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Discussione: Teologia della morte

  1. #1
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Teologia della morte


    Riflessioni tratte da “Il morire cristiano” di Karl Rahner.

    Della morte si fa esperienza nella vita, ancor prima della morte biologica, nell'esperienza della finitezza, nell'esperienza della malattia e della sofferenza, nell'insuccesso: in tutto ciò che rappresenta un "non-dover-essere".
    Secondo l’analisi rahneriana si genera lungo il corso della vita una tonalità di fondo, la tonalità della finitezza; il Memento mori della saggezza cristiana si realizza, anche a-tematicamente, in questo con-vivere con la morte, nella "prolissità della morte".
    La teologia della morte, qui proposta da Rahner, in brevità, si articola in tre affermazioni centrali dal profondo significato.

    La prima affermazione prospetta “la morte come conclusione di una storia di libertà”. La morte è fine conclusiva della vita umana, della vita storica e corporea dell’uomo.
    E’ fine subita; in questo senso è accadimento passivo, sorte che ci tocca, passione: la morte coglie l’uomo dall’esterno, è “il ladro nella notte”, “taglio delle Parche”.
    Ma la fine è anche conclusione come compimento definitivo di una storia di libertà e, in quanto tale, è azione come “l’evento che conclude definitivamente il processo attivo della vita vissuta in libertà”.
    Nel morire si subisce la morte, ma insieme si compie la morte, in quanto morire è l’atto della vita, che compie la vita, e così raccoglie l’intero atto della vita.
    Con questa prima affermazione la morte è presentata quindi come dialettica di passione e azione, di fine ed auto-compimento personale, che evidenzia la responsabilità dell’agire umano e la serietà del morire, come raggiungimento della propria definitività, che il giudizio del Dio della grazia sancisce.

    La seconda affermazione prospetta “La morte come manifestazione del peccato”. La morte è un fenomeno naturale ed universale, ma la teologia cristiana lo presenta anche, nel presente ordine, come poena/punizione del peccato (originale e personale), o (nel giustificato) come poenalitas/conseguenza del peccato, come “salario” del peccato, o “manifestazione del peccato”. Non nel senso che se l’uomo non avesse peccato, non avrebbe conosciuto la morte come fine, ma nel senso che non avrebbe conosciuto questa morte “tenebrosa”. C’è fine e fine: c’è fine come “maturazione”, e una fine come “rottura”.
    La seconda affermazione esprime la misteriosità della morte, la sua oscurità, il “non-dover-essere” che, di fatto c’è nella morte, per cui “ogni individuo conosce una segreta protesta ed un orrore indicibile di fronte a questa fine”.

    La terza proposizione prospetta “la morte come effetto di salvezza”. La morte come dialettica di fine e compimento, può essere anche non solo come manifestazione del peccato, ma anche manifestazione del "con-morire con Cristo” come “evento di salvezza”, “acme dell’agire salvifico della recezione della grazia”.

    Come si vede, l’analisi di Rahner mostra la morte ed il morire come un processo molteplice, in cui si svolge una dialettica di fine e compimento della vita come storia di libertà; una dialettica di naturalità del morire e del morire come espressione del peccato; ed infine una dialettica tra perdizione ed evento di salvezza.
    Ultima modifica di crepuscolo; 22-04-2020 alle 14:41

  2. #2
    L'avatar di dietrologo
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    dal primo giorno di vita un giorno in meno a quello della morte , finché si continuerà a nascere si continuerà a morire

  3. #3
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    Già, ma l'autore, di cui ho il libretto (poche pagine), e che lo ha scritto l'anno prima della sua morte, non parla di non morire ma parla di come morire.

  4. #4
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    Mantra di Rudolf Steiner

    Guardo nella tenebra:
    vi appare una luce,
    luce che vive.
    Chi è quella luce nella tenebra?
    Sono io stesso nella mia realtà.
    Questa realtà dell’Io
    non entra nella mia esistenza terrena.
    Ne sono solo l’immagine.
    Ma la ritroverò di nuovo
    quando io, con volontà dedita allo spirito,
    passerò la porta della morte.

