A casa mia non si parla in dialetto.
Di solito sono in dialetto le esternazioni, i proverbi,
certi discorsi che vengono riportati e ricordati,
le parole della quotidianità,
i soprannomi e le tristezze, le amarezze,
i figli o i nipoti hanno sempre ricevuto un complimento o un rimprovero in dialetto.
E' stato un modo per crescerci, che mi è sembrato sempre il più efficace.
Sapere usare la propria lingua è per locutori esperti.
Mi è capitato di dover spiegare, nel corso degli anni, che nascere italiani non vuol dire saper usare la lingua,
non avviene tutto automaticamente,
così vale per il dialetto.
L'opportunità della lingua, la sua puntualità, stanno anche nel legame che abbiamo stretto con le parole.
Dal momento che queste ultime sono come le persone difficilmente ci piaceranno sempre tutte,
probabilmente , a differenza delle persone, vorremmo comunque , mossi dalla curiosità, conoscerne il significato...
C'è una parola, che ha origini lombarde, e che è di uso ampiamente riconosciuto nell'italiano,
ed è una parola che non mi piace (non mi piace il suono, nè il movimento che fanno bocca e lingua quando la pronuncio),
ma andai a cercarne il significato: malmostoso.
Però è una parola perfetta, se ci penso, perché è coerente col suo siginificato.
Ad ogni modo, per non perdermi del tutto tra le parole e nei molti discorsi in proposito,
posso aggiungere ancora che esistono parole che mi mettono di buon umore: 'o fattapposta, 'o tram a muro, la coccottina (la terrina degli gnocchi alla sorrentina, così la chiama mia madre), 'o tirabuscion (francesi e napoletani si sono capiti solo in cucina e nelle parole), abbuscare(dallo spagnolo, buscar) e altre che non elencherò.
Il "problema" dell'esprimersi non esiste, se c'è affinità.
Quali che siano le radici di una persona o di due, tre, persone, si capiranno non perché hanno lingue uniformi, ma perché sanno valorizzarne le differenze.
Se c'è affinità.
E se non si accentano le parole ad capocchiam (ciao Cono ).
un po' di possibile, sennò soffoco.
G. Deleuze
Come Bumble, sono stata cresciuta nel disprezzo del dialetto. In casa non si parlava, in nessuna delle nostre famiglie, anche per evitare di prendere un accento troppo pesante. Ho questa immagine di mio padre bambino, chiuso nel recinto di casa, che non aveva il permesso di giocare con i suoi coetanei del paese per non imbastardire il linguaggio. C'è questa linea di confine gattopardesca da noi, quella élite culturale che non si mischia col volgo, è un tratto della nostra borghesia, fatta anche dai funzionari statali, insegnanti di liceo, professionisti. Se ne stanno zitti nel loro recinto, e fuori tutto va a pezzi.
Ho cominciato a imparare il dialetto a Torino, perché mi mancava la mia terra. Lo capivo, ma non lo parlavo. Adesso mi arrischio, ma sbaglio spesso e faccio ridere chi lo parla da sempre. Adoro i proverbi, il cinismo, il sarcasmo, certe vette di volgarità, l'insulto fantasioso, l'italicum acetum, le tracce di tutte le dominazioni straniere in ogni singola frase.
Il vero castigo per chi mente non è di non essere più creduto, ma di non potere credere a nessuno.
(George Bernard Shaw)
Per me il dialetto esprime una parte irrinunciabile di me stessa
Ho sempre testardamente tenute legate a me le mie origini
Nel dialetto ci ho sempre visto sudore e sangue, terra, sole, mare
E non ho mai voluto rinunciare a nessuna sfumatura
Lo parlo meno di quanto vorrei, per ovvie ragioni
Per questo sul forum spesso faccio terra bruciata
Mi diverte, mi predispone alla gioia ed al riso
Devo provare ad andare allo Speakers corner
-Healthy body, clear mind, peaceful spirit-
-Where there’s will there’s a way-
-Work hard have fun & be nice-
Sono nato a Bolzano da madre trentina e padre veneto. Mia nonna materna era di Arnoldstein, un paesotto austriaco non molto lontano dal confine con l’Italia.
Quando avevo 3 anni, mio padre che lavorava per le ferrovie, è riuscito ad avere il trasferimento dalla stazione di Bolzano ed è tornato con me ed il resto della famiglia a Verona sua città di nascita.
I genitori di mio padre erano entrambi veronesi da molte generazioni.
