la strada di cui era responsabile; si fermava davanti ad ogni casa; faceva mettere tutti gli abitanti alla finestra e chiamava ciascuno per nome; si informava sul loro stato di salute; erano obbligati a dire la verità per non rischiare la vita; se qualcuno non si presentava il sindaco chiedeva la motivazione: “In questo modo scoprirà facilmente se si dia ricetto a morti o ad ammalati”.

    Vigeva un sistema simile a quello carcerario, quando la guardia passava di cella in cella, batteva sulla porta e il prigioniero doveva presentarsi.

    La sorveglianza degli abitanti si basava su un sistema di registrazione permanente: rapporti dei sindaci agli intendenti, degli intendenti agli scabini o al sindaco della città.

    All’inizio della “reclusione” veniva stabilito il ruolo di tutti i cittadini. Sui registri venivano annotati “il nome, l’età, il sesso, senza eccezione di condizione”: una copia per l’intendente del quartiere, un’altra per l’ufficio comunale, ed ancora un’altra per il sindaco della strada, per poter fare l’appello giornaliero.

    Tutto ciò che veniva osservato nel corso delle visite (morti, malattie, reclami, irregolarità) veniva trascritto e trasmesso agli intendenti e ai magistrati. Questi sovrintendevano alle cure mediche, attribuivano un medico e nessun altro sanitario poteva curare l’infermo, nessun farmacista poteva preparare i medicamenti, nessun confessore poteva visitare un malato, senza aver ricevuto un’autorizzazione scritta “per evitare che si dia ricetto e si curino, all’insaputa del magistrato dei malati contagiosi”.

    Dopo cinque o sei giorni dall’inizio della quarantena si procedeva alla disinfezione delle case. Gli abitanti venivano fatti uscire all’esterno. In ogni stanza venivano spostati mobili e merci, chiuse le finestre e diffuse delle essenze. Al termine gli addetti alla disinfezione venivano controllati, per vedere se avevano rubato oggetti di valore nelle abitazioni. Dopo quattro ore gli abitanti potevano rientrare in casa.

    Alla peste si rispondeva con gli ordini da parte delle autorità costituite, per evitare le confusioni create dalla paura e dalla morte a seguito della malattia e del contagio che si diffondevano rapidamente quando i corpi delle persone erano ravvicinati.

    Foucault afferma che oltre alla paura della peste c’era il timore per le rivolte, i crimini, il vagabondaggio, lo sciacallaggio. L’epidemia suscita il desiderio dell’ordine, della disciplina, sorveglianze e controlli, intensificazione e ramificazione del potere.
    Ultima modifica di doxa; 08-04-2020 alle 18:07

  13. #43
    Cosmo-Agonica L'avatar di Bauxite
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    Collecollantapuà.
    un po' di possibile, sennò soffoco.
    G. Deleuze

  14. #44
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Tutto bene Bauxite? Stai bene?
    amate i vostri nemici

  15. #45
    Cosmo-Agonica L'avatar di Bauxite
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    Citazione Originariamente Scritto da conogelato Visualizza Messaggio
    Tutto bene Bauxite? Stai bene?
    No, cono, no.
    Non va tutto bene.
    Mi sveglia sempre la gatta a quest'ora e di solito tento di fingere indifferenza mentre lei si dirige verso la mia testa, mi cammina sui capelli e, a quel punto, mi alzo.
    Però ieri, collecollantapuà stavo bene.
    un po' di possibile, sennò soffoco.
    G. Deleuze

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