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Discussione: Tempus fugit

  1. #1
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    Tempus fugit


    Otto van Veen, “Allegoria del tempo”, 1607, musée de l’hospice Comtesse, Lille (Francia)

    La frase “tempus fugit” (= "il tempo fugge") è spesso presente in cima agli orologi a pendolo, negli orologi solari con lo gnomone o nelle meridiane presenti sui muri di alcuni edifici.

    Tradizionalmente il quadrante è accompagnato da un motto. Spesso è costituito da un gioco di parole, a volte è un'ammonizione che ricorda all'uomo il suo ineluttabile destino.

    La locuzione latina “tempus fugit” deriva da un verso scritto nelle “Georgiche”, “Sed fugit interea fugit irreparabile tempus” (= “Ma fugge intanto, fugge irreparabilmente il tempo”) (Virgilio, Georgiche, III, 284)



    Il “tempus fugit” è anche una filosofia di vita paragonabile al “Carpe diem”.

    L’antico poeta Orazio (65 a. C. – 8 a. C.) nell’undicesima ode del primo libro delle Odi (Carmina) dice alla ragazza: "Non cercare di sapere, o Leuconoe (saperlo non è lecito) quale fine gli dei abbiamo assegnato a me, quale a te .... sii saggia ! ... restringi in un ambito breve le lunghe speranze. Mentre noi parliamo, sarà già sparita l’ora, invidiosa del nostro godere. Cogli la giornata d’oggi e confida in meno possibile in quella di domani”.

    E’ inverno e sibila forte il vento. Raccolti nel tepore di una stanza, il poeta e Leuconoe (la fanciulla "dagl’ingenui pensieri" ) si godono il loro momento di intimità. Leuconoe, per passare il tempo, si dedica a calcoli astrologici per sapere se essi vivranno a lungo. Il consiglio dato dal poeta invece è quello di bere e godersi il presente, che è un attimo che non rivivranno mai più; da qui nasce l’espressione che ha reso celebre l’ode: “carpe diem”.

    L'attimo presente ? Ma cos'è il tempo ? Non è un attributo dell’universo.
    Comprenderlo significa capire il prima, l’adesso e il dopo.

    E' un espediente credere che esista il tempo. E' una modalità per separare gli eventi.

    Noi viviamo l'eterno istante. Diciamo che il tempo scorre, ma è la nostra mente che lo immagina scorrere.

    L'unico tempo che riusciamo realmente a percepire è il presente.

    Il passato è affidato alla memoria ed il futuro lo affidiamo all'immaginazione. Sono rappresentazioni in connessione col presente.

    C’è il tempo scandito dall’orologio e dal calendario e c’è il tempo psichico, che è soggettivo e variabile, lo crea la mente per distinguere il passato il presente e il futuro.

    C’è anche il “tempo cristiano”: la rivelazione giudaico-cristiana proclama che il tempo ha un inizio ed una fine.

    Alla fine dell’anno 2013 papa Francesco propose questa riflessione: “La visione biblica e cristiana del tempo e della storia non è ciclica ma lineare, è un cammino che va verso un compimento. Un anno che è passato non ci porta a una realtà che finisce ma che si compie, è un ulteriore passo verso la meta che sta davanti a noi, una meta di speranza, felicità, perché incontreremo Dio, ragione di speranza e fonte di letizia”.

    Il tempo cristiano non è storico ma escatologico, è rivolto verso un fine ultimo. Il passato e il presente hanno un senso che può essere scoperto solo in relazione all’incarnazione del Figlio di Dio e al Giudizio finale.