  5. #5
    Opinionista L'avatar di Turbociclo
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    " L' uomo ha una tale passione per il sistema
    e la deduzione logica che è disposto ad alterare la verità,
    per non vedere il visibile, a non udire l' udibile,
    pur di legittimare la propria logica."

    Dostoevskij.

  6. #6
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    Bella.

  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da dietrologo Visualizza Messaggio
    Mantra di Rudolf Steiner

    Guardo nella tenebra:
    vi appare una luce,
    luce che vive.
    Chi è quella luce nella tenebra?
    Sono io stesso nella mia realtà.
    Questa realtà dell’Io
    non entra nella mia esistenza terrena.
    Ne sono solo l’immagine.
    Ma la ritroverò di nuovo
    quando io, con volontà dedita allo spirito,
    passerò la porta della morte.
    Interessante quel "con volontà dedita allo spirito".
    A proposito, tu che ti intendi di questi argomenti spirituali, tanto tempo fa, attaccato al mio posto di lavoro, c'era una libreria che vendeva libri nuovi a metà prezzo ed anche meno, ed io ne comprai diversi che mi potevano interessare; beh, ancora ho due libri che non ho letto e mi piacerebbe sapere se conosci o hai letto l'autore.
    Si chiama SCHURE', uno è il primo volume e l'altro il secondo, il titolo è "I grandi iniziati".

  8. #8
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Citazione Originariamente Scritto da crepuscolo Visualizza Messaggio
    Riflessioni tratte da “Il morire cristiano” di Karl Rahner.

    Della morte si fa esperienza nella vita, ancor prima della morte biologica, nell'esperienza della finitezza, nell'esperienza della malattia e della sofferenza, nell'insuccesso: in tutto ciò che rappresenta un "non-dover-essere".
    Secondo l’analisi rahneriana si genera lungo il corso della vita una tonalità di fondo, la tonalità della finitezza; il Memento mori della saggezza cristiana si realizza, anche a-tematicamente, in questo con-vivere con la morte, nella "prolissità della morte".
    La teologia della morte, qui proposta da Rahner, in brevità, si articola in tre affermazioni centrali dal profondo significato.

    La prima affermazione prospetta “la morte come conclusione di una storia di libertà”. La morte è fine conclusiva della vita umana, della vita storica e corporea dell’uomo.
    E’ fine subita; in questo senso è accadimento passivo, sorte che ci tocca, passione: la morte coglie l’uomo dall’esterno, è “il ladro nella notte”, “taglio delle Parche”.
    Ma la fine è anche conclusione come compimento definitivo di una storia di libertà e, in quanto tale, è azione come “l’evento che conclude definitivamente il processo attivo della vita vissuta in libertà”.
    Nel morire si subisce la morte, ma insieme si compie la morte, in quanto morire è l’atto della vita, che compie la vita, e così raccoglie l’intero atto della vita.
    Con questa prima affermazione la morte è presentata quindi come dialettica di passione e azione, di fine ed auto-compimento personale, che evidenzia la responsabilità dell’agire umano e la serietà del morire, come raggiungimento della propria definitività, che il giudizio del Dio della grazia sancisce.

    La seconda affermazione prospetta “La morte come manifestazione del peccato”. La morte è un fenomeno naturale ed universale, ma la teologia cristiana lo presenta anche, nel presente ordine, come poena/punizione del peccato (originale e personale), o (nel giustificato) come poenalitas/conseguenza del peccato, come “salario” del peccato, o “manifestazione del peccato”. Non nel senso che se l’uomo non avesse peccato, non avrebbe conosciuto la morte come fine, ma nel senso che non avrebbe conosciuto questa morte “tenebrosa”. C’è fine e fine: c’è fine come “maturazione”, e una fine come “rottura”.
    La seconda affermazione esprime la misteriosità della morte, la sua oscurità, il “non-dover-essere” che, di fatto c’è nella morte, per cui “ogni individuo conosce una segreta protesta ed un orrore indicibile di fronte a questa fine”.

    La terza proposizione prospetta “la morte come effetto di salvezza”. La morte come dialettica di fine e compimento, può essere anche non solo come manifestazione del peccato, ma anche manifestazione del "con-morire con Cristo” come “evento di salvezza”, “acme dell’agire salvifico della recezione della grazia”.

