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Discussione: Commento linguistico ed esegetico al Vangelo di Marco

  1. #1
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    Commento linguistico ed esegetico al Vangelo di Marco

    Come era scritto nel profeta Isaia: “Ecco, mando il mio messaggero
    davanti a te; egli preparerà il tuo cammino”.


    Sotto il nome del profeta Isaia, Marco raggruppa due diversi testi:
    il primo è tratto da Es 23,20, sebbene il suo finale riveli l’influsso di Ml 3,1; il secondo è effettivamente tratto da Is 40,3.
    La giustapposizione dei due testi sotto un unico titolo segue l’uso giudaico del tempo di non citare mai un passo profetico senza appoggiarlo con un testo della Legge [[i profeti non venivano letti nella sinagoga se non come commenti della Legge e Marco, seguendo l’usanza, prima del testo di Isaia, colloca il testo di Mosè che gli corrisponde più facilmente e del quale poteva essere considerato come commento….dando colore al testo di Es 23 con quello di Ml 3,1. Seguendo questa usanza Marco dimostra la sua familiarità con gli usi della sinagoga; questo fatto ci consente di dedurre l’origine giudaica dell’evangelista]] , di cui si era ritenuto un commento.
    Marco usa questo procedimento per interpretare la figura e l’attività di Giovanni “come era scritto….si presentò Giovanni”. Nello stesso tempo le citazioni bibliche offrono dati su un altro personaggio, di cui il primo messaggero sarà precursore e che si identificherà con Gesù.
    Confrontando il testo di Marco con la traduzione greca dell’A.T. (LXX) si riconosce che Marco: “Ecco, mando il mio messaggero/angelo davanti a te”, riproduce quasi esattamente il testo di Es 23,20 "Ecco, io mando il mio angelo (= messaggero) davanti a te", nel cammino di Israele verso la terra promessa.
    La frase seguente: “egli preparerà il tuo cammino” invece, è più vicina a Ml 3,1b del testo dell’Esodo; Marco però cambia il destinatario, in Malachia “e preparerà il cammino davanti a me”; in Marco " egli preparerà il tuo cammino”; cioè per Marco, il cammino di Dio si realizza in quello di Gesù.

    continua
    Ultima modifica di crepuscolo; 06-09-2022 alle 20:50

  2. #2
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    II)
    Dio lo informa che un suo messaggero gli preparerà il cammino. Si parla di "un cammino", un cammino determinato, che implica una meta perfettamente definita nella mente di colui che parla e conosciuta dal personaggio a cui si rivolge.
    Questo cammino è un esodo (Es 23,20), cioè suppone la liberazione collettiva da uno stato di oppressione e l'arrivo ad una terra promessa, prevista nel piano divino. Il Messia non agirà a caso. Si sta precisando il significato della "buona notizia [[ Quando si verificano queste profezie con l'apparizione di Giovanni Battista l'antico annuncio diventa un fatto presente (mando); il richiamo iniziale all'attenzione (ecco), ricupera la sua forza, reclamando l'attenzione dell'interlocutore (il Messia) sull'arrivo del messaggero. Le parole (davanti a te, il tuo cammino), prima scritte, ora diventano parlate; il Messia conosce la sua missione e l'arrivo del precursore, sull'efficacia della cui missione viene rassicurato: "egli preparerà il tuo cammino". ]].
    Nello stesso tempo, secondo il testo di Ml 3,1, che si collega con Ml 3,23s, il messaggero si identifica con il profeta Elia, precursore della venuta del Messia; la missione di questo "angelo" o messaggero precursore viene così caratterizzata come un giudizio contro i defraudatori, gli sfruttatori e gli oppressori, affinché il popolo , tornando alla rettitudine di vita, ristabilisca il suo rapporto con Dio Ml 3,1s.
    La figura dell'angelo/messaggero di cui Marco 1,2 si identifica in 1,4 con Giovanni Battista; è quindi una figura umana.

    continua

  3. #3
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    III

    Una voce grida nel deserto: " Preparate il cammino del Signore, raddrizzate i suoi sentieri ".

