Anche se la visione apocalittica di Gesù e poi di Paolo venne meno in quasi tutto il Cristianesimo, l’ideale ascetico che ne derivava sopravvisse. Nel primo pensiero cristiano avvenne uno spostamento. Non si pensò più che questo mondo sarebbe stato distrutto da un’azione dell’ira divina, ma che fosse solo un terreno di prova transitorio, il riflesso di una realtà più grande, una semplice ombra del mondo che conta davvero, il mondo “vero”, il mondo di Dio.
La maggior parte dei cristiani smise di pensare in termini cronologici alla malvagità dell’epoca presente ed alla prossima era futura ed iniziò a riflettere in termini spaziali: la malvagità dell’epoca presente (quaggiù) contro la bontà del mondo di Dio ( lassù ).
La vita vissuta per il mondo vero, quello superiore, non poteva essere legata alla vita di questa esistenza materiale ed oscura quaggiù. I piaceri di questa vita erano trappole da evitare, se si voleva provare l’esistenza spirituale con Dio su in cielo: qualunque cosa legasse una persona troppo strettamente a questo mondo, di conseguenza, doveva essere evitata a tutti i costi. Ciò valeva soprattutto per i piaceri del corpo ed in particolare per il sesso.
Questo divenne dunque filo conduttore di certo Cristianesimo, strettamente legato a quella forma di Cristianesimo paolino che prese le forme del Cristianesimo di Tertulliano ( tertullianismo ), poi delle comunità monastiche che glorificavano l’astinenza e dei monaci del deserto che si esercitavano nella disciplina della carne per raggiungere la salvezza dell’anima. Ma per ironia della sorte questo filone ascetico del Cristianesimo è strettamente legato anche alle forme di Cristianesimo perduto cui si opposero Tertulliano e quelli come lui.
L’ideale ascetico andava di pari passo con quella che, col senno di poi, potremmo considerare la forma “emancipata” di Cristianesimo antico e che sottolineava l’eguaglianza delle donne in Cristo.
Per gli apocalittici come Gesù, Paolo ed i loro immediati successori, questa epoca stava finendo con tutte le sue convenzioni sociali, inclusa la distinzione tra i sessi. Perciò non sorprende che Gesù, a quanto si diceva, avesse avuto discepole che lo accompagnavano in pubblico, mangiavano con lui, lo toccavano e lo sostenevano; né sorprende che Paolo avesse alcune donne tra le guide spirituali delle sue chiese e che sostenesse che in Cristo “non c’è maschio e femmina”.
Ma né Cristo e né Paolo incitavano alla rivoluzione sociale. Perché ribellarsi al sistema presente per rendere migliore la società a lungo termine? Per queste persone non ci sarebbe stato alcun “lungo termine”. La fine stava per arrivare e la cosa migliore da fare era prepararsi ad affrontarla.
Con tutto ciò, è chiaro che il messaggio di Gesù e dei suoi seguaci risultava attraente per le donne: nel regno venturo non ci sarebbe stata più oppressione, né ingiustizia, né ineguaglianza; le donne e gli uomini sarebbero stati uguali.
Alcuni dei seguaci di Gesù iniziarono a mettere in atto nel presente gli ideali di quel regno, adoperandosi per ridurre la povertà e la sofferenza, lavorando per la giustizia, favorendo l’eguaglianza. Questa attuazione degli ideali del regno fu particolarmente evidente nelle prime comunità ecclesiastiche, dove schiavi e liberi, greci e barbari, uomini e donne ricevevano rutti la stessa considerazione.
Ecco perché le storia di Tecla e di altre donne ascetiche non furono un’anomalia agli albori del movimento cristiano. Furono anzi la chiara manifestazione di un’importante corrente del primo Cristianesimo. Vi si leggeva di donne che rifiutavano di partecipare alle costrizioni della società patriarcale: restavano nubili, libere dal controllo di un marito, ed erano viaggiatrici che non restavano a casa sotto l’autorità di un pater familias, di un padre, di un capo maschio del nucleo familiare.
La vita ascetica andava di pari passo con la libertà di decidere di cosa fare del proprio corpo, di come trattarlo, di come vivere al suo interno; andava di pari passo con la libertà di movimento, non confinato alla casa ed ai lavori domestici, alla cura ed all’educazione dei bambini, mansioni che occupavano gran parte del tempo delle donne.
E così l’ascetismo evocato dai testi degli Atti apocrifi esprimeva e sosteneva una forma di emancipazione per le donne cristiane.
Non sorprende che le donne ricorrano così spesso in queste storie e che alcuni studiosi sospettino che fossero soprattutto loro a narrarle, diffonderle, amarle e farle proprie; né sorprende che altri cristiani odiassero queste storie, le mettessero fuori legge, le bruciassero.
Furono questi altri cristiani ( potenti capi proto-ortodossi e scrittori come Tertulliano ) che alla resa dei conti risultarono più forti, e per le loro macchinazioni questa corrente del primo Cristianesimo andò perduta per essere riscoperta solo in epoca moderna.


Tratto da "I Cristianesimi perduti" di Bart D. Ehrman.