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Discussione: Il mondo al tempo di Gesù

  1. #1
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    Il mondo al tempo di Gesù

    E’ ovvio che per conoscere il senso del pensiero di Gesù è necessario in primis conoscere il mondo in cui viveva.

    IL MONDO ROMANO

    A quell’epoca, l’impero romano aveva superato i settecento anni di età e continuava ad estendersi, sebbene già includesse gran parte del mondo che Gesù era venuto a salvare.
    Certamente, esso influì sula vita del Messia, sulla sua immediata coscienza umana, in una misura quale non potevano le altre grandi aree della terra.
    L’impero abbracciava il perimetro del mediterraneo ed era abitato da molti popoli di diversa origine e di diverso colore.
    I vessilli di Roma garrivano al vento lungo il Reno, il Danubio, i monti dell’Atlante nell’Africa settentrionale; in Portogallo, Siria, Belgio, Egitto, e su gran parte del mondo civile compreso tra questi paesi.
    Imperatore era Tiberio. Aveva settant’anni; un uomo macilento, acido, che soffriva di acne. La sua più grande felicità veniva dallo studio. La sua più grande infelicità era venuta da sua madre, Livia. La donna lo aveva pungolato sinché non aveva salito tutta la gerarchia politica, ma quando finalmente era asceso al grado supremo, egli non l’aveva più degnata di uno sguardo.
    Era un uomo forte, devoto all’impero, ma afflitto da due disgrazie. La tendenza a invischiarsi nelle minuzie dell’amministrazione e l’incapacità di esprimere un sentimento qualsiasi.
    In senato alcuni suoi colleghi gli avevano appioppato il soprannome “La Maschera”. Anni addietro, ancora giovane ufficiale, aveva imparato a celare ogni segno rivelatore dei suoi sentimenti intimi, e, arrivato ormai in età avanzata, gli era impossibile manifestare sia la gioia sia il dolore. Il suo conforto era l’astrologia, mentre in fatto di religione pareva non curarsi molto degli dèi di Roma.
    Una volta s’era innamorato, e la donna, Vaspinia, era diventata sua moglie. In sua presenza, Tiberio era stato vivace e gaio, ed a lei aveva mostrato la sua profondità di sentire come un bambino mostra all’amico i suoi balocchi segreti. Avevano macchinato perché divorziasse a favore di Giulia, e Tiberio aveva finito col cedere. Ora Giulia lo tradiva con altri uomini.

    Tratto dal libro di Jim Bishop " Il giorno in cui Cristo morì ".

    Fine prima parte.
    Ultima modifica di crepuscolo; 27-02-2022 alle 19:16

  2. #2
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    Il regno di Tiberio era, a rigor di legge, un regno costituzionale; ma, nella realtà, non lo era affatto. Nel periodo iniziale del suo governo, l’imperatore si mostrò sempre molto deferente verso il senato, sottoponendo ad esso anche le questioni di minore importanza. Si faceva un dovere di essere presente alle sedute dell’augusto consesso, e vi teneva discorsi, spesso schierandosi con la minoranza. Talvolta si approvavano decreti contro i suoi stessi desideri, e Tiberio non se la prendeva. Circolavano moti di spirito su di lui e la sua famiglia; se glieli riferivano, rispondeva che l’impero doveva godere di piena libertà di parola e di pensiero.
    Tacito era uno dei suoi oppositori, ma riconosceva che le nomine d’ufficio inviate al senato dall’imperatore erano “fatte con discernimento”.
    Quel che Tiberio voleva era una Roma dei vecchi tempi, una Roma in cui i consoli, i procuratori e gli altri magistrati godessero delle piene prerogative del loro grado; desiderava pace lungo le frontiere e che non s’imponessero nuove tasse né si reprimessero i popoli soggetti; invitava chiunque non fosse d’accordo con lui a presentare la questione all’organo competente.
    All’età di cinquantasei anni, aveva assunto il trono con ben scarsa conoscenza dei problemi economici. Ora, a settant’anni, aveva una grande esperienza in materia. Basti ricordare che, quando aveva iniziato il suo regno, nelle casse dell’erario non v’erano più di cento milioni di sesterzi. Quando morì, lasciò 2 miliardi e settecento milioni.
    Il rigoroso rispetto della legge e dei diritti altrui durò solo per i primi nove anni del suo regno. Durante questo periodo, egli dichiarò più volte di derivare la sua potestà dal senato e dal popolo, e di essere soltanto il magistrato supremo della nazione.
    Se, più tardi, divenne a poco a poco un autocrate, Il motivo va ricercato nella legge romana, secondo la quale Cesare era signore assoluto nelle province ma in patria un semplice funzionario nominato dal popolo.
    Questo duplice aspetto del suo potere creò a lungo andare una situazione insostenibile; col tempo, il lato autocratico di quella carica si manifestò anche a Roma. Cesare divenne signore assoluto tanto in patria quanto fuori. Un potere sempre più grande si concentrò in un numero di mani sempre più ristrette; la nomina dei magistrati a Roma divenne un favore per amici; nel suo quindicesimo anno di regno, Tiberio dislocò fuori delle mura di Roma una grossa guarnigione militare che rispondeva esclusivamente a lui. Tale guarnigione era un’acuta minaccia per tutti gli oppositori di Tiberio, ma anche una minaccia latente per lui.