    Il testo è tratto da Is 40,3.
    Introduce un cambiamento di scena.
    Senza transizione, il messaggero annunciato si rende presente e leva la sua voce, localizzata in un deserto; la sua missione ( preparare il cammino ) non si realizza con l'imposizione o la violenza, ma con l'esortazione ( preparate ).
    Anche questa citazione, che nel profeta si riferiva all'uscita da Babilonia, annuncia un esodo: sarà quello definitivo, perché guidato da Dio stesso, ma il "cammino del Signore" (JHWH) si identifica nel cammino del Messia "il tuo cammino" [[ in un'interpretazione rabbinica, "il Giorno di JHWH" (Ml 3,23), di cui Elia sarebbe stato il precursore, per i rabbini era una denominazione del Messia ]] , che assume un ruolo divino: egli compirà quella che, secondo il profeta, doveva essere opera di Dio [[ i rabbini interpretavano in senso messianico il testo di Isaia; anche la comunità di Qumran applicò il testo di Isaia alla propria esistenza ( interpretata escatologicamente ) nel deserto ]].
    La voce grida dal deserto, il luogo sterile e disabitato, separato dalla civiltà e dalla vita sociale. Da Osea in poi (2,16-18), il deserto, luogo dell'esodo, era simbolo della fedeltà d'Israele a Dio.
    Da questo deserto la società viene esortata ad un cambiamento di vita. L'esortazione è rivolta al plurale , "preparate, raddrizzate", indicando a tutti uno stesso impegno. L'intera società è responsabile dell'ingiustizia che esiste in essa e che deve emendare. Il Signore che viene potrà raggiungere il suo obbiettivo se gli ascoltatori rispondono alla chiamata di colui che grida.
    La salvezza non è compito solo di Dio, né tantomeno del messaggero, ma tutti devono mettere la loro parte.
    Questo testo profetico, che si applica a Giovanni, lo presenta come precursore del Messia e annunciatore di un nuovo esodo liberatore; nella sua missione si riassume la funzione di tutto l'A.T. "preparate il cammino del Signore".
    Giovanni prepara la missione del Messia invitando Israele a cambiare vita (raddrizzate).
    Il Messia, Gesù, deve portare a termine l'esodo definitivo che porterà alla nuova terra promessa. La sua opera coinciderà con quella di Dio stesso.

    continua

  4. #4
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    Battesimo ed impegno di Gesù.

    1,9 Accadde che in quei giorni arrivò Gesù da Nazaret di Galilea e Giovanni lo battezzò nel Giordano.