    Come si vede, l’analisi di Rahner mostra la morte ed il morire come un processo molteplice, in cui si svolge una dialettica di fine e compimento della vita come storia di libertà; una dialettica di naturalità del morire e del morire come espressione del peccato; ed infine una dialettica tra perdizione ed evento di salvezza.
    Continuo riportando i contenuti salienti e profondi dell'analisi del teologo Karl Rahner sul morire cristiano e sulla libertà del cristiano.
    Spero che a qualcuno interessi altrimenti si può saltare e non considerare quanto ho riportato.
    La discussione è aperta.

    Comprendere la morte come superamento della storia di libertà nel suo stato definitivo significa tener conto di tre fatti: l’intima essenza della libertà; l’unità dell’autoattuazione di un essere umano storico-corporeo e personale-spirituale; la precisa natura del compimento ultimo, che apre spazio alla libertà e la mette in gioco con il suo carico di esigenza.
    Se non altro per il terzo momento, la dottrina di cui ci occupiamo entra a far parte dei misteri di fede e non può essere considerata soltanto un brano di antropologia filosofica.
    Se la dottrina in questione viene ricavata da questi tre momenti, non si contesta affatto che una comprensione chiara e sicura di questi tre momenti possa risultare condizionata dal convincimento di tale dottrina, cioè da una convinzione che in modo atematico, ma ben solido, viene ad articolarsi nel corso della nostra vita.
    Nella sua essenza originaria la libertà non significa capacità di fare o non fare questa o quella cosa di tipo categoriale, ma va considerata come la costituzione fondamentale del soggetto nella trascendentalità in cui egli dispone di sé in vista della definitività.
    La libertà schiude così una storia, una storia però che non va concepita come la possibilità di continuare ad operare nel vuoto e quindi nella sfera dell’indifferenza, poiché si tratterebbe pur sempre di azioni che risultano correggibili: si tratta invece della possibilità di porre qualcosa di realmente definitivo.
    La responsabilità insopprimibile, da cui il soggetto non potrà mai prescindere nell’esercizio della propria libertà e che rende appunto soggetto l’individuo, non sussisterebbe nel caso in cui la capacità che egli dimostra nel disporre di se stesso fosse continuamente soggetta a revisioni, quasi si trattasse di qualcosa di indifferente, rivedibile e sostituibile: il soggetto verrebbe così sottratto costantemente dalle proprie responsabilità e decisioni, e trasposto nel futuro di una possibilità vuota.
    La libertà disporrebbe così di un potenziale infinito, che non la rende più significativa, ma la tramuta in qualcosa di indifferente, in ciò che mediante essa si compie.
    L’essenza originaria della libertà è costituita dunque dalla possibilità “singolare” e definitiva che il soggetto ha di disporre di se stesso.
    Questa “unicità” nel modo di disporre di se stessi assume un carattere necessariamente definitivo ed irrevocabile, ma nell’uomo si attua attraverso l’estensione e la dispersione temporale dei singoli momenti di cui si è intessuta la vita storica e corporea dell’uomo.
    Quest’autodisposizione libera e singolare non è qualcosa di accessorio alla vita spazio-temporale dell’uomo, come se questa non fosse altro che una proiezione in ultima analisi superflua di una decisione di fondo che il soggetto libero compie al di fuori del tempo sul fluire del tempo stesso: essa si verifica nel tempo stesso, ma non viene compromessa dalla varietà dei singoli momenti temporali.
    Ma questa unicità del disporre di sé da parte del soggetto libero non può essere concepita a prescindere dalla vita storica e spazio-temporale.
    E’ assurdo pensare ad una storia corporea di libertà che prosegua oltre una morte concepita come fine della corporeità storica dell’uomo: in tal caso questa autodisposizione dell’uomo verrebbe relegata “a priori“ e sempre in un contesto esterno alla sua storia spazio-temporale, dove questa stessa storia non sarebbe altro se non l’apparenza di una vera libertà, un’apparenza che la nasconde.
    Se la storia di libertà dovesse proseguire anche dopo la fine della storia corporea, ciò significherebbe che una vera e propria storta non si sarebbe mai effettivamente realizzare in questa vita spazio-temporale. Ma l’uomo disincantato ed il cristiano conoscono soltanto una storia, che si realizza certo come storia autentica di libertà al cospetto di Dio e che presenta i tratti di una profondità e radicalità insondabili, ma che si attua pur sempre nella vita quotidiana in cui conduciamo la nostra esistenza.

