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Discussione: Pagine di diario

  1. #1
    Opinionista L'avatar di Spirit
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    Pagine di diario

    Questo scrivevo 8 anni fa...

    Lei camminava sulle nuvole dei sogni, io aprivo il suo portone e salivo quei pochi gradini che mi portavano a lei. Mi apriva e non mi dava confidenza, ma io la portavo in alto nel mio cuore, ignaro se fossi sul punto di risvegliarmi. Sorrideva e non capiva. Seppi allora che non mi VEDEVA realmente. Sparirono i miei 15 anni in un doloroso colpo al petto, ridiscesi di corsa le scale, fuori il sole era sparito, o forse non ero ormai più capace di vederlo. Suonarono delle campane in lontananza, l'autobus passava senza di me e l'asfalto bagnato rifletteva luci smorte e fioche.
    Il giorno se n'era andato, e la notte pesava su di me come un macigno impossibile da sollevare.


    Oggi, rileggendo quelle poche righe, ho aggiunto qualcosa...

    Lei non c'è più. Sono venuto a conoscenza della sua morte quasi per caso, tramite i social. Ma lei non era realmente lei...era soltanto la proiezione di un sogno, di una meravigliosa utopia ultraterrena, che permea i passi di un'adolescenza infelice vissuta in solitudine e distacco. Frutto dell'immaginazione che viaggia felice oltre i limiti dell'umano, in dimensioni sconosciute che la ragione non può vedere. Restano fuori dal suo regno e dall'affermarsi delle disillusioni dell'età adulta. Rimane solo un senso di malcelato rimpianto per un vecchio se stesso da cancellare che non può del tutto sparire...E' un segno che ti accompagna nel tempo capace di superare le esperienze, la stessa anzianità. Forse anche la morte.
    “Siamo tutti uguali davanti alla legge, ma non davanti agli incaricati di applicarla.”
    (S. Lec)

  2. #2
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    ...E quel palazzo, quelle scale, la finestra,,,ancora lì, è tutto come prima, come se il tempo non fosse mai passato. Mezzo secolo e più, la finestra era quella della sua cameretta, passando per la strada vedevo la luce accesa, la immaginavo china sui suoi libri di scuola, il giorno dopo per rivederla, magari mi avrebbe sorpreso a fissarla inebetito, mi avrebbe lanciato un'occhiata interrogativa, ed il rossore avrebbe invaso le mie guance. Gli altri...gli altri, i compagni di scuola, nulla sapevano, nulla immaginavano, loro forse non erano perdutamente innamorati. La mattinata passava fra l'ardore dell'innamoramento e le paure dell'interrogazione, insegnanti austeri, severi, altri rilassati e bonaccioni, latino, greco, matematica, ansie, frustrazioni, voglia di non trovarsi lì...se non fosse che c'era lei lì, sogno irraggiungibile, estasi rivestita di nulla.
    E i giorni passavano portandola via, portandomi via, imbambolato e infelice, trasandato e introverso, lontano dal mondo comune delle persone, dei compagni, dei divertimenti. Nessuno poteva capirmi, io stesso non mi capivo, paura del mondo, come te non c'è nessuno era la mia canzone. Qualcuno azzardava la presa in giro, mi salvai dal bullismo perché quella era una classe di secchioni, non di bulli.
    Passo ancora di là. E passando gli occhi vanno verso quella finestra. La luce è accesa ancora oggi. Qualcuno ancora oggi sta studiando? Chissà chi è. Il passato non torna. Che enorme assurdità. La luce è accesa, la finestra è quella. Per un attimo che sembra un'eternità il passato vive nei miei occhi, e nel mio cuore. Che un attimo si ferma. Come si sarà fermato il SUO? Di LEI, che adesso vive ancora come allora. Che come allora porta la frangetta e sorride. Ma nessuno si affaccia. Al campanello un nome sconosciuto. La sera porta un lieve odore di mimosa. Lo stesso odore di allora.
    Ultima modifica di Spirit; 24-01-2022 alle 00:18
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    (S. Lec)