    La formula "in quei giorni", utilizzata qui per la prima volta, in Mc indica l'inizio di un'epoca, quella del compimento delle promesse (Ger 31,31.33), della nuova alleanza; Gl 3,2, dell'effusione dello Spirito) e quindi la tappa finale della storia.
    Questa epoca si apre con la predicazione di Giovanni, del quale si afferma esplicitamente che compie i vaticini profetici.
    Giovanni il precursore annuncia colui che viene e lo Spirito che sarà effuso da lui. L'avvenimento che segna la nuova epoca e, quindi, la presenza di Gesù, la sua attività, morte ed esaltazione.
    L'arrivo di Gesù è raccontato con estrema semplicità; Marco presenta Gesù come un uomo fino allora sconosciuto e senza importanza nella società, come uno dei tanti che si fanno battezzare. Il suo nome, che significa "Dio salva", in ebraico ed in greco è uguale a Giosuè, che, coronando l'antico esodo, introdusse gli israeliti nella terra promessa. Con Gesù si presenta il protagonista del racconto di Marco, annunciato nel titolo.
    Come esprimeva il testo di Es 23,20-Ml 3,1, ("Ecco mando il mio messaggero davanti a te, egli preparerà il tuo cammino"), testo attualizzato dalla presenza e dall'operato di Giovanni Battista, Gesù arriva al Giordano consapevole della sua missione, che viene formulata, in termini di esodo, come "preparare il suo cammino" che è "il cammino del Signore".
    Gesù è chiamato, quindi, a liberare un popolo dall'oppressione per condurlo ad una nuova terra promessa. Anzitutto, deve portare a termine il suo "esodo" personale, affinché, dopo di lui, possano realizzarlo anche i suoi seguaci.
    Mentre Mc non ha detto niente sull'origine di Giovanni il Battista, informa che Gesù viene da un villaggio della regione del Nord. Offre due precisazioni geografiche: Nazaret e Galilea. La Galilea, separata dalla Giudea e dalla sua capitale Gerusalemme , dalla Samaria giudaico-pagana, era la provincia religiosamente meno osservante, socialmente più oppressa e politicamente più inquieta. Era la culla ed il rifugio del movimento zelota, fortemente nazionalista ed antiromano. I suoi abitanti godevano la fama di uomini vigorosi, fieri ed amanti della libertà [[ Essendo il centro delle operazioni di Giuda, figlio di Ezechia, Varo, governatore della Siria, fece incendiare Seforis e vendere schiavi i suoi abitanti ]]. In particolare la regione montagnosa dove si trovava Nazaret era considerata un covo di esaltati. Nazaret era situata non lontano da Seforis, che il procuratore Gabinio aveva eletto capitale della Galilea nel 57 a.C., togliendo al gran consiglio di Gerusalemme la giurisdizione in quella regione. Gesù viene dalla Galilea, non dalla Giudea, contrariamente a quanto ci si aspettava dal Messia. Arriva al Giordano per farsi battezzare . Accorrendo all'annuncio di Giovanni, Gesù ne riconosce la missione divina e si dimostra solidale con il movimento da lui suscitato; ne avvalla l'operato che ha risvegliato la coscienza del popolo e conferma la necessità della rottura con l'ingiustizia dominante, facendo sua l'aspirazione generale per una società giusta. Così facendo si colloca, come Giovanni, al di fuori dell'istituzione giudaica.
    Esiste quindi uno stretto rapporto tra il battesimo di Gesù e quello degli altri, ma allo stesso tempo esiste una differenza essenziale: Gesù non confessa i suoi peccati. Il suo battesimo acquista così un significato diverso dai precedenti; di fatto, nella scena appare solo, non mescolato ad altri.
    La gente, facendosi battezzare, manifestava apertamente la sua rottura con l'ingiustizia nella sfera personale (i peccati) e si impegnava a mettervi fine (emendamento).
    Questo significava, anzitutto, un'autocritica, cioè, una presa di coscienza della propria responsabilità rispetto alla situazione ingiusta; nello stesso tempo, manifestava il proposito di metter fine a tale situazione per quanto dipendeva dai singoli. La confessione della propria complicità con il male, ed il battesimo, che simboleggiava la rottura definitiva con esso, esprimevano pubblicamente il desiderio di una società giusta.
    Gesù riceve il battesimo di Giovanni, simbolo ed impegno di morte, ma nel suo caso non tratta di una morte al passato (ai peccati) né espressione di cambiamento (non si dichiara complice dell'ingiustizia); è, invece, in simbolo di morte nel futuro; per questo, più avanti, parlerà della sua morte come di un "battesimo". Il suo battesimo, quindi, esprime la sua disposizione all'offerta totale di sé. Cioè Gesù si impegna a compiere la sua missione a favore degli uomini e per realizzare questa impresa è disposto a non risparmiare nemmeno la sua vita [[ Il battesimo fu l'occasione per l'impegno di Gesù ed il mezzo con cui manifestò la sua sottomissione alla volontà del Padre suo ]]. Attraverso la sua totale dedizione personale, il Messia realizzerà l'esodo definitivo, per costituire il nuovo popolo ed iniziare una società nuova. Accoglierà così le aspirazioni della gente che, rompendo con l'ingiustizia, ha dimostrato il suo desiderio e la sua disposizione.

  5. #5
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    LA RISPOSTA DEL CIELO

    1,10 ) Immediatamente, mentre saliva dall'acqua, vide il cielo squarciarsi e lo Spirito scendere come colomba fino a lui.