    Fine seconda parte.

  3. #3
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    Come monarca, Tiberio fu per molti anni un uomo giusto anche se spietato. Il suo governo nelle provincie fu più efficiente che in patria, e quel legato o procuratore che fosse da lui sorpreso ad opprimere i popoli soggetti, incorreva nelle spiacevoli conseguenze della sua ira. Manteneva questi ufficiali in uno stato di terrore quasi costante; come abbiamo già detto, era cronicamente sospettoso e si serviva di spie. Aveva nominato Ponzio Pilato alla modesta carica di procuratore della Palestina su raccomandazione della moglie di Pilato medesimo e di Seiano, confidente e spia, ma non avrebbe esitato a rimuoverlo dalla carica ed a bandirlo col minimo pretesto, anche se ciò fosse in contrasto col principio da lui più volte affermato: che conveniva cioè mantenere il più a lungo possibile in carica un procuratore, in quanto, una volta si fosse ingrassato a spese del popolo, avrebbe poi lasciato il popolo in pace.
    La città di Roma, come un pernio attorno a cui girava la ruota dell’impero, era una meraviglia di civiltà e di dissolutezza, di efficienza affaristica e di bassa politica, di enorme potenza e di artifici meschini. Anche nel campo del diritto, i romani riuscivano a creare una mescolanza di idee progressive con cose ridicole.
    Ogni legge appariva in contrasto con se stessa, a cominciare dalla legge scritta, che constava di due parti: lo ius civile, la legge dei cittadini, e lo ius gentium, la legge delle nazioni.
    A prescindere dalle cose del diritto, le usanze ed i costumi del popolo di Roma sono, in sé, interessanti quando li si consideri in rapporto ai timori religiosi, fanatici, di una città come Gerusalemme. La vita morale delle ragazze romane era gelosamente vigilata, laddove quella dei giovani era regolata da una disciplina assai meno rigida. Non era considerato disonorante per un giovane di buona famiglia frequentare i lupanari e pagar le meretrici. I lupanari erano autorizzati a condizione che si trovassero fuori delle mura della città e venissero aperti al pubblico dopo calate le tenebre. Tutte le meretrici erano registrate presso gli uffici civici e dovevano indossare la toga invece della stola.
    A quell’epoca, la donna pagata a tariffa era nettamente in ribasso rispetto all’amante raffinata che cantava, danzava, recitava poesia e sapeva sostenere una conversazione sugli argomenti del giorno. Ma sia le une e sia le altre erano reperibili in ogni quartiere della città, a volte persino nel tempio della dea Iside. Ovidio dice che si trovavano sotto i portici della città, nel teatro, al Circo Massimo, “numerose come le stelle del cielo”.
    Anche i maschi si prostituivano dietro compenso. L’omosessualità era condannata, sì, ma da una legge molto blanda, quasi compiacente. ( A Gerusalemme la punizione era la lapidazione ).