  3. #3
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    Provo ora a parlare di almeno 4 anni della mia vita nei quali mi sono sentito proiettato in una dimensione di incubo assai difficile da descrivere, anche per me che insegnavo Italiano, ma non si tratta certo di un problema linguistico. So già che non ce la farò con un solo post, se parlo di certe cose personali non riesco a farlo in modo superficiale e sbrigativo, mi scuso per questo.
    Devo premettere che per carattere la mia tendenza è stata sempre quella di non riuscire a dare risposte adeguate agli eventi negativi che mi sono trovato ad affrontare. Fin da piccolo ho vissuto traumi che mi hanno bloccato psicologicamente e reso incapace di vivere una vita normale. A soli 10 anni di età un avvenimento che ha interrotto bruscamente quel certo clima di serenità infantile, per quanto minacciato nel mio caso da forti sensi di inferiorità. Mi avevano mandato presso una colonia montana per un mese; di certo i miei genitori non potevano immaginare che lì avrei subito atti di immotivata violenza e bullismo da alcuni coetanei. Sono stato picchiato ferocemente solo perché mi vedevano "diverso", nel senso di debole ed ingenuo. E il peggio era che le "signorine" che dovevano badare a noi non avevano alcuna intenzione di difendermi. Io ero completamente impreparato ad episodi del genere, avevo pensato a una bella vacanza in compagnia, già allora amavo la montagna. Tanto fu il dolore per l'emarginazione e le violenze fisiche subite, che a un certo punto (ricordo come se fosse adesso, sono passati quasi 60 anni) qualcosa in me si spezzò. E non potei essere più quello di prima, ma faccio fatica a descrivere cosa accadde dentro di me. Il panorama intorno era meraviglioso, verdi montagne, bellissimi fiori, aria fresca e pulita...Ed io chiuso nel mio sordo dolore, violentato nell'intimo più che nel corpo, istupidito dal palesarsi di un mondo ostile, nemico che non conoscevo e non avrei mai immaginato potesse esistere. Sparì il panorama, non sentivo più le grida degli altri bambini, l'universo sembrò rovesciarsi e mi ritrovai preda di un capogiro immenso. Fui un'altra persona, spaurita, chiusa in se stessa, chiusa al mondo intorno...Sperai che questa terribile cappa che mi era piombata addosso, una volta tornato a casa, si sarebbe dissolta. Non si dissolse. Mai. Da allora, anche in quei pochi momenti di serenità che ero destinato a vivere, sentii sempre come una barriera (protettiva?) che mi separava da tutto quello che mi circondava. Un'esperienza che doveva segnare tutta la mia vita. Molti, molti anni dopo, la mia guida spirituale (ne parlerò in seguito) mi disse che in quel momento avevo cominciato a scontare quello che era il mio karma (parolaccia che uso per semplificare, ma voglio chiarire che non sono un seguace di cose tipo "new age").
    Avevo sì sperato che tornare al mio mondo, con gli affetti e l'ambiente conosciuto, mi avrebbe ridato un senso di normalità, ma appunto non poté essere così. E neppure potevo molto parlare di quello che mi era successo, mi avrebbero compreso solo in maniera superficiale. Del resto anch'io a quell'età non potevo essere consapevole di tante cose, perfino adesso esiste qualcosa che mi sfugge riguardo tanti eventi.
    Questo trauma fondamentale dentro di me lo ricondussi anni fa come base per i miei ricorrenti stati depressivi. Ma poiché (almeno in me) ansia e depressione si sono sempre accoppiati come latte e caffè, parlerò ora del mio secondo enorme trauma, accaduto un paio di anni dopo, alla base invece degli stati di ansia e degli attacchi di panico.
    Agosto, ero al mare con i miei genitori. La giornata era buia, livida, al ricordo mi pare anche strano che ci fossimo recati sulla spiaggia con un tempo simile. Il mare era mosso, sulla riva la bandiera rossa per il divieto di balneazione. A un certo punto si udirono delle grida, il pattino del bagnino si mise in acqua per soccorrere un ragazzo che si era avventurato in mezzo alle onde. Riuscirono in qualche modo a riportarlo a riva. Fu allora che mi staccai dai miei genitori per avvicinarmi a vedere cosa accadeva. Perché non fui fermato, perché? Così vidi praticare la respirazione artificiale a quel ragazzo. Purtroppo invano, il ragazzo morì. La cosa, avendola vista da vicino, mi scioccò, rimasi terrorizzato. Tornati a casa, la sera, andato a letto, ripensavo a quanto avevo visto. E rivedendo la scena, a poco a poco l'ansia saliva, il respiro diventava più affannoso, il senso di morte penetrava dentro di me. Era un attacco di panico devastante, ma io che ne sapevo degli attacchi di panico? I miei genitori che ne sapevano? Quanto si parlava di queste cose nel 1963? In quei momenti fui sicuro di stare per morire. Mio padre, povero ignorante, parlando con mia madre disse: "Adesso perché ha visto uno morire vuole morire pure lui?". Non dimenticherò mai queste parole, aumentarono ancora l'ansia, se mai era possibile. Stetti male per tre giorni, si può dire che fu un attacco di panico che durò, con varia intensità per tre giorni.
    Dopo di allora vissi vari periodi di ansia depressione, che duravano vari mesi nascendo di solito da episodi precisi. Se volete continuerò a parlarne...fino ad arrivare a pochi anni fa, con l'imprevista e speriamo stabile soluzione...
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    (S. Lec)

