Il silenzio di notte, in provincia. Nessuna auto che passa o forse soltanto qualcuna, di tanto in tanto.

Gli unici suoni provengono dalla pressione delle tue dita sulla tastiera del computer e la quiete è interrotta soltanto dal saluto dell’ultimo cliente che sale in camera, sparendo nella penombra.

Quando il tuo mestiere è il portiere d’albergo del turno di notte, il silenzio avvolge la solitudine e la solitudine si accompagna al silenzio: ti mettono al riparo dal chiasso del mattino, ma al tempo stesso ti allontanano dalla dimensione che, per tutti gli altri, è la vera quotidianità, perché in fondo la vita è ciò che accade di giorno e la notte non è che una lunga attesa prima che l’alba arrivi di nuovo a rischiarare il cielo e tutto ricominci un’altra volta.

È un mestiere che viene visto e descritto sempre come poetico, ma spesso si dimentica che è un lavoro svolto nella parte della giornata che è solitamente dedicata al divertimento e al riposo.

"L’hotel in cui lavoravo aveva la vista sul fiume: di romantico c’erano solo le albe ogni mattina sempre diverse, le stagioni che da lì sembravano più evidenti, la calma di una città che in certi momenti della notte sembrava riposare senza eccezioni. E poi gli incontri, dagli ultimi clienti insonni delle due al ragazzo che consegna il latte alle sei, dall’arrivo della cameriera ai piani e dell’uomo dei giornali fino all’ultimo sguardo su un albergo che si sta svegliando mentre tu stai andando a dormire. Poco romanticismo oleografico, quindi. Ma tante ore per leggere".

Al di là della retorica sulla poeticità della notte, le persone incontrate di notte sembrano più disposte a essere se stesse.

Caro Cono questo post “non è farina del mio sacco”, ho letto un articolo, ne ho fatto il sunto dedicandotelo.


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