Parlo tranquillamente il dialetto veneto, specialmente con mio fratello, con i parenti e con gli amici, con i miei colleghi, con i commercianti, in città. Capisco perfettamente il tedesco ma non lo parlo e tantomeno lo scrivo, anche se mia madre mi parlava spesso nella sua lingua madre acquisita, un tedesco corrotto (e leggermente addolcito) da infiltrazioni slovene e bavaresi.
La lingua che si parla in casa è l’italiano, mio figlio capisce bene il veneto (meglio sarebbe dire il veronese perché il dialetto cambia da zona a zona, io ad esempio fatico a capire molte parole tipiche del veneziano) ma non lo parla mai.
Parlare in dialetto mi piace, mi viene spontaneo e credo di pensare in veronese.
E’ la lingua ufficiale che si parla al pub, al poligono ed in genere in tutti i miei luoghi di svago.
Diciamo comunque che in città il dialetto viene usato spessissimo dai locali, specialmente la generazione più matura, non è raro ad esempio, assistere ad una riunione del consiglio comunale dove amministratori, assessori o consiglieri si interpellano tra di loro parlando in dialetto, magari inframmezzandoci termini italiani.
Rispondo un po’ a tutti.
Mi par di capire che siamo in pochi forumisti ad essere anche dialettofoni e da molti il dialetto viene considerato una grande risorsa espressiva.
Però è anche vero che quando si educano i figli qualche riflessione e scelta bisogna farla, come scrivono Bumble e Nahui.
Io capisco l’aspirazione dei loro genitori che non hanno voluto insegnare ai bambini il dialetto, forse per un desiderio di promozione sociale. E’ un po’ quello che ho fatto io con le mie figliole, ma in una situazione linguistica più complessa e stratificata.
Mi spiego: se mi sentiste parlare con le mie amiche del cuore di vecchia data (della minoranza) vi chiedereste, come hanno fatto in realtà l’altra sera al pub dei perfetti sconosciuti del tavolo vicino interpellandoci in merito (e poi ci siamo messi a chiacchierare fino a notte fonda), che cavolo di lingua sto parlando: dialetto sloveno, intervallato da espressioni in lingua slovena, in triestino, in italiano, a seconda dell’argomento (ad esempio, per parlare di politica usiamo qualche parola italiana)…
Tanto per farvi capire che la lingua di una minoranza linguistica è sottoposta a tutta una serie di influenze e condizionamenti dall’ambiente, in questo caso italofono, e deve continuare a salvaguardare il proprio modo di esprimersi, altrimenti viene assorbita anche in una situazione di sostanziale tutela come la nostra (abbiamo scuole, teatri, tv, associazioni varie in Italia).
Ebbene, io non volevo che una cosa del genere accadesse alle mie figlie.
Per questo ho parlato loro sempre nella sola lingua slovena (mentre mio marito continuava imperterrito ad usare il dialetto), “difendendole” dall’italiano (trasmissioni televisive, radiofoniche ecc.) fino alla scuola, perché tanto prima o poi l’avrebbero imparato.
Alla fine si è rivelata una scelta giusta per il loro futuro e noi tre, fra di noi, parliamo in lingua.
Ultima modifica di follemente; 19-03-2022 alle 11:36
Poesie di Demetrio Rigante...
A PELE D’ACQUE…
A péle d’acque
u tremuízze du vrespaune
a léte… pe remanéie o munne!
Nzuppòte saup’o lapeduzze
ià prettòte a resperò…,
paràie mbriòche,
mbriòche de véte
…e póie u vóule
a cavadde de ne ragge de saule
astemènne la sècche
ind’a cure maleditte bíuche d’arie…
Quande frastéire desperòte
ind’o máre nóuste
se petèssene salvòie
che tanda varche e varchéitte
chestrètte a nan fa’ néinde
cóme lapèddere
dó córe de pète,
sémb’o mbóuste,
fra tèrre e máre…
L’albe de na déia nóve
a Lampedusa
…e chióve líuce a la répe saue
saup’o tremuízze
de na “nírga” preggessiaune
chè aspétte…,
cóme u vrespaune
a péle d’acque…
A PELO D’ACQUA…
A pelo d’acqua
il tremolío del calabrone (vespa crabro)
in lotta… per rimanere al mondo!