    A differenza dell'itinerario della gente , quello di Gesù non finisce nel Giordano. Il battesimo/immersione implica direzione verso il basso, luogo metaforico della morte, ma questo movimento è seguito dal "salire dall'acqua", che rappresenta il ritorno alla vita.
    Su Gesù non pesa il passato, ma difronte a lui si apre un futuro. E' cosciente della sua missione. La sua attività non dipende più da Giovanni ed andrà oltre ciò che questi propone.
    Giovanni scompare dalla scena.
    Salito Gesù dal fiume, e manifestato il suo impegno, c'è immediatamente la risposta celeste.
    Il racconto cambia di punto di vista; finora è considerato dall'esterno ("arrivò Gesù", "Giovanni lo battezzò"); ma a questo punto viene introdotto un verbo di percezione: "vide". La scena che segue, è per così dire, contemplata con gli occhi di Gesù; si presenta come un'esperienza personale.
    Gesù vede "il cielo squarciarsi", cioè, sperimenta che la sfera divina è aperta a lui. Il verbo "squarciarsi" (non "aprirsi") implica una certa violenza. L'impegno di Gesù "squarcia il cielo" , rompe la frontiera tra Dio e l'uomo [[ L'apertura dei cieli ricorda l'unico parallelo biblico di Is 63,19 ]].
    Con questa immagine Marco sottolinea il valore supremo della totale dedizione di Gesù e, nello stesso tempo, come Dio non possa, per così dire, contenere l'espressione del suo amore quando trova nell'uomo un amore come il suo [[ la violenza indicata dal verbo "squarciarsi" coincide con l'urgenza della comunicazione divina espressa dall'avverbio "immediatamente", che inizia la frase ]].
    La metafora "squarciarsi indica irreversibilità; ciò che si squarcia appare irrevocabilmente aperto.
    Viene così annunciato che, a partire da Gesù e tramite lui, Dio si comunicherà in maniera nuova, diretta e continua, che lo renderà conoscibile ed accessibile a tutta l'umanità.
    La risposta divina all'impegno di Gesù è la discesa dello Spirito, che unisce la sfera divina con quella umana, Dio con l'uomo.
    La dedizione di Gesù, ed il suo proposito di consegnarsi per la salvezza dell'umanità, attrae irresistibilmente lo Spirito di Dio.
    La traiettoria discendente dello Spirito incontra quella ascendente di Gesù ("saliva dall'acqua") fino ad unirsi ("fino a lui").
    D'ora in poi , la traiettoria dello Spirito e quella di Gesù coincideranno [[ La corrispondenza segnalata sopra tra "immergersi nel Giordano" e "salire dall'acqua", si completa ora con quest'altra: "salire dall'acqua" e "scendere dello Spirito" ]].
    La discesa dello Spirito viene descritta sotto forma di esperienza, che continua quella del "vedere il cielo squarciarsi" ; Gesù "vede" che lo Spirito, realtà celeste, scende fino a penetrare il lui.
    Il termine "Spirito" che significa "vento/respiro", riferito metaforicamente a Dio, indica la forza (vento) e la vita (respiro) di Dio stesso.

    Fine I parte.