  4. #4
    la viaggiatrice L'avatar di dark lady
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    Ci vuole coraggio per aprirsi. Io ti leggo volentieri. In silenzio, ma ti leggo!
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    Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità [cit: Manifesto futurista] .

  5. #5
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    Grazie Dark! Il seguito...

    La scuola costituì a volte un piccolo riscatto per una vita piuttosto solitaria, con pochissimi amici. Eccellevo in Italiano, e fino alla terza media ottenni ottimi voti e fui tenuto in grande considerazione dagli insegnanti. Nel frattempo continuava a rodermi dentro un lacerante contrasto con la figura di mio padre, severa e oppressiva in famiglia. Avevo paura di lui, delle sue sgridate, ma soprattutto mi faceva male il suo considerarmi un incapace, fino al punto da volermi accompagnare a scegliere dei capi di vestiario fino a dopo i miei 20 anni.
    Al liceo sembrò crollarmi il mondo addosso, trovarmi all'improvviso in una classe mista, con maggioranza assoluta di ragazze, mi intimidì moltissimo, tanto più che quasi subito mi innamorai perdutamente di quella del primo banco (la più carina, la più cretina, proprio come nella canzone di Venditti, giuro!). Portava la frangetta! Questa predilezione per le donne con la frangetta mi è sempre rimasta, chissà perché. Tanto che, finiti i due anni di ginnasio, in primo liceo classico la frangetta se la tagliò, e a fronte nuda non mi piacque più.
    (Apro una parentesi per una nota assai triste: qualche anno fa mi accorsi che non scriveva più su fb, dove l'avevo ritrovata ormai più che sessantenne senza peraltro contattarla. Volli fare una ulteriore ricerca, e scoprii che era venuta a mancare. Lo seppi perché nome, cognome e foto stavano su un articolo che parlava della sua morte prematura - era diventata una campionessa di bridge-. Nel dramma, mi sembra di star raccontando una vicenda alla Woody Allen).
    Alla fine a scuola fui allegramente rimandato cinque volte in matematica, ma per fortuna mai bocciato. Fra l'altro i miei sensi di inferiorità aumentarono perché ero venuto a trovarmi in una classe di secchioni, per cui la mia carriera scolastica finì dalle stelle alle stalle. Il glorioso '68 ci passò sulle spalle senza quasi che ce ne accorgessimo. Fascisti e comunisti comunque si davano la mano all'epoca, almeno a scuola, ed anche qui è vero quello che disse poi Venditti. Se ci ripenso mi sembra di star parlando di un'altra vita, di un'altra persona che non ero io...Studiavo pochissimo, non mi piegavo all'obbligo delle lezioni stabilite per me da altri, però leggevo, leggevo instancabilmente quello che mi pareva, narrativa soprattutto, mi ero iscritto alla biblioteca di zona avendo pochi soldi per i libri. Però per tanti anni quando entravo da Feltrinelli con poche migliaia di lire mi perdevo nel mare di libri per ore...la scelta era difficile, potevo acquistarne al massimo due.
    Però ero sempre depresso, ricordo che per un periodo lungo almeno un anno sentivo di continuo il mio respiro bloccato, con un continuo senso di costrizione al diaframma. E dirò pure che mi trascuravo assai fisicamente, arrivavo a lavarmi poco. Inutile dire che a questo punto non ero considerato dalle ragazze...Ricordando come andavo in giro provo vergogna per me stesso.
    Verso la fine del liceo ci fu una cosa che almeno in piccola parte sembrò riscattarmi, una cosa piuttosto inaspettata. Il biliardino! Quasi casualmente avevo iniziato a giocare in una sala, ed in coppia con un compagno di scuola avevamo iniziato a fare furore (anch'io ero piuttosto bravo). All'epoca si facevano piccole scommesse sul vincitore, c'era spesso del pubblico che assisteva alle partite.
    Poi cominciai a scrivere poesie...
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  6. #6
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    La poesia è sempre stato uno dei miei rifugi preferiti dal caos e i disastri della mia vita privata. Una volta dicevo di sentirmi una persona timida, ma non "chiusa" verso l'esterno. Ho in effetti parecchie difficoltà di relazione, ma poi alla fine basta poco per farmi parlare anche troppo di me stesso magari affrettatamente, a persone che non conosco bene. Basta che mi offri una caramellina...
    Così spesso comunicavo in versi. Ho sempre preferito lo scrivere al parlare, tutto sommato di solito in compagnia risulto abbastanza silenzioso. Ascolto, se mi sembra il caso di ascoltare. Tante volte vorrei intervenire in un discorso senza riuscirvi...Avete presente quei discorsi di principio nei quali ci si infervora, ci si interrompe, si difende a spada tratta il proprio punto di vista, si fa come i galletti nel pollaio...parlano, parlano, finché alla fine dimentico quello che volevo dire. Ecco un altro motivo per cui mi piace scrivere, anziché parlare. E un forum mi è sempre sembrato un buon mezzo per esprimermi liberamente. Posso parlare a più persone, mentre le mie poesie rappresentano un ottimo sfogo ma il più delle volte rimangono solo per me. Da giovane scrivevo versi assai tristi...Come questi:

