Il passo falso del governo sulle aste di titoli di stato

Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha messo in campo il 18 maggio il BTPItalia, titolo annunciato ad aprile e studiato dalla squadra del direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera, ottenendo in quattro giorni 22,4 miliardi di euro di finanziamenti (e quasi 35mld di richiesta dal mercato).

Un’iniezione di fiducia che dovrebbe portarci a trarre utili insegnamenti e, soprattutto, a riflettere sugli errori delle ultime settimane nella gestione dei finanziamenti pubblici. Con 12 miliardi di domanda inevasa il Btp Italia non ha mostrato certamente problemi di collocamento e, anzi, ora sono 192 i miliardi complessivi di titoli eccedenti il collocamento operativo del Tesoro domandati dal mercato e rimasti invenduti da inizio anno ad oggi. Oltre cinque volte le risorse che spetterebbero all’Italia, a debito e con le condizionalità, facendo ricorso al Mes.

Per settimane il Tesoro è rimasto scarsamente operativo in materia di nuove emissioni, dapprima confidando in un controllo rapido della crisi da coronavirus (tanto che la prima richiesta di extra-deficit fu di soli sei miliardi di euro) e in seguito vedendo l’azione dispersa in mille rivoli. Per alcune settimane sono state le nomine delle società partecipate a tenere banco, poi il claudicante incedere del Decreto liquidità privo di sicure coperture, infine il dibattito a livello europeo tra Mes, eurobond e Recovery Fund.

Unica eccezione a questa apatia è stata la vincente operazione del Btp Italia, andata “in onda” a un mese dall’annuncio: ma, nell’ottica di una ripresa sistemica, all’Italia ha fatto difetto un’azione a tutto campo sui titoli di Stato capace di finanziare il deficit e mandare un messaggio a livello globale sulla sostenibiltià del nostro debito, considerata inoltre la fase positiva di sostegno della Bce (che acquista i nostri titoli tramite QE).

Nel primo trimestre 2020 la differenza tra titoli italiani emessi e titoli andati in scadenza è stata di soli +13 miliardi di euro, abbattuta notevolmente dall’inspiegabile saldo negativo di marzo (-23 miliardi).

Berlino e Parigi non hanno avuto remore a scatenare contro la crisi la potenza di fuoco del deficit nazionale, aumentando le loro esposizioni nette sui titoli di stato di +33 e +64 miliardi, con Parigi che fa segnare un +33% e Berlino un emblematico +233% rispetto al risultato del 2019. Ma anche Madrid si mantiene ben sopra l’Italia, passando da +22 a +24 miliardi di euro di nuovi titoli emessi rispetto a quelli scaduti: tutti e tre i Paesi sanno che l’ora è cruciale e, soprattutto, che il bazooka della Bce interviene a coprire una quota non secondaria delle emissioni (la BCE ha stanziato ben 1100mld entro il 2020 per acquistare titoli degli stati tramite QE).

L’Italia dovrebbe fare a meno di arrabattarsi nel dibattito “Mes sì/Mes no” o "recoveryfund si o no" e cavalcare l’onda positiva della crescita dell’intervento Bce e della domanda di titoli sul mercato. La leggerezza dimostrata dal Tesoro e la confusione generale, che a livello operativo traspare anche nella complessa mancanza di coordinazione del Decreto Rilancio, guidano la lunga inazione che frena dal lancio di nuove emissioni ordinarie. Il Btp Italia e il confronto con gli altri Paesi sono lezioni istruttive: il debito pubblico è la vera garanzia anti-crisi, e non sfruttarlo sarebbe un errore irrimediabile.