  9. #9
    Opinionista L'avatar di Arcobaleno
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    Io credo che leggere libri come questo sia come sottoporsi a una tortura mentale. Per trarre dei significati da quello che citi bisognerebbe prima capirlo. Ecco la tortura: capire un testo come questo.
    Fate l'amore, non la guerra.
    Lavorare tutti, lavorare meno.

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da Arcobaleno Visualizza Messaggio
    Io credo che leggere libri come questo sia come sottoporsi a una tortura mentale. Per trarre dei significati da quello che citi bisognerebbe prima capirlo. Ecco la tortura: capire un testo come questo.
    Metti alla prova la tua intelligenza!
    Io ci ho messo parecchio ma alla fine l'ho capito e mi ha dato qualcosa in più.
    Mi è servito anche riportarlo per iscritto.
    Quindi non ti arrendere vedrai quant'è profondo.
    Non è come pensi tu una tortura mentale ma un esercizio mentale, tutti siamo portati a capire basta esercitarsi concentrandoci nel senso.
    Il bello è che Rahner non impone ma propone e tu puoi accettarlo o no, ma prima lo devi capire.
    Io come cristiano l'ho trovato molto interessante specialmente quando parla della libertà, infatti esce dalla superficialità di come generalmente s'intende tale termine.

    Ps. Arcobaleno, per fortuna è un libricino di 76 pagine
    Ultima modifica di crepuscolo; 21-05-2020 alle 11:23

  11. #11
    Opinionista L'avatar di Arcobaleno
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    Contento te…
    Bisognerebbe vedere cosa ne pensano gli altri forumisti.
    Fate l'amore, non la guerra.
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  12. #12
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  13. #13
    Opinionista L'avatar di xmanx
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    La "morte", come noi umani la intendiamo e la percepiamo, NON esiste.
    La "morte" è un momento di trasformazione verso una dimensione che il nostro cervello non riesce a percepire. Ed è per questo motivo che il nostro cervello si inventa tutta una serie di fesserie come "è la fine della vita"..."è la conseguenza del peccato"..."è la manifestazione della salvezza".
    Queste sono tutte fesserie...invenzioni del cervello umano.

    Primo principio della termodinamica: Nell'universo l'energia non si crea e non muore, ma si trasforma passando da una forma ad un'altra.
    E l'essere umano (come ogni altra cosa) è una forma di energia. E quindi non si crea e non muore, ma si trasforma passando da una forma ad un'altra.

    Qual è il problema? Il problema è che il nostro cervello è tarato per elaborare solo certe frequenze di energia...e da queste frequenze costruisce per noi quella che noi chiamiamo "realtà". Ma esiste una Realtà, con la R maiuscola, che il nostro cervello NON RIESCE a percepire perchè vive OLTRE le frequenze che il nostro cervello riesce ad elaborare.

    Esempio: metti una pentola d'acqua (l'acqua, come la pentola, è una forma di energia) a bollire. Il nostro cervello "vede" la pentola e vede l'acqua. Ma dopo qualche minuto il nostro cervello "non vede più l'acqua".
    Il nostro cervello ci dice che l'acqua è "sparita"...è "morta". Ciò che è rimasto è solo qualche sedimento calcareo in fondo alla pentola. In realtà l'acqua si è trasformata e vive in una dimensione (gas trasparente) che il nostro cervello non riesce a percepire.

    TUTTO nell'universo funziona così. E questo è il modo di funzionare dell'universo.
    Noi siamo una forma di energia e, quando moriamo, ciò che noi siamo continua ad esistere in una dimensione che il nostro cervello non riesce a percepire. Ciò che il nostro cervello "vede" è solo un mucchietto di ossa.