  6. #6
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    Nessuna delle due volte con cui Marco mette lo Spirito in relazione con Gesù (1,10.12) lo qualifica "Santo" . Questa omissione può essere messa in parallelo con il fatto che Gesù "non confessa i suoi peccati" ; in 1,8 l'aggettivo qualificativo "Santo" significava "colui che consacra", facendo passare dalla sfera del peccato a quella divina; omettendola in relazione a Gesù, colui che non ha peccato, Marco afferma che egli non ha bisogno di essere riconciliato con Dio, che ha sempre goduto del favore divino.
    Lo Spirito scende "come colomba".
    L'attaccamento della colomba al suo nido era proverbiale e veniva usata nei paragoni. Secondo questa immagine lo Spirito scende fino a Gesù velocemente [[ colomba, per la rapidità della sua discesa ]], come al suo luogo desiderato.
    Questa immagine corrisponde a quella precedente della "lacerazione del cielo"; entrambe indicano metaforicamente ciò che in linguaggio umano potrebbe dirsi l'attrazione irresistibile che esercita su Dio l'impegno totale di Gesù.
    Colui che si consegna per amore degli uomini è il luogo naturale dello Spirito di Dio.
    Ma l'espressione "come colomba" ha anche un altro significato. Sebbene non esistano simbolismi biblici della colomba applicabili a questa scena, un'antica esegesi rabbinica (Ben Zoma, intorno al 90d.C.) paragonava il librarsi dello Spirito di Dio sulle acque nella prima creazione (Gn 1,2: "lo Spirito del Signore si librava sulle acque") allo svolazzare della colomba sulla sua nidiata. Questa interpretazione era senz'altro comune al tempo degli evangelisti.
    In conformità con essa, colui che scende su Gesù porta a compimento la creazione dell'uomo, portandolo alla pienezza umana.
    Questa scena costituisce così il fondamento dell'espressione "il Figlio dell'uomo"/"l'Uomo", che Marco applicherà a Gesù.
    Per portare a termine la sua missione, Gesù raggiunge la pienezza della condizione umana, che include la condizione divina.
    L'Uomo, quindi, è l'Uomo-Dio, il portatore dello Spirito.
    La discesa dello Spirito su Gesù rimanda a diversi testi profetici, che interpretano la missione per la quale lo Spirito (l'unzione messianica) prepara il Messia.
    In Is 11,1-9 ("Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse , un virgulto germoglierà dalle sue radici; su di lui si poserà lo spirito del Signore..."), lo Spirito dà al Messia qualità che gli permetteranno di fare la giustizia vera ai poveri ed agli emarginati [[ "Su di lui si poserà lo Spirito del Signore, spirito di valore e di prudenza, spirito di conoscenza e di rispetto del Signore". Sono qualità che riguardano il governo. ]] condannando il violento ed il malvagio; il risultato sarà una pace idilliaca (Is 11,5).
    Is 42,1-4 (cfr Mt 12,18-21) presenta il servo di Dio, portatore del suo Spirito, come colui che deve annunciare e far trionfare il diritto, non solo in Israele, ma nell'intera umanità; ma non sarà demagogo né violento ("non altercherà, né griderà per le strade "), ma rispettoso della libertà e paziente ("non spezzerà la canna fragile, né smorzerà il lucignolo fumigante").
    Is 61,1s (cfr Lc 4,18-19) identifica lo Spirito con l'unzione ("Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione"). La missione dell'Unto si realizza in favore dei poveri, dei prigionieri e degli oppressi [[ Mi ha mandato a dare la buona notizia a quelli che soffrono, a fasciare i cuori straziati, a proclamare l'amnistia agli schiavi e la libertà ai prigionieri ]].
    Importante è il testo di Mic 3,8 (LXX): "Mentre io sono pieno di forza con lo Spirito del Signore, di giustizia e di coraggio, per annunziare a Giacobbe le sue colpe, ad Israele il suo peccato"[[ Ci sono troppe coincidenze tra questo passo di Michea ed il racconto di Marco per pensare che siano semplicemente casuali: unione tra Spirito e forza (Mc 1,8.10.12), denuncia dell'ingiustizia (Mc 3,1-7a; 7,1-23; 11,15-17; 12,1-12.40) e predizione della rovina del tempio e della città, che Marco mette in bocca a Gesù (13,1-2). Non è azzardato pensare che questo passo profetico costituisca un elemento dello sfondo sul quale si muove la narrazione di Marco. ]].
    Questi testi profetici confermano che l'emendamento della vita chiesto da Giovanni si riferiva all'ingiustizia ed all'oppressione e che il battesimo di Gesù significava il suo impegno contro di esse.
    La discesa dello Spirito, quindi, è l'unzione di Gesù fatta da Dio stesso, l'investitura del Messia (=Unto) che lo prepara alla sua missione.
    La frase: "vide lo Spirito scendere fino a lui", sottolinea la coscienza messianica di Gesù.
    L'esperienza visiva di Gesù dichiara anzitutto il suo essere, l'Uomo nella sua pienezza, l'Uomo-Dio, alludendo già alla sua missione: "l'Unto-Messia".

  7. #7
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    11b) "Tu sei mio figlio, l'amato, in te ho posto il mio favore"