  2. #2
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    Otto van Veen, “Allegoria del tempo”, 1607, musée de l’hospice Comtesse, Lille (Francia)



    Il tempo cristiano non è storico ma escatologico, è rivolto verso un fine ultimo. Il passato e il presente hanno un senso che può essere scoperto solo in relazione all’incarnazione del Figlio di Dio e al Giudizio finale.
    Non sono completamente d'accordo su questo punto.
    Sebbene in forma allegorica ma chiaramente, con stupore e meraviglia dei discepoli, Gesù viene dimostrato come conoscitore e padrone del tempo richiamando dal passato Mosé ed Elia e proiettando il presente della sua fine in croce nella futura fine e dispersione del suo popolo, eventi che ambedue accaddero e che Gesù fuse in sé.
    Anche l'essere pronti e subito a qualsiasi cosa Gesù avesse detto o voluto, senza preoccuparsi delle conseguenze, per me indica da parte degli apostoli l'impegno totale in questo mondo, al dopo ci avrebbe pensato Gesù, ed anche lo stato d'animo di trovarsi a vivere la fine di qualche cosa.
    Ma Gesù li convinse dicendo che dove andava lui loro per ora non lo avrebbero potuto seguire ( all'inizio gli apostoli capirono male chiedendosi dove fosse quel posto) ma lui andava a preparare i posti per loro.
    Quindi sicuramente il dopo non era un problema di Gesù e di chi stava con lui; era proprio come se il tempo stesse fuggendo dilatandosi.
    Ultima modifica di crepuscolo; 03-01-2021 alle 20:35

  3. #3
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    Ciao Crep,

    mi sembra che Agostino, vescovo di Ippona, creda che il tempo abbia avuto inizio con Dio e che finisca in lui nella soluzione finale. E’ un tempo lineare.

    Nell’ambito biblico c’è la concezione del tempo che procede a senso unico e la storia dell'umanità è irreversibile, senza possibilità di ritorno.



    La concezione lineare è rappresentata da un freccia che inesorabilmente corre verso il futuro. È tipica della religione ebraica e del cristianesimo. C’è un inizio ed esiste una fine verso cui si corre ed a cui bisogna giungere preparati.
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  4. #4
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    Ciao doxa sei molto gentile; per Agostino, ed anche per noi, il tempo è lineare ma non certo per Dio; il creatore ed il gestore del nostro tempo può paragonarsi ad un buco nero che introflette lo spazio-tempo e può essere immateriale con tutto ciò che comporta l'immaterialità della materia, forse un paradosso; in fondo è anche come si è presentato Gesù al nostro mondo dopo essersene andato.
    Anzi pensandoci Gesù dice bene quando afferma che solo Dio conosce la fine, e questo per me vuol significare che in Dio siamo liberi, come se il tempo davanti a noi non esistesse ancora eppure è un tempo dove esistono libere perché infinite possibilità di pensare e di agire.
    Più che circolare o rettilineo il tempo io lo immagino a raggiera..hic.hic
    Ultima modifica di crepuscolo; 03-01-2021 alle 22:50

  5. #5
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    Secondo alcuni studiosi il nostro apparato psicologico e neurale è un pessimo valutatore del tempo oggettivo.

    Lo psicologo sociale statunitense Philip Zimbardo, (figlio di genitori italiani originari della Sicilia) ha effettuato delle ricerche in merito con la collaborazione dello psicologo John Boyd ed altri. I risultati li ha pubblicati nel suo libro titolato: “ Il paradosso del tempo”. Egli ha individuato sei orientamenti psicologici:

    orientamento psicologico positivo verso il proprio passato:
    gli individui con questo orientamento psicologico ricordano il proprio passato con piacere e nostalgia; amano la continuità nella propria famiglia ed i connessi rituali, hanno autostima e sono socievoli. Non gradiscono i cambiamenti e le novità. Sono i cosiddetti “laudatores temporis acti” (lodatori del tempo passato; Orazio "Ars poetica"), frequenti tra le persone anziane. Orazio critica tale orientamento, perché denota l’ incapacità di accettare le innovazioni del presente e di adeguarsi al progresso.

    Orientamento psicologico negativo verso il proprio passato: è causato da esperienze traumatiche, dolorose, da ingiustizie e delusioni. Le persone comprese in questo tipo di orientamento psicologico tendono alla depressione, all’ansia e all’aggressività. Chi rimane prigioniero del proprio passato rinuncia ad immaginare il proprio futuro in modo creativo, progettuale.

