sovversivo;

superando la mia pigrizia, avvio una discussione;

per mia esperienza, chi si innamora, lo fa sotto l'azione di un traino chimico e ormonale; ma quello che avviene nella psiche e che "libera" certe pulsioni, fino a dar loro un costrutto sentimentale, è la necessità di sovvertire uno schema, subito o auto-imposto, o entrambi;

ogni persona vive per educazione entro un ambito di limitazioni del desiderio e ruoli, ove si determinano aspettative e progetti, e un'identità: sono questa persona che desidera questo e quello, ciò che è legittimo nel mio quadro di esistenza;

spesso però, queste limitazioni e aspettative sono opprimenti, anche quando la persona in questione è convinta della loro pregiatezza; in questo caso si determina un conflitto tra alcuni aspetti della personalità che domandano una realizzazione e sono sospesi, e il modello di esistenza che è stato acquisito e/o elaborato;
spesso si tratta di aspetti che per una morale consolidata nella personalità - costituita come tale, o equivocata per altri motivi - rappresentano un carattere in ombra e pulsionale, a cui non si riesce a dare uno spazio e una legittimità;

lo sforzo per contenere queste pulsioni implica un enorme dispendio di energia creativa, di vitalità; e alla lunga genera depressione;

l'altro di cui ci si innamora - oltre che essere necessariamente attraente, almeno in misura modica - in qualche modo svolge sempre una funzione liberatoria, di accettazione funzionale - e perciò, autorizzazione - sovvertire il modello esistenziale che è diventato opprimente,
per questo ci si innamora spessissimo dell'analista, visto che la sua funzione implica esattamente l'astensione dal giudizio morale e l'obiettivo di liberare energia vitale e creativa;
l'innamorato si sente potentissimo e aperto all'oblatività, perché improvvisamente si è liberato di quel peso oppressivo che gli sequestrava energie e disponibilità, lo costringeva ad essere concentrato su se stesso;

paradossalmente, di converso vale anche quando si lascia, che non è disamore, ma solo la conseguenza della presa d'atto di quell'oppressione e una rielaborazione dell'identità : non voglio più essere quella persona vincolata a quell'equilibrio !

ovviamente, tutto è molto grigio e sfumato; i rapporti, belli o brutti, nascono e muoiono;

ma, in retrospettiva, spesso si può distinguere, personalmente e un po' anche dall'esterno, il sentimento di gratitudine che si prova quando un amore ha effettivamente rappresentato un passo di elaborazione decisivo, e resta traccia di quella felicità, dal sentimento di rancore ed espropriazione nel caso in cui sia prevalsa una scelta di conformità ad un equilibrio fondato su basi di rimozione di quelle pulsioni "ombra", in cui la strumentalizzazione - che c'è sempre - è avvenuta in funzione regressiva, elaborata consapevolmente o inconsapevolmente come opprimente, e allora pure l'intimità viene rielaborata come intrusione, violazione, priva di gioia;

non credo sia possibile parlare di questi sentimenti senza affrontare la questione delle pulsioni rimosse, il bisogno di vedere in qualche modo riconosciute le proprie pulsioni riprovevoli - non solo quelle sdoganabili come lecite, ma anche quelle autenticamente cattive e meschine se si vuole, che dipendono da fragilità e conflitti inesausti - e che non si esauriscono nell'ombra; semplicemente, operano sottraendo l'energia vitale che serve a rimuoverle.