    La questione fondamentale, dunque, non è chiederci "perchè c'è la morte?". Questa è una domanda PRIVA DI SENSO...perchè la morte, nell'universo, non esiste.
    La vera domanda da porci è: ciò che vediamo (il nostro cervello vede) è effettivamente la Realtà? E che cos'è la Realtà....come è fatta la Realtà che esiste e continua ad esistere al di là di ciò che il nostro cervello riesce a percepire? Questa è la vera e UNICA domanda che ha senso porsi.
    Tutto il resto sono cazzate partorite da menti ignoranti.
    Lo stagista.
    Apprendista stregone.

  14. #14
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    Citazione Originariamente Scritto da xmanx Visualizza Messaggio
    La "morte", come noi umani la intendiamo e la percepiamo, NON esiste.
    La "morte" è un momento di trasformazione verso una dimensione che il nostro cervello non riesce a percepire. Ed è per questo motivo che il nostro cervello si inventa tutta una serie di fesserie come "è la fine della vita"..."è la conseguenza del peccato"..."è la manifestazione della salvezza".
    Queste sono tutte fesserie...invenzioni del cervello umano.
    si, ics, se permetti credo di aver capito. però se fai riferimento magari alle teorie dell'evoluzione, tipo quelle di un darwin, allora bisogna tenere presente l'assunto fondamentale di quelle "teorie". cioè che la specie, anche "homo" come giustamente dici, è in un dato momento, quella che ha in sé quei caratteri che la rendono "adatta" all'ambiente in cui vive. ora, se questo assunto lo diamo per vero, allora non si "potrebbe" credo, affermare che il cervello non "serve a niente", oppure che "ha dei limiti". e allora poi c'è hegel, che dice che la realtà è conforme a ragione, il che sarebbe come dire che tutto ciò che la ragione riesce a concepire o ad osservare, esiste, ovviamente essendo vero anche il "contrario", cioè non può esistere niente che la ragione non possa percepire o "immaginare" quanto meno.

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    Primo principio della termodinamica: Nell'universo l'energia non si crea e non muore, ma si trasforma passando da una forma ad un'altra.
    E l'essere umano (come ogni altra cosa) è una forma di energia. E quindi non si crea e non muore, ma si trasforma passando da una forma ad un'altra.
    si. però tra energia capace di agire in senso determinativo sulla "realtà", tipo il vapore con le locomotive, ai tempi, e energia "inutilizzabile", cioè semplice "calore", la differenza fondamentale è che con la prima si può in qualche modo "modificare" la realtà. con la seconda no. e mi pare sia un po' la differenza che corre tra "individuo vitale" e "cadavere".

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    Qual è il problema? Il problema è che il nostro cervello è tarato per elaborare solo certe frequenze di energia...e da queste frequenze costruisce per noi quella che noi chiamiamo "realtà". Ma esiste una Realtà, con la R maiuscola, che il nostro cervello NON RIESCE a percepire perchè vive OLTRE le frequenze che il nostro cervello riesce ad elaborare.
    si. e questo ovviamente è kant. però "dopo" di lui ci sono quelli, come ti dicevo un hegel, che obliterano la differenza tra "percezione" e "realtà" e delle due fanno un "tutt'uno". il che mi pare se non altro sia più "coerente" anche con le "moderne" concezioni filosofiche. poi guarda caso sto leggendo un libro di evola sull'idealismo (non quello magico ma filosofico). la domanda è: sarà un caso?

    Citazione Originariamente Scritto da xmanx Visualizza Messaggio
    Esempio: metti una pentola d'acqua (l'acqua, come la pentola, è una forma di energia) a bollire. Il nostro cervello "vede" la pentola e vede l'acqua. Ma dopo qualche minuto il nostro cervello "non vede più l'acqua".
    Il nostro cervello ci dice che l'acqua è "sparita"...è "morta". Ciò che è rimasto è solo qualche sedimento calcareo in fondo alla pentola. In realtà l'acqua si è trasformata e vive in una dimensione (gas trasparente) che il nostro cervello non riesce a percepire.
    si. ma il gas è capace di ragionare, di percepire, di essere "presente a sé stesso"? no, né prima né dopo l'evaporazione. invece per la specie "homo" vale l'opposto, cioè che da vivi, ci sentiamo vivi. da morti no, e questo mi pare qualcosa di inevitabile.