    Orientamento psicologico edonistico verso il presente: come nei bambini, che trovano nel gioco il divertimento e la gratificazione. Gli adulti compresi in tale orientamento psicologico tendono all’amicizia, sono creativi ma possono avere scarso autocontrollo. I tossicodipendenti, o i borderline, sono orientati al presente-edonistico, agiscono in base a un istinto di piacere, vivono il presente e pensano poco alle conseguenze delle proprie azioni.

    Orientamento psicologico fatalistico verso il presente: l’individuo si affida al fato e pensa che tutto sia determinato dal caso. Tende ad essere ansioso ed aggressivo.

    Orientamento verso il futuro con progetti ed obiettivi: è tipico di chi pensa che ogni mattina si debba pianificare la giornata e che rispettare le scadenze sia più importante del divertimento. Chi appartiene a questa categoria di solito è coerente e perseverante, ed ha autocontrollo. L’eccesso di programmazione può causare l’ansia, la competitività e l’asocialità.

    Orientamento verso il futuro trascendentale: come nei credenti una religione, in chi crede alla vita oltre la morte. In questo gruppo ci sono molte persone anziane.

  6. #6
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    Interessante, doxa, vorrei esaminare ciò che hai detto riguardo l'"Orientamento verso il futuro trascendente".
    Esserci è una bella lotta, non è poi così semplice e scontato perché in tale orientamento risulta assai difficile credere alla vita oltre la morte quando la morte diventa sempre più invadente e può assumere qualsiasi forma ma soprattutto spesso non avverte quando viene a mietere a casa nostra.
    Io arriverei a definirlo uno stato di vecchiaia senza ritorno, ed ogni giorno potrebbe essere peggio di ciò che normalmente va in malora, il nostro corpo fisico e forse anche mentale. Questo stato ogni persona anziana lo può provare; inoltre credere in qualcosa che non si sa come sia perché nessuno al mondo ne ha avuto esperienza e conoscenza è pure più arduo.
    A questo punto mi chiedo: che cosa rimane nell'essere con "Orientamento verso il futuro trascendente" di veramente trascendente?

  7. #7
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    Crep ha scritto
    che cosa rimane nell'essere con "Orientamento verso il futuro trascendente" di veramente trascendente?
    Rimane l’ars moriendi !

    Se ci si abitua a pensarla spesso, quando è il momento del “trapasso” la si accetta senza porsi molte domande.

    Nel passato era difficile arrivare alla vecchiaia.



    Nella letteratura medievale si argomenta sulla necessità di prepararsi spiritualmente alla propria morte, ma prima del XV secolo non c’era la tradizione letteraria sul come prepararsi per morire, cosa significasse morire in un buon modo o come fare. I rituali e le consolazioni sul letto di morte erano generalmente riservati al servizio sacerdotale.

    L'Ars moriendi era una risposta della Chiesa cattolica alle mutate condizioni causate dalla peste nera.

    Ars moriendi: ("L'arte di morire") è il titolo di due testi in lingua latina correlati. Furono scritti tra il 1415 e il 1450, periodo della “peste nera” con conseguenti rivolte popolari.
    I due opuscoli contengono consigli procedurali per la “buona morte”, su come “morire bene” secondo i precetti cristiani del tardo Medioevo. Ebbero diffusione dal XV secolo. Per il contenuto sembrano risalire alla predicazione dei francescani e dei domenicani, specialmente tedeschi.

    Le epidemie di peste del XV secolo falcidiarono anche gli ecclesiastici e ci vollero alcune generazioni per sostituire la quantità e la qualità dei clerici.
    Il cristianesimo pretende che il pensiero della morte sia sempre presente nei pensieri dei credenti.

    Dalla seconda metà del ‘400 e nel ‘500 anche noti personaggi pubblicarono le loro riflessioni sull’arte del ben morire, per esempio Girolamo Savonarola, Martin Lutero, il cardinale Roberto Bellarmino.

    Nel 1534 il filosofo e teologo Erasmo da Rotterdam pubblicò il “De praeparatione ad mortem”, nel quale dice, tra l’altro, che la vita onesta prepara alla morte serena e indica due “cure” contro la paura del “trapasso”:

    una invita il lettore a percorrere mentalmente le tappe della propria esistenza per rendersi conto della sua caducità e di quanto sia colma di preoccupazioni e di dolori;

    l’altra si incentra sulla fede in Dio, unica difesa atta a sconfiggere i limiti, le imperfezioni e la fragilità della condizione umana.