    Poiché l'esperienza è posta dal punto di vista di Gesù, e non del narratore, non viene nominato Dio, ma viene espresso solo ciò che sente Gesù.
    Dalla frase "Tu sei mio Figlio" si capisce che Dio parla in qualità di Padre. La frase è una citazione libera del Sal 2,7, dove Dio si rivolge al re che egli stesso ha stabilito. Il salmo interpreta teologicamente l'intronizzazione del re, che è chiamato Unto di Dio.
    La discesa dello Spirito significa, quindi, che Gesù è stato consacrato e costituito da Dio Re-Messia e che Dio stesso lo sostiene contro i suoi nemici.
    L'appellativo "Figlio mio", più o meno indeterminato, del testo salmico, diventa "mio Figlio"; questa espressione ha carattere esclusivo, in corrispondenza con l'offerta totale ed unica di sé che Gesù ha fatto nel suo battesimo, possibile, data l'assenza in lui del peccato.
    Rispetto al salmo, invece, cambia l'ordine delle parole: il "Tu" enfatico iniziale di Marco incentra la dichiarazione divina nella persona di Gesù e non nel titolo di "Figlio". Non si tratta, quindi, di uno del "figli di Dio" (i re d'Israele); viene invece sottolineata la singolarità di Gesù che nella sua persona realizza in forma piena la condizione di "Figlio di Dio".
    Il battesimo, quindi, non è un discorso di elezione [[ Il predicato con articolo indica identificazione ed esclusività. Non si tratta di una elezione o nomina a Messia, ma della dichiarazione e della conferma di una realtà già esistente. La nomina avrebbe richiesto un ordine grammaticale inverso, come nel Sal 2,7: "Mio figlio/figlio mio sei tu". Questa costruzione indicherebbe che il titolo è anteriore alla persona e che essa viene scelta perché le venga conferito. Marco ha cambiato l'ordine ed ha omesso il secondo emistichio del salmo: "Io, oggi, ti ho generato”, che esprime esattamente la nomina. ]].
    Con la profezia citata in 1,2 Marco esprimeva che Gesù aveva coscienza della sua missione messianica ("il tuo cammino").
    Gesù arriva dalla Galilea sapendo ciò a cui è chiamato; la scena del Giordano presenta il suo impegno di dedizione alla sua missione e la sua investitura come Messia.
    Questa deduzione è rafforzata dalla considerazione che al soggetto "Tu (sei)" vengono attribuiti non uno, ma praticamente tre predicati.
    Il pronome "Tu" domina, quindi, tutta la frase.
    Il Padre dichiara il suo amore senza limiti per Gesù, accumulando i tre termini. Questa esplosione di amore divino è la risposta all'impegno di Gesù e l'approvazione piena della linea che ha deciso di seguire.
    L'amore del Padre per Gesù si è espresso nella comunicazione del suo Spirito: l’amore si realizza nella comunicazione di vita.
    Nel contesto semitico, “Figlio” non significa semplicemente colui che riceve la vita dall’altro, ma, anzitutto, colui che agisce e si comporta come suo padre.
    La dedizione di Gesù in favore degli uomini, diventa, quindi, la rivelazione dell’amore di Dio per l’umanità. La frase “Tu sei mio Figlio” non rivela in prima istanza ciò che è Gesù, ma ciò che è Dio; con essa il Padre afferma che il suo atteggiamento verso gli uomini è lo stesso manifestato da Gesù.
    In Gesù possiamo vedere chi è Dio.
    L’appellativo “mio Figlio” non si riferisce, quindi, all’esercizio di un potere dominatore, come nei personaggi dell’A.T. (Sal 2,5; 82,6) [[ Nel Sal 2 che il giudaismo interpretava come messianico, Dio stabilisce il suo Messia (il re unto) difronte alla coalizione delle nazioni pagane (v.2), che egli deve conquistare e dominare (vv8s) ]];Gesù è “il Figlio” uguale al Padre avendo la pienezza del suo Spirito, cioè della sua forza di vita e di amore.

    comtinua

  8. #8
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    Il secondo predicato, "l'amato", traduce a volte nei LXX l'ebraico " figlio unico" (Gn 22,2.12.16; Am 8,10; Zc 12,10).
    La dichiarazione divina ricorda soprattutto Gn 22,2: "Prendi tuo figlio, il tuo unico, l'amato, che ami, Isacco"
    Il testo sottolinea la relazione particolarissima di Gesù con Dio, in quanto Figlio unico, il che conferisce al primo titolo una profondità nuova: Gesù non è un re od un profeta tra tanti.
    D'altra parte, il simbolo di morte volontariamente accettata che è stato il battesimo di Gesù illumina il significato dell'espressione "l'amato/l'unico", che allude ad Isacco. L'allusione mostