Amici, romani, concittadini!


Io non vengo qui a smentire bumble-bee, ma soltanto a riferirvi quello che so.

Perché vacanza?

L'etimologia latina ci dà l'idea di qualcosa che manca, di un vuoto.
Se un posto, una carica è vacante, significa che non è occupato/a.
Forse chiamare "vacanza" il periodo in cui liberi dal lavoro ci prendiamo qualche giorno per il relax o per visitare luoghi che ci interessano, vuol dire che lasciamo il nostro posto vacante, temporaneamente vuoto. In questo senso allora la vacanza è un riferimento specifico alla nostra occupazione lavorativa e meno un riferimento ad una condizione generale del nostro essere.
Mi sono chiesto se esiste una vacanza di questo tipo, cioè una vacanza che ci liberi da ogni responsabilità, riferimento, legame col mondo che ci circonda, una vacanza che ci permette di distaccarci dai problemi, dalle tensioni e dalle preoccupazioni che ci assillano.
Credo che nemmeno gli eremiti possano mai raggiungere uno stato di estraniazione simile perché ovunque noi andiamo e possiamo ritirarci o nasconderci, noi siamo lì e non le cose, i luoghi o le persone ma noi stessi siamo la nostra occupazione numero uno.
Quello che ci portiamo dentro non lo possiamo depositare altrove, quello che abbiamo detto non lo possiamo cancellare, quello che abbiamo fatto non lo possiamo disfare.
Se abbiamo donato un fiore, è stato per sempre, anche se il fiore poi è appassito.
Se abbiamo costruito una casa, l'abbiamo costruita per sempre, anche se poi la casa è stata abbattuta.
Se abbiamo detto "ti amo", l'abbiamo detto per sempre, anche se poi abbiamo detto "è finita".
Il passato non si cancella anche se nulla resta uguale.
Una vacanza dalla nostra vita mi sembra quindi una sciocchezza, ogni istante, ogni situazione, ogni esperienza è parte di un flusso omogeneo che richiede la nostra presenza in uno stato di veglia e di attenzione pronti a cogliere il momento.
Non credo che sia una questione di prendere la decisione giusta o sbagliata, poiché dare un giudizio definitivo al corso degli eventi mi risulta essere un'impresa impossibile, ma la nostra consapevolezza dovrebbe aiutarci a favorire l'evolversi degli eventi. Sicuramente non è impresa facile, eppure il nostro sguardo dovrebbe restare sempre rivolto al presente, consapevoli che ogni tentativo di fermare il tempo o cristallizzarlo in un’ideale Arcadia significa costruire la nostra prigione con le proprie mani.
La metafora pirandelliana di Zí Dima prigioniero della giara che doveva riparare è perfetta.
Se quindi i singoli episodi della nostra vita fanno parte di un flusso omogeneo in cui ogni elemento e ogni evento è parte, dovremmo anche essere grati ad ogni compagno di viaggio che ha condiviso con noi un tratto lungo o breve del nostro cammino perché ogni incontro ci apre una finestra su un mondo nuovo e arricchisce il nostro intero essere con la sua luce e il suo splendore come un gioiello che continuerà a brillare anche quando un capitolo è chiuso e se ne apre un'altro.
Prendersi una vacanza da questa avventura, lasciare uno spazio vuoto, volerci assentare quando le cose si fanno difficili sarebbe veramente un peccato e una perdita di tempo.
“Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace”.
[Qoelet 3; 1-8]