    L’ars moriendi propone anche rimedi per liberarsi dalla paura della morte spirituale, la cosiddetta “seconda morte” che condanna alle pene eterne dell’inferno.

    La finalità del "ben morire" interagisce con quella dell’ars vivendi intesa come educazione alla vita.

    Per superare il timore del "momento del commiato" Erasmo consiglia i precetti divini da seguire per affrontare serenamente l’esistenza.

  8. #8
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  9. #9
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    Ciao Vega, era bravissimo Troisi.

    Per premio ti offro la visione di un dipinto e la lettura di questo post. Spero ti piaccia.


    Guido Cagnacci, “Allegoria della vita umana”, olio su tela, 1650 circa, Fondazione Cavallini-Sgarbi, Ferrara.

    Il pittore in questo dipinto vuol rappresentare la bellezza femminile come allegoria della vita umana.

    Il corpo seminudo della giovane con lo sguardo in estasi evoca l’erotismo, ma sono presenti anche altri simbolismi.

    1. Sospeso in aria, sopra il capo della donna c’è l’immagine dell’uroboro, il serpente che si morde la coda e forma un cerchio che simboleggia la vita eterna, l’eterno ritorno.

    2. La ragazza con la mano sinistra sollevata in alto sorregge la clessidra, che simboleggia il tempo che corre e la transitorietà della vita.

    3. Nella mano destra, tra il pollice e l’indice regge due gambi, quello di una rosa e quello di un soffione. Li tiene con le dita congiunte in modo da alludere all’unione sessuale, al desiderio, sul quale il tempo è implacabile.

    La rosa è simbolo dell'amore che trionfa; è legata alla mitologia di Venere e Adone.
    Il bocciolo ben chiuso evoca la castità femminile mentre la rosa sbocciata rappresenta bellezza giovanile.

    Nel linguaggio dei fiori il “soffione” (taraxacum officinale) simboleggia la speranza e la fiducia, ma è anche collegato al viaggio e al distacco come metafora della vita.

    4. Il tempo renderà la testa di questa giovane un teschio, simbolicamente collegato alla fugacità della vita e alla morte.

    L’autore del dipinto, Guido Cagnacci, esponente del Barocco italiano, nei suoi quadri collegò spesso l’immagine del teschio con quella di una bella donna, come per invitare l’osservatore a riflettere sulla caducità della bellezza e a farsi coinvolgere dall’eros.

  10. #10
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    Crep ha scritto


    Rimane l’ars moriendi !

    Se ci si abitua a pensarla spesso, quando è il momento del “trapasso” la si accetta senza porsi molte domande.

    Nel passato era difficile arrivare alla vecchiaia.



    Nella letteratura medievale si argomenta sulla necessità di prepararsi spiritualmente alla propria morte, ma prima del XV secolo non c’era la tradizione letteraria sul come prepararsi per morire, cosa significasse morire in un buon modo o come fare. I rituali e le consolazioni sul letto di morte erano generalmente riservati al servizio sacerdotale.

    L'Ars moriendi era una risposta della Chiesa cattolica alle mutate condizioni causate dalla peste nera.

    Ars moriendi: ("L'arte di morire") è il titolo di due testi in lingua latina correlati. Furono scritti tra il 1415 e il 1450, periodo della “peste nera” con conseguenti rivolte popolari.
    I due opuscoli contengono consigli procedurali per la “buona morte”, su come “morire bene” secondo i precetti cristiani del tardo Medioevo. Ebbero diffusione dal XV secolo. Per il contenuto sembrano risalire alla predicazione dei francescani e dei domenicani, specialmente tedeschi.

    Le epidemie di peste del XV secolo falcidiarono anche gli ecclesiastici e ci vollero alcune generazioni per sostituire la quantità e la qualità dei clerici.
    Il cristianesimo pretende che il pensiero della morte sia sempre presente nei pensieri dei credenti.

    Dalla seconda metà del ‘400 e nel ‘500 anche noti personaggi pubblicarono le loro riflessioni sull’arte del ben morire, per esempio Girolamo Savonarola, Martin Lutero, il cardinale Roberto Bellarmino.

    Nel 1534 il filosofo e teologo Erasmo da Rotterdam pubblicò il “De praeparatione ad mortem”, nel quale dice, tra l’altro, che la vita onesta prepara alla morte serena e indica due “cure” contro la paura del “trapasso”:

    una invita il lettore a percorrere mentalmente le tappe della propria esistenza per rendersi conto della sua caducità e di quanto sia colma di preoccupazioni e di dolori;

    l’altra si incentra sulla fede in Dio, unica difesa atta a sconfiggere i limiti, le imperfezioni e la fragilità della condizione umana.

    L’ars moriendi propone anche rimedi per liberarsi dalla paura della morte spirituale, la cosiddetta “seconda morte” che condanna alle pene eterne dell’inferno.

    La finalità del "ben morire" interagisce con quella dell’ars vivendi intesa come educazione alla vita.

    Per superare il timore del "momento del commiato" Erasmo consiglia i precetti divini da seguire per affrontare serenamente l’esistenza.
    Se può interessarti lo avevo postato l'aprile scorso.

    Teologia della morte

    Riflessioni tratte da “Il morire cristiano” di Karl Rahner.

    Della morte si fa esperienza nella vita, ancor prima della morte biologica, nell'esperienza della finitezza, nell'esperienza della malattia e della sofferenza, nell'insuccesso: in tutto ciò che rappresenta un "non-dover-essere".
    Secondo l’analisi rahneriana si genera lungo il corso della vita una tonalità di fondo, la tonalità della finitezza; il Memento mori della saggezza cristiana si realizza, anche a-tematicamente, in questo con-vivere con la morte, nella "prolissità della morte".
    La teologia della morte, qui proposta da Rahner, in brevità, si articola in tre affermazioni centrali dal profondo significato.

    La prima affermazione prospetta “la morte come conclusione di una storia di libertà”. La morte è fine conclusiva della vita umana, della vita storica e corporea dell’uomo.
    E’ fine subita; in questo senso è accadimento passivo, sorte che ci tocca, passione: la morte coglie l’uomo dall’esterno, è “il ladro nella notte”, “taglio delle Parche”.
    Ma la fine è anche conclusione come compimento definitivo di una storia di libertà e, in quanto tale, è azione come “l’evento che conclude definitivamente il processo attivo della vita vissuta in libertà”.
    Nel morire si subisce la morte, ma insieme si compie la morte, in quanto morire è l’atto della vita, che compie la vita, e così raccoglie l’intero atto della vita.
    Con questa prima affermazione la morte è presentata quindi come dialettica di passione e azione, di fine ed auto-compimento personale, che evidenzia la responsabilità dell’agire umano e la serietà del morire, come raggiungimento della propria definitività, che il giudizio del Dio della grazia sancisce.

    La seconda affermazione prospetta “La morte come manifestazione del peccato”. La morte è un fenomeno naturale ed universale, ma la teologia cristiana lo presenta anche, nel presente ordine, come poena/punizione del peccato (originale e personale), o (nel giustificato) come poenalitas/conseguenza del peccato, come “salario” del peccato, o “manifestazione del peccato”. Non nel senso che se l’uomo non avesse peccato, non avrebbe conosciuto la morte come fine, ma nel senso che non avrebbe conosciuto questa morte “tenebrosa”. C’è fine e fine: c’è fine come “maturazione”, e una fine come “rottura”.
    La seconda affermazione esprime la misteriosità della morte, la sua oscurità, il “non-dover-essere” che, di fatto c’è nella morte, per cui “ogni individuo conosce una segreta protesta ed un orrore indicibile di fronte a questa fine”.

    La terza proposizione prospetta “la morte come effetto di salvezza”. La morte come dialettica di fine e compimento, può essere anche non solo come manifestazione del peccato, ma anche manifestazione del "con-morire con Cristo” come “evento di salvezza”, “acme dell’agire salvifico della recezione della grazia”.