    Fine terza parte.
    Ultima modifica di crepuscolo; 07-03-2022 alle 17:36

  4. #4
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    I genitori di servivano di mediatori per trovare mariti alle proprie figlie, appena queste cominciavano ad avere un’età passabile. Dopo l’età di diciannove anni, le donne non maritate erano considerate zitelle.
    Come in Palestina, il matrimonio era combinato dai genitori. Un ragazzo ed una ragazza fidanzati di rado si vedevano. Non solo non esisteva il corteggiatore, ma neppure il termine linguistico per indicarlo. Seneca il vecchio diceva che i Romani saggiano ogni cosa prima di acquistarla, eccetto che una sposa.
    Un giovane anche se aveva il dono della poesia, non scriveva mai liriche alla ragazza dei suoi sogni; le indirizzava a donne maritate, o ad altre che non aveva intenzione di sposare. Secondo Seneca il giovane, una donna sposata che si contentasse di due soli amanti, era virtuosa.
    L’incallito Ovidio diceva che “ donne pure sono solo quelle che non sono state desiderate, un uomo che si adira per gli amori di sua moglie, è uno zotico “. Giovenale scrisse di una donna, non considerata eccezionale, che si sposò otto volte in cinque anni.
    Anche le donne davano prova di cinismo; usavano dire che era giusto consegnare la dote al marito ed il corpo all’amante.
    L’abbigliamento delle donne di Gerusalemme aveva regole ferree, ma le signore di Roma avevano cominciato proprio in quel periodo a praticare l’uso di delicati tessuti come sottovesti. Per coprirsi le spalle si servivano di sciarpe allettanti, disposte con noncuranza. Veli tenuissimi celavano i volti, spesso sfigurati dai cosmetici ( questi erano in uso anche allora, per non parlare di parrucche, pettinature e manicure ). D’inverno le donne si coprivano con lussuosi mantelli di pelliccia. Seta e lino erano usati sia dagli uomini che dalle donne, ma le tinture costavano un occhio. Era elegante ricamare ricche stoffe di fili d’oro o d’argento, e così erano decorati abiti, tappeti, tende, copriletti e veli da portare in capo.
    Le case più ricche di Roma, di qualunque tipo, erano costruite con gran cura. Avevano pavimenti di marmo granito o di mosaico; le colonne scanalate che decoravano le vaste sale erano di marmo policromo o di onice puro, talvolta di alabastro. Le pareti erano dipinte a mano con scene di battaglia o paesaggi; i soffitti rivestiti d’oro in foglia, oppure fatti interamente di lastre di vetro. I tavoli di legno poggiavano su gambe di puro avorio. I divani avevano decorazioni di avorio, argento e oro. I larghi letti, di bronzo, erano protetti da una zanzariera montata su di un baldacchino; i candelabri modellati in bronzo e cristallo; statue e pitture si trovavano dappertutto; vasi di considerevoli dimensioni, fatti di bronzo corinzio o di cristallo murrino, riempivano gli angoli delle stanze.
    Naturalmente, molte di queste cose abbellivano solo le dimore dei ricchi, ma Roma ne era piena. Si dovevano acquistare schiavi per custodire le ricchezze di tali dimore, ed alcune case ne avevano fin quattrocento. L’unica cosa che i padroni di quelle abitazioni sfarzose non potessero comprare era la solitudine: quando mangiava, il signore aveva ai lati per servirlo, due schiavi; quando si spogliava altri due schiavi gli stavano davanti, in ginocchio, per togliergli i sandali; persino in un luogo privato come il bagno, i silenziosi occhi dei suoi schiavi lo guardavano.

    fine parte quarta.