Fradicio su di un ciottolino
è portato a respirare…,
pareva ubriaco,
ubriaco di vita
…e poi il volo
a cavallo di un raggio di sole
bestemmiando la sete
in quel maledetto buco d’aria…
Quanti stranieri disperati
nel nostro mare
si potrebbero salvare
con tante barche e barchette
costrette ad oziare
come ciottoli
dal cuore di pietra,
sempre vigili,
fra terra e mare…
L’alba di un nuovo dí
a Lampedusa
…e piove luce alla sua ripa
sul tremolío
di una “nera” processione
nell’attesa…,
come il calabrone
a pelo d’acqua…
ASPETTENNE LA SAIRE…
Vasòte da la capeddère
du Falze Paipe
e atternesciòte da le ráme
de prennéidde e vremmecócche,
l’últeme fiòte de la déie
rèt’o chezzétte,
u véinde de penénde
ca strascéne le penzéire
cóm’a fiíure de carte…
E adócchie u céile
saup’a mèie
cangiasse le chelíure
e, da l’alta vènne…,
u máre píure.
Aspétte la saire
ca, punduòle e selenziause,
vène a dò
la chenzègne a la nótte…
Ind’all’aria all’aschíure
le passe de na frònze
ca me caméne n-góudde,
leggère…,
se fèrme
e póie s’allendáne…
E m’acchemmógghie u córe
chèss’alta déie ca móre…
ASPETTANDO LA SERA…
Lambito dalla chioma pendente
del Falso Pepe
e attorniato dai rami
del susino e dell’albicocco,
l’ultimo fiato del giorno
dietro la nuca,
il vento di ponente
che si trascina i pensieri
come fiori di carta…
E adocchio il cielo
sopra di me
cangiarsi i colori
e, dall’altra parte…,
il mare pure.
Attendo la sera
che, puntuale e silenziosa,
giunge per dare
la consegna alla notte…
Nell’aria oscura
i passi di una foglia
che mi cammina addosso,
leggera…,
si ferma
e poi s’allontana…
E m’angoscia il cuore
quest’altro dí che muore…
RENGHIUSE TRA LE MIURE…
Renghíuse tra le míure…,
munne mbetréte
pe véicchie serrése
e memóurie du téimbe
ca se ne vònne
dé pe déie
pe re stràdere fèrme
… e sènza nu addéie.
Nótta de “guèrre”
lónghe
renghíuse tra le míure
cóme n-dringè…,
s’aspétte u neméche,
u virus nvesibbele:
stè ind’o stè fóre?
Punduòle,
nzéime a le sciacalle…,
vène la premavère
cu préme ragge de saule
ca ind’o caméne,
da levènde a penénde,
m’adócchie
rèt’a la fenéstra sprangòte;
nescíuna strètte de máne…,
pe famme u salíute
me mbònne de líuce…
De gòcce d’arie
m’abbeveraisce
da na sgarrasse…,
sénde la vauce du véinde
…e de libbere respére
me pigghie l’angalirie.
Preggiunéire de la déie
passe redd’aure
a fò gnóumbre
che féle de paciénze …e sperènze,
renghíuse tra le míure
stènghe
ma angóre me retróve,
cóme Ddé vóle,
avvrazzòt’a la véte…
RINCHIUSO TRA I MURI…
Rinchiuso tra muri…,
mondo impietrito
per vecchi sorrisi
e memorie del tempo
che se ne vanno
giorno dopo giorno
per le strade ferme
… e senza un addio.
Notte di “guerra”
lunga
rinchiuso tra muri,
come in trincea…,
l’attesa del nemico
il virus invisibile:
è dentro o fuori?
Puntuale,
con gli sciacalli…,
giunge la primavera
col primo raggio di sole
che nel cammino,
da levante a ponente,
mi adocchia
dietro la finestra sprangata,
nessuna stretta di mano…,
per farmi un saluto
mi inonda di luce …
Di gocce d’aria
m’abbevero da una fessura…,
odo la voce del vento
…e di libero respiro
mi piglia la brama.
Prigioniero del dí
trascorro le ore
a raggomitolare
fili di pazienza …e speranza,
rinchiuso tra muri
stanco
ma ancor mi ritrovo,
come vuole Dio,
avvinghiato alla vita …
Corteggiata da l'aure e dagli amori, siede sul trono de la siepe ombrosa, bella regina dè fioriti odori, in colorita maestà la rosa CLAUDIO ACHILLINI
Brava Regina, così si fa in questo thread!
E' da qualche giorno che penso a questa tua affermazione.
Me la puoi chiarire?
Affinità nel senso di attrazione, simpatia?
A parte l'ovvia attrazione fisica, non verbale, che spesso precede gli scambi linguistici, quale viene prima, la comunicazione o l'attrazione, o non si presentano per caso contemporaneamente?
Della serie... viene prima l'uovo o la gallina?
Dialetto e saggezza veneta
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