Da “Gesù di Nazareth”:

Tutti i discepoli avevano gravi difetti, quando Gesù li chiamò al suo servizio. Persino Giovanni, il discepolo che più si avvicinò mansueto e umile al Maestro, non era per natura né dolce né arrendevole. Egli e suo fratello erano chiamati “figli del tuono”. Marco 3:17. Quando si trovavano con il Maestro, ogni mancanza di rispetto nei suoi confronti suscitava la loro indignazione e il loro spirito polemico. Il discepolo prediletto aveva un temperamento collerico, vendicativo, orgoglioso; era pronto alla critica e ambiva il primo posto nel regno di Dio. Ma egli contemplò giorno dopo giorno la tenerezza e la pazienza di Gesù, tanto diversa dalla violenza del suo carattere, e ascoltò le sue lezioni di umiltà e pazienza. Aprì il suo cuore all’influsso divino; non si accontentò di udire le parole del Salvatore, ma le mise in pratica. Seppe rinunciare al suo io, imparò a prendere su di sé il giogo di Cristo e a portare la propria croce. {GN 214.3}
Gesù rimproverava e avvertiva i suoi discepoli. Ma Giovanni e i suoi fratelli, nonostante i rimproveri, non lo lasciarono, anzi si affezionarono a lui ancora di più. Il Salvatore non li abbandonò, a causa delle loro debolezze e dei loro errori, ed essi condivisero sino alla fine le sue prove e impararono le sue lezioni. Contemplando Cristo, il loro carattere si trasformava. {GN 214.4}
Gli apostoli erano molto diversi gli uni dagli altri per abitudini e carattere. C’era il pubblicano Levi Matteo; Simone, l’ardente zelota, inflessibile nemico della potenza romana; Pietro, generoso e impulsivo; Giuda, dall’animo meschino; Tommaso, sincero ma timido e dubbioso; Filippo, lento e incline al dubbio; infine gli ambiziosi e aperti figli di Zebedeo con i loro fratelli. Si trovarono tutti insieme, ciascuno con i propri difetti e le proprie tendenze al male, ereditate e accarezzate, chiamati tutti a partecipare in Cristo e mediante Cristo alla famiglia di Dio per giungere all’unità della fede, della dottrina e dello spirito. Avrebbero affrontato prove e conosciuto difficoltà per le loro differenze di opinioni, ma con Cristo nel cuore ogni dissenso sarebbe stato eliminato. Il suo amore li avrebbe spinti ad amarsi, le istruzioni del Maestro avrebbero smussato i contrasti e spinto i discepoli ad avere una sola mente, un solo sentimento e un solo obiettivo. Cristo era il fulcro del gruppo ed essi, avvicinandosi a lui, si sarebbero trovati più vicini gli uni agli altri. {GN 214.5}

Cristo non ha scelto come suoi rappresentanti gli angeli che non sono mai caduti, ma degli esseri soggetti alle stesse passioni degli uomini che cercano di salvare. Cristo si è fatto uomo per poter salvare gli uomini. Per la salvezza del mondo era necessaria la collaborazione del divino con l’umano. Bisognava che la divinità si incarnasse per essere un mezzo di comunicazione fra Dio e l’uomo. Così è per i servitori e messaggeri di Cristo. L’uomo ha bisogno di una potenza superiore per poter riacquistare l’immagine di Dio e compiere la sua volontà. Ma con ciò non viene eliminata la parte dell’uomo. L’umanità afferra la potenza divina e Cristo abita nel cuore mediante la fede. Così l’uomo per la grazia di Dio è in grado di compiere il bene. {GN 215.2}
Colui che chiamò i pescatori di Galilea, chiama ancora oggi gli uomini al suo servizio. Desidera manifestare la sua potenza attraverso noi, così come fece con i primi discepoli. Per quanto siamo imperfetti e peccatori, il Signore ci invita a unirci a lui e a seguire i suoi consigli. Ci invita ad accettare i suoi insegnamenti affinché, uniti a lui, possiamo compiere le opere di Dio. {GN 215.3}
“Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi”. 2 Corinzi 4:7. Questa è la ragione per cui la proclamazione del messaggio del Vangelo è stata affidata a uomini peccatori anziché ad angeli. È chiaro che ciò che opera attraverso la debolezza degli uomini è la potenza di Dio. Quella potenza che ha soccorso esseri deboli come noi può venire anche in nostro aiuto. Coloro che hanno sperimentato la sofferenza potranno “avere compassione verso gli ignoranti e gli erranti”. Ebrei 5:2. Essendosi trovati in pericolo, conoscono i rischi e le difficoltà e possono aiutare coloro che si trovano in simili pericoli. Vi sono uomini di poca fede, tormentati dal dubbio, oppressi dal peso dell’infermità, incapaci di afferrare l’Invisibile. Ma un amico che si avvicini a loro in modo visibile, al posto di Cristo, può essere un mezzo per ancorare a lui la loro fede vacillante. {GN 215.4}