    Citazione Originariamente Scritto da xmanx Visualizza Messaggio
    TUTTO nell'universo funziona così. E questo è il modo di funzionare dell'universo.
    Noi siamo una forma di energia e, quando moriamo, ciò che noi siamo continua ad esistere in una dimensione che il nostro cervello non riesce a percepire. Ciò che il nostro cervello "vede" è solo un mucchietto di ossa.
    credo valga sempre il tipo di definizione che dài al concetto di "vita". c'è gente che preferirebbe "morire" piuttosto che "patire" in vita. ovviamente la discussione mi pare più che sociologica, filosofica, e allora mi pare che filosoficamente la differenza tra vita e morte sia la stessa che passa tra movimento e "stasi", tra attività e inattività, tra guerra e pace.

    Citazione Originariamente Scritto da xmanx Visualizza Messaggio
    La questione fondamentale, dunque, non è chiederci "perchè c'è la morte?". Questa è una domanda PRIVA DI SENSO...perchè la morte, nell'universo, non esiste.
    La vera domanda da porci è: ciò che vediamo (il nostro cervello vede) è effettivamente la Realtà? E che cos'è la Realtà....come è fatta la Realtà che esiste e continua ad esistere al di là di ciò che il nostro cervello riesce a percepire? Questa è la vera e UNICA domanda che ha senso porsi.
    Tutto il resto sono cazzate partorite da menti ignoranti.
    si. allora siamo sempre là. questa mi pare tra l'altro una visione abbastanza "risalente" nel tempo. oggi non ci si interroga più, a quanto ho modo di sapere, sul che cosa "è la vita", perché ovviamente le idee in proposito sono a volte anche antitetiche. quello che si cerca di fare è poter decidere in libertà "cosa" fare conseguire in termini di "scelte individuali" al proprio concetto di "vita" e di "morte".
    Ultima modifica di sandor; 23-05-2020 alle 16:58

  15. #15
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Citazione Originariamente Scritto da xmanx Visualizza Messaggio
    La "morte", come noi umani la intendiamo e la percepiamo, NON esiste.
    La "morte" è un momento di trasformazione verso una dimensione che il nostro cervello non riesce a percepire. Ed è per questo motivo che il nostro cervello si inventa tutta una serie di fesserie come "è la fine della vita"..."è la conseguenza del peccato"..."è la manifestazione della salvezza".
    Queste sono tutte fesserie...invenzioni del cervello umano.

    Primo principio della termodinamica: Nell'universo l'energia non si crea e non muore, ma si trasforma passando da una forma ad un'altra.
    E l'essere umano (come ogni altra cosa) è una forma di energia. E quindi non si crea e non muore, ma si trasforma passando da una forma ad un'altra.

    Qual è il problema? Il problema è che il nostro cervello è tarato per elaborare solo certe frequenze di energia...e da queste frequenze costruisce per noi quella che noi chiamiamo "realtà". Ma esiste una Realtà, con la R maiuscola, che il nostro cervello NON RIESCE a percepire perchè vive OLTRE le frequenze che il nostro cervello riesce ad elaborare.

    Esempio: metti una pentola d'acqua (l'acqua, come la pentola, è una forma di energia) a bollire. Il nostro cervello "vede" la pentola e vede l'acqua. Ma dopo qualche minuto il nostro cervello "non vede più l'acqua".
    Il nostro cervello ci dice che l'acqua è "sparita"...è "morta". Ciò che è rimasto è solo qualche sedimento calcareo in fondo alla pentola. In realtà l'acqua si è trasformata e vive in una dimensione (gas trasparente) che il nostro cervello non riesce a percepire.

    TUTTO nell'universo funziona così. E questo è il modo di funzionare dell'universo.
    Noi siamo una forma di energia e, quando moriamo, ciò che noi siamo continua ad esistere in una dimensione che il nostro cervello non riesce a percepire. Ciò che il nostro cervello "vede" è solo un mucchietto di ossa.

    La questione fondamentale, dunque, non è chiederci "perchè c'è la morte?".
    Perché secondo te il nulla non esiste.

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