    PIOGGIA NOTTURNA


    L’Eterno è il suono di questa pioggia

    che trascina gli inverni in musiche insensate

    in mormorii dolenti di uccelli senza cibo

    in ritmi pigri di pensieri vacui

    Quando acque stagnanti d’illusioni

    raccolgono le gocce da una vita assurda

    (10-2-1978)
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  7. #7
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    E adesso, per continuare...

    Poco dopo i vent'anni, appena iscritto all'Università, ero un giovane illuso e romanticone che sognava il rapporto con una ragazza. Non esistevano computer, fb e compagnia erano di là da venire. Approfittai di alcune rubriche su giornali per iniziare una corrispondenza con ragazze di tutta Italia. Ricordo bene come mettevo tutto me stesso in questi scritti, come attendevo con enorme impazienza l'arrivo del postino Augusto (bassino di statura, arrivava ansimante con la sua borsa di pelle a tracolla) per vedere se c'erano delle risposte. Dolce follia dei vent'anni! Che ti portava a immaginare radiosi, felici rapporti futuri, idealizzazioni totalmente staccate dal reale...
    Quanti viaggi feci alla ricerca dell'Araba Fenice, trasportato dalla mia e dall'altrui passione immotivata... per farla breve parlerò ora di un'unica avventura, forse quella che mi rimane più impressa, destinata ad avere un finale catastrofico.
    Lei era bellissima, scriveva che glielo dicevano ma di questo non le importava, perché riteneva di avere grossi problemi mentali, mi pare sostenesse che non le funzionava una parte del cervello (?) . Si chiamava Lella, penso fosse un diminutivo. Che fosse bellissima era del tutto vero, una mora favolosa dalle curve mozzafiato (come ebbi modo di constatare di persona). Parlando di noi, arrivai a dirle che sentivo di volerle bene. Lei pure disse di sentire affetto per me.
    A quell'epoca potevo viaggiare gratis, avendo una tessera gratuita (mio padre era ferroviere). Così una bella mattina di estate mi misi in viaggio per andarla a trovare. Volevo farle una sorpresa. Lei lavorava in un bar tavola calda, o qualcosa del genere. Il viaggio era lunghetto, da Roma ad Aosta! Mi si prospettava una bella avventura, mi sentivo al settimo cielo. E invece...
    Arrivai di sera ad Aosta mentre cadeva un'uggiosa pioggerellina. Chiesi indicazioni per recarmi al bar dove lavorava Lella. Arrivato sul posto...ci credereste? Trovai chiuso per riposo settimanale. Un po' scoraggiato dovetti andare a cercarmi un ricovero per dormire. Badate bene che era la prima volta in vita mia che mi avventuravo in situazioni del genere da solo.
    La mattina dopo, tornato al bar, ebbi modo di vedere Lella e rimasi subito abbagliato dalla sua bellezza. Ma anche dalla sua aria triste. Il problema è che lì lavoravano anche i suoi genitori, i quali quasi non mi degnarono di uno sguardo. Non la facevano uscire dal lavoro, riuscimmo solo a fare una breve passeggiata insieme. Dal juke box del bar si sentiva sempre la canzone di successo del momento, "Run to me" dei Bee Gees. E insomma, stazionavo lì al bar senza sapere che fare, con una certa angoscia crescente. Oltretutto vedevo che alcuni clienti, come per scherzo, allungavano le mani con lei senza che i genitori trovassero nulla da dire!
    Il giorno dopo, semidistrutto, la salutai per tornarmene a casa. Arrivato in stazione salgo sul treno, mi aspettavano otto ore di viaggio. Senonché l'atroce delusione subita, la prospettiva dell'infelice ritorno, mi fanno salire un senso di ansia che mano mano cresce. Sto per partire, ma mi manca il respiro, la testa gira, come faccio a viaggiare in quelle condizioni? Il cuore mi batte in gola, muoio? Disperato mi rivolgo all'elegante signore che mi siede di fronte, parlare forse è meglio, con grande sforzo gli dico che mi sento male. Lui si allarma, vorrebbe addirittura far fermare il treno, al che trovo la forza di dirgli di non preoccuparsi, conosco quella sensazione, passerà. Ma mica lo so se passa realmente. A questo punto arriva un intervento divino (?). Una signora seduta lì accanto ha sentito le mie parole e premurosa mi offre due pasticchette, dicendo di sapere bene cosa si prova in certi casi, per esperienza diretta. E' la salvezza, riesco in tal modo a tornare a casa salvo. Ma da quel momento inizia uno dei miei ricorrenti momenti di black out. Dura almeno sette o otto mesi...
    Poco dopo quel viaggio ad Aosta, in pieno stato di esaurimento, comincio a non dormire la notte. Mi imbottiscono di tranquillanti, niente. Le notti diventano un supplizio spaventoso fatto solo di ansia continua. Mia madre preoccupatissima mi accompagna da uno psichiatra. Operava presso una clinica. Ricordo la scalinata da salire per arrivare a questa clinica, non lontano da casa mia. Da allora, quasi 50 anni fa, non l'ho più salita, però mi capita spesso di passare ai suoi piedi, ogni volta mi riprometto di tornare a salirla, vedere se ancora esiste quella clinica... Dove fui ricoverato per fare la cura del sonno, anticamera di possibile infermità mentale. "Non preoccuparti, ti faremo tornare a dormire serenamente", aveva detto il medico.
    Allucinato, dopo una settimana in bianco, entro...mi guardo intorno...e vedo una sinistra compagnia di fantasmi in pigiama, bianchi, zombies, morti viventi che si trascinano piano, senza far rumore. PAURA!!! Come faccio a stare qui, a diventare come loro? Sono forse GIA' come loro? Forse no, sono ancora ben cosciente di quello che mi sta accadendo. E allora scappo, esco precipitosamente, al sole che mi abbaglia colpendo i miei occhi stanchi...Tornato a casa, quella notte, finalmente, riesco a dormire...L'incubo si è allontanato.
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  8. #8
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    Qualche anno dopo ha inizio il mio tentativo di risolvere i miei problemi tramite psicoterapia. Il dottore, consigliatomi da un'amica, è anche docente universitario, fa psicoterapia di gruppo. Posso permettermi di pagare perché la parcella è bassa, ma nel gruppo, se hai il vantaggio di poterti confrontare anche con i problemi altrui, necessariamente trovi meno spazio. Specialmente io che non so farmi rispettare. E' paterno, questo analista, bonario, un padre ideale, quello che a me è sempre mancato. Risolve tutto con una battuta che è solito ripetere: "Fare (o dire) la cosa giusta, nel modo giusto, al momento giusto". Sembra facile a lui...E poi: "Se vi assale l'ansia, se aumenta il panico, masticatevi una pasticchetta di tavor, chi ve lo fa fare di continuare a soffrire?". E prendiamoci 'sto tavor, cambiamo pasticchetta! Ma stesse forse pappa e ciccia con la casa farmaceutica? Ah, ma nel gruppo c'è una che mi piace, bella ragazza, anche se sfuggente, si chiama Doris...Non mi dichiaro, ma quella si accorge che "le batto i pezzi" (si dice così anche da voi?) cosicché vengo a sapere che si è confidata col medico in separata sede e insomma, non se ne fa niente, tanto più che ora sembra abbia il ragazzo...E io che le avevo dedicato una poesia...
    In quel periodo avevo preso a sbevacchiare la sera, bere quel mezzo litro mi aiutava a sentirmi un po' più allegro, nel mentre mi sminuiva i problemi. Era un'epoca in cui esistevano ancora le vecchie osterie di una volta, dove potevi sederti e passare le ore in compagnia di operai, muratori, gente del popolo verace. Seduto in disparte mi lasciavo cullare dalle voci intorno, dalle esclamazioni del gioco delle carte, mentre bevevo il mio rosso mangiandoci su un bel paninozzo con salumi o formaggi. E fu così che una sera andai al di là della quota di alcol che mi ero prefissata per non sentirmi male...
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  9. #9
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    Nel tanto discusso anno 1977 nel quartiere san Lorenzo esisteva ancora un'osteria dove si recavano operai e pensionati della zona, un angoletto appartato dal chiasso cittadino...Si scendevano alcune scalette e ci si ritrovava in una specie di ampio scantinato dall'odore di muffa. Mi mettevo seduto a uno dei tavolacci di legno e passavo il tempo consumando vino rosso e panini. Avevo preso l'abitudine di bere il mio mezzo litro, non di più, quel tanto che mi bastava a darmi un po' di allegria sminuendo i problemi senza poi dovermi sentire male di stomaco. Quella volta, dopo l'osteria, dovevo recarmi dal terapeuta per il gruppo. Avevo bevuto la mia dose quotidiana quando un tizio mi si rivolse offrendomi ancora da bere. Era la festa del rione. Rifiutare mi sembrò scortese, e bevvi così quel bicchierone di troppo. Specifico che non avevo la patente e viaggiavo col bus. Dentro di me apparve subito chiaro l'errore fatto. Arrivato dall'analista mi sedetti. Qualcuno cominciò a parlare del suo problema personale. Intanto il mio problema personale era che la testa mi girava forte ed avvertivo un senso di nausea. Chiesi di andare al bagno dove rigettai pure l'anima. A quel punto il dottore si accorse che qualcosa non andava, interruppe chi stava parlando dicendo che c'era qualcosa di "attuale" di cui discutere. Non ricordo cosa dissi e cosa dissero gli altri.
    Passai circa tre anni con quel dottore, in quel gruppo, prima di andarmene perché ormai avevo ben capito che non c'era molto altro da dire e da ricavare da quel tipo di analisi. Dovevo incontrare di nuovo uno di quei ragazzi di allora, ormai ad una certa età, molti anni dopo. Casualmente era amico di una mia amica...
    Una parentesi. Il 1977 si situa al centro dei famosi "anni di piombo", fra il terrorismo delle Brigate Rosse, l'omicidio Moro un anno dopo, le "spese proletarie", le manifestazioni di piazza, lo scatenarsi di gruppuscoli estremisti, le sparatorie tra fascisti e comunisti...e via dicendo. Ne fecero anche una mostra...e fu paragonato al '68. 1977. Un anno spartiacque - Arte - Rai Cultura
    Frequentavo l'Università (La Sapienza) facoltà di Lettere. Ogni tanto si doveva scappare perché magari venivi a trovarti nel bel mezzo di uno scontro...e anche la polizia non faceva complimenti in certi casi...ndo cojo cojo...
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  10. #10
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    A quell'epoca mi chiedevo se a Roma o dovunque nel mondo potesse esistere un analista capace di raddrizzarmi la capa. Mi ritrovai così in uno strano gruppetto di ansiosi patologici dalle parti della stazione. Lì era assai praticato lo psicodramma, tecnica nella quale ognuno impersonava un ruolo preciso, si identificavano persone reali che nella vita...diciamo così, creavano problemi all'analizzato.

    Ora vorrei farvi capire che in queste cose le donne per me sono assai più brave di noi uomini ad immedesimarsi nella parte, per cui su di loro questa tecnica può avere assai maggiore successo. Capitò così un bel giorno che alcune ragazze identificarono in me chi il fidanzato oppressivo, chi il padre repressivo, chi il fratello rompipalle...e si calarono così bene nella parte da scatenarsi contro di me con calci, pugni, schiaffoni! E io...ridevo, ridevo! Proprio come Totò in una famosa parte in cui lo scambiano per un certo Pasquale, non so se avete presente, sennò ditemelo che vi posto lo sketch, forse siete troppo giovani per averlo visto. Ridevo perché non lo so bene neanch'io, di certo non riuscivo proprio ad arrabbiarmi. Sapete cosa mi dissero allora i due analisti? (Il gruppo era tenuto da un uomo e una donna, dicevano di dover rappresentare la parte materna e quella paterna, magari ci credevano pure). I due stupidelli dissero che io ridevo perché in qualche modo finalmente mi sentivo al centro dell'attenzione. E sia pure. In quel gruppo non ci rimasi molto tempo, uscivo di lì che stavo peggio di prima...

    Aggiungerò solo che un'altra volta me ne uscii infelicemente in gruppo dicendo che mi sentivo "nudo di fronte agli altri". Non lo avessi mai detto. Cosa ti fanno i due sciagurati? Mi fanno denudare di fronte agli altri per tutta la durata della seduta (dovetti togliermi pure le mutande). Madonnina mia che vergogna... Insomma, che dite, voi quanto avreste resistito? || Che poi andavo a vedere il primo Woody Allen e mi pareva niente quello che gli succedeva...
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  11. #11
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    A quell'epoca mi chiedevo se a Roma o dovunque nel mondo potesse esistere un analista capace di raddrizzarmi la capa. Mi ritrovai così in uno strano gruppetto di ansiosi patologici dalle parti della stazione. Lì era assai praticato lo psicodramma, tecnica nella quale ognuno impersonava un ruolo preciso, si identificavano persone reali che nella vita...diciamo così, creavano problemi all'analizzato.

    Ora vorrei farvi capire che in queste cose le donne per me sono assai più brave di noi uomini ad immedesimarsi nella parte, per cui su di loro questa tecnica può avere assai maggiore successo. Capitò così un bel giorno che alcune ragazze identificarono in me chi il fidanzato oppressivo, chi il padre repressivo, chi il fratello rompipalle...e si calarono così bene nella parte da scatenarsi contro di me con calci, pugni, schiaffoni! E io...ridevo, ridevo! Proprio come Totò in una famosa parte in cui lo scambiano per un certo Pasquale, non so se avete presente, sennò ditemelo che vi posto lo sketch, forse siete troppo giovani per averlo visto. Ridevo perché non lo so bene neanch'io, di certo non riuscivo proprio ad arrabbiarmi. Sapete cosa mi dissero allora i due analisti? (Il gruppo era tenuto da un uomo e una donna, dicevano di dover rappresentare la parte materna e quella paterna, magari ci credevano pure). I due stupidelli dissero che io ridevo perché in qualche modo finalmente mi sentivo al centro dell'attenzione. E sia pure. In quel gruppo non ci rimasi molto tempo, uscivo di lì che stavo peggio di prima...

    Aggiungerò solo che un'altra volta me ne uscii infelicemente in gruppo dicendo che mi sentivo "nudo di fronte agli altri". Non lo avessi mai detto. Cosa ti fanno i due sciagurati? Mi fanno denudare di fronte agli altri per tutta la durata della seduta (dovetti togliermi pure le mutande). Madonnina mia che vergogna... Insomma, che dite, voi quanto avreste resistito? || Che poi andavo a vedere il primo Woody Allen e mi pareva niente quello che gli succedeva...
    Poco più di 8 anni fa, in un periodo non propriamente al top della mia vita su indicazione di un amico ho cominciato ad interessarmi a gruppi del genere dove ci si raccontava i propri disagi per confrontarsi, e sono pure entrato in uno maaa...
    ...resistetti per una seduta unica di circa un'ora, capii immediatamente che
    quella non era la mia strada
    ...allora mi buttai nello sport a tutta forza, body building, danza aerobica ed altri occasionali non sempre compatibili tra loro, però l'effetto desiderato non tardò a farsi sentire

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