    Come si vede, l’analisi di Rahner mostra la morte ed il morire come un processo molteplice, in cui si svolge una dialettica di fine e compimento della vita come storia di libertà; una dialettica di naturalità del morire e del morire come espressione del peccato; ed infine una dialettica tra perdizione ed evento di salvezza.

    Ma, aggiungo io, si può sapere di essere nel giusto considerare, cioè di non aver sbagliato per timore della morte stessa?
    Difficile dirsi.
    Ultima modifica di crepuscolo; 07-01-2021 alle 19:08

  11. #11
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    Grazie Crep per avermi segnalato il testo di Rahner, m’interessa.

    Se ti va si potrebbe continuare ad argomentare allargandoci sul suicidio assistito, l’eutanasia, tema questo che coinvolge i propri valori morali.

  12. #12
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Otto van Veen, “Allegoria del tempo”, 1607, musée de l’hospice Comtesse, Lille (Francia)

    La frase “tempus fugit” (= "il tempo fugge") è spesso presente in cima agli orologi a pendolo, negli orologi solari con lo gnomone o nelle meridiane presenti sui muri di alcuni edifici.

    Tradizionalmente il quadrante è accompagnato da un motto. Spesso è costituito da un gioco di parole, a volte è un'ammonizione che ricorda all'uomo il suo ineluttabile destino.

    La locuzione latina “tempus fugit” deriva da un verso scritto nelle “Georgiche”, “Sed fugit interea fugit irreparabile tempus” (= “Ma fugge intanto, fugge irreparabilmente il tempo”) (Virgilio, Georgiche, III, 284)



    Il “tempus fugit” è anche una filosofia di vita paragonabile al “Carpe diem”.

    L’antico poeta Orazio (65 a. C. – 8 a. C.) nell’undicesima ode del primo libro delle Odi (Carmina) dice alla ragazza: "Non cercare di sapere, o Leuconoe (saperlo non è lecito) quale fine gli dei abbiamo assegnato a me, quale a te .... sii saggia ! ... restringi in un ambito breve le lunghe speranze. Mentre noi parliamo, sarà già sparita l’ora, invidiosa del nostro godere. Cogli la giornata d’oggi e confida in meno possibile in quella di domani”.

    E’ inverno e sibila forte il vento. Raccolti nel tepore di una stanza, il poeta e Leuconoe (la fanciulla "dagl’ingenui pensieri" ) si godono il loro momento di intimità. Leuconoe, per passare il tempo, si dedica a calcoli astrologici per sapere se essi vivranno a lungo. Il consiglio dato dal poeta invece è quello di bere e godersi il presente, che è un attimo che non rivivranno mai più; da qui nasce l’espressione che ha reso celebre l’ode: “carpe diem”.

    L'attimo presente ? Ma cos'è il tempo ? Non è un attributo dell’universo.
    Comprenderlo significa capire il prima, l’adesso e il dopo.

    E' un espediente credere che esista il tempo. E' una modalità per separare gli eventi.

    Noi viviamo l'eterno istante. Diciamo che il tempo scorre, ma è la nostra mente che lo immagina scorrere.

    L'unico tempo che riusciamo realmente a percepire è il presente.

    Il passato è affidato alla memoria ed il futuro lo affidiamo all'immaginazione. Sono rappresentazioni in connessione col presente.

    C’è il tempo scandito dall’orologio e dal calendario e c’è il tempo psichico, che è soggettivo e variabile, lo crea la mente per distinguere il passato il presente e il futuro.

    C’è anche il “tempo cristiano”: la rivelazione giudaico-cristiana proclama che il tempo ha un inizio ed una fine.

    Alla fine dell’anno 2013 papa Francesco propose questa riflessione: “La visione biblica e cristiana del tempo e della storia non è ciclica ma lineare, è un cammino che va verso un compimento. Un anno che è passato non ci porta a una realtà che finisce ma che si compie, è un ulteriore passo verso la meta che sta davanti a noi, una meta di speranza, felicità, perché incontreremo Dio, ragione di speranza e fonte di letizia”.