  5. #5
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    I piccoli mercanti e gli artigiani lavoravano nelle loro botteghe ed ai loro banchi nelle fabbriche fin dal levar del sole. Il pranzo si consumava a mezzogiorno ed era seguito da un breve riposo. Poi si tornava al lavoro, per restarvi fino al tramonto. A scopo ricreativo, si andava ai bagni pubblici. In pratica, i Romani si preoccupavano molto di più della pulizia del corpo che non del culto degli dei. Facevano il bagno frequentemente, anche in pubblico, e furono il primo popolo ad adottare i sudaria ( fazzoletti ) per asciugarsi il sudore. Amavano dentifrici e polveri, consultavano i medici per la cura dei denti.
    Il pranzo dei poveri consisteva per lo più di farina ed orzo, formaggi, verdura, frutta e noci. I ricchi mangiavano carni di ogni tipo, la pietanza preferita era il porco arrostito. Venditori spingevano per la via carretti smerciando botuli ( salsicce ) caldi. I ricchi avevano gusti raffinati che esigevano continue variazioni. Per compiacere agli ospiti, un grosso pesce veniva spesso imbandito vivo dagli schiavi e poi tuffato in acqua bollente in modo che i convitati potessero osservare il mutar di colore del pesce morente.. I romani gustavano anche le ali di struzzo, il fegato d’oca, la lingua appuntita dei fenicotteri. Fu Apicio che inventò il paté de fois gras, facendo ingrossare il fegato delle porcelline con alimento di fichi freschi.
    La pavimentazione delle vie di Roma era la migliore del mondo, e lungo quelle arterie una fiumana do gente si avviava al lavoro nelle prime ore del mattino. Gli uomini avevano un aspetto pressoché uniforme, in quanto quasi tutti portavano capelli corti, indossavano vesti comode e calzavano sandali. L’imperatore Augusto, predecessore di Tiberio, voleva che tutti i cittadini di Roma mostrassero la loro “ distinzione “ portando la toga, e, se passando per le vie sul cocchio, vedeva pochi uomini con la toga, s’infuriava.
    L’uso della toga era invece vietato a chiunque non fosse cittadino romano.
    Molti degli usi e costumi romani furono esportati nelle provincie. A Gerusalemme, erano stati costruiti un teatro romano, nei pressi del tempio, e un anfiteatro, nella pianura circostante: l'uno e l’altro copiati da modelli originali in Roma, ma ispirati ad una maggiore grandiosità.
    Le donne potevano recitare in teatro, solo a condizione che fossero registrate come prostitute. Buona parte del repertorio teatrale era greco e tragico, oppure romano e licenzioso. In certe occasioni era permesso al pubblico di gridare agli attori di spogliarsi di ogni indumento. Le donne ebree non prendevano mai parte agli spettacoli come attrici, e neppure vi assistevano, ad eccezione di alcune amiche del re Erode, ebree di sangue ma romane di temperamento.
    L’anfiteatro nella pianura non era usato spesso, poiché l’allestimento delle gare brutali era troppo costoso.
    Talvolta passavano anni senza che nell’anfiteatro si vedesse uno spettacolo, ed in quei periodi di inattività i soldati se ne servivano per compiervi gli addestramenti, per finte battaglie e per torturare schiavi e prigionieri di guerra.
    Quando i giochi erano organizzati da Erode, ricalcavano in tutto quelli messi in scena d Cesare: i rimani e gli erodiani più in vista, ossia, assistevano allo spettacolo di prigionieri di guerra che, armati di lancia, si battevano contro carcerati comuni, fatti venire da tutta la provincia.
    Questi ultimi erano armati di gladio, ed a tutti i combattenti si faceva sapere che, se avessero dato spettacolo di coraggio e di bravura, avrebbero potuto riacquistare la libertà.
    In alto, su una muraglia a gradinate, in un palco privato chiamato il suggestum, sedevano il procuratore ed il suo ospite regale con gli invitati delle loro corti. Il resto dell’anfiteatro, dal muro in cima fin giù all’arena, era occupato dalle gerarchie inferiori dei sicofanti romani. L’ingresso era libero. Invece delle tradizionali statue romane, nell’anfiteatro si vedevano qua e là fontane da cui zampillava una pioggerella di acqua profumata.


    Fine parte quinta
    Ultima modifica di crepuscolo; 19-03-2022 alle 14:47

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