    Il tempo cristiano non è storico ma escatologico, è rivolto verso un fine ultimo. Il passato e il presente hanno un senso che può essere scoperto solo in relazione all’incarnazione del Figlio di Dio e al Giudizio finale.
    Te sei un grande! Stop.
    amate i vostri nemici

  13. #13
    Opinionista L'avatar di Vega
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    Chiedo scusa, la sezione sarebbe Scienza, natura, ambiente. Ok le concezioni sul tempo però, lo dico soprattutto per i soliti noti, che pippe teologiche, pippe ed elucubrazioni personali su Dio e Gesù ed orgasmi mistici sarebbe il caso di esprimerli in altra sede.
    Ben venga la concezione nel passato sul tempo, del filosofo, del santo, del medioevo, del rinascimento e così via, tutta cultura, ma se il taglio vuole essere di un certo tipo forse non è la sezione giusta.

    S. Agostino diceva grosso modo che se nessuno gli chiedeva cos'era il tempo lo sapeva comprendere ma se gli veniva chiesto di spiegarlo ecco che diventava difficile e il tempo è un concetto quanto mai affascinante e sfuggevole, non così facile da capire e descrivere. Se poi consideriamo il fatto che se qualcuno se ne sta sull'Everest ed un altro nella Fossa delle Marianne col suo bel sommergibile, per quello sull'Everest il tempo scorre più rapidamente di chi sta in basso, vediamo come ormai non sia quel qualcosa di univoco ed evidente.
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  14. #14
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Grazie Crep per avermi segnalato il testo di Rahner, m’interessa.

    Se ti va si potrebbe continuare ad argomentare allargandoci sul suicidio assistito, l’eutanasia, tema questo che coinvolge i propri valori morali.
    Senza dogmi è tutto all'impronto e senza visione religiosa per che motivo discutere? basterebbe non soffrire e non far soffrire.
    Se non esiste un motivo nel soffrire perché soffrire?
    Se poi il motivo non reggesse più sarà solo chi ne è il soggetto a decidere sulla sua fine.
    Qui a mio avviso nessun valore morale nenche il proprio può sostituirsi al libero arbitrio che è la personale libertà di scegliere e decidere tra il male da subire e ..........; forse il nulla? che è senz'alto anche la privazione della sofferenza e del male?
    Alla fine però, se è possibile, io suggerirei di non pensarci
    Ultima modifica di crepuscolo; 08-01-2021 alle 14:47

  15. #15
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Chiedo scusa, la sezione sarebbe Scienza, natura, ambiente. Ok le concezioni sul tempo però, lo dico soprattutto per i soliti noti, che pippe teologiche, pippe ed elucubrazioni personali su Dio e Gesù ed orgasmi mistici sarebbe il caso di esprimerli in altra sede.:D
    Ben venga la concezione nel passato sul tempo, del filosofo, del santo, del medioevo, del rinascimento e così via, tutta cultura, ma se il taglio vuole essere di un certo tipo forse non è la sezione giusta.

    S. Agostino diceva grosso modo che se nessuno gli chiedeva cos'era il tempo lo sapeva comprendere ma se gli veniva chiesto di spiegarlo ecco che diventava difficile e il tempo è un concetto quanto mai affascinante e sfuggevole, non così facile da capire e descrivere. Se poi consideriamo il fatto che se qualcuno se ne sta sull'Everest ed un altro nella Fossa delle Marianne col suo bel sommergibile, per quello sull'Everest il tempo scorre più rapidamente di chi sta in basso, vediamo come ormai non sia quel qualcosa di univoco ed evidente.
    Non so a quali noti tu ti riferisca, anche a me?
    Comunque il discorso del "mischiume", scienza e religione, arte, pensieri vari, situazioni reali, ecc. si può risolvere facilmente chiedendo se l'autore con i dovuti consensi sia disposto a spostarlo, magari su "religione e spiritualità" dove di "mischiume" ce n'è a sazietà.
    Comunque scientificamente il tempo per me è assai relativo per alcuni fugge in un attimo, per altri è sempre lì, non passa mai.
    Ultima modifica di crepuscolo; 08-01-2021 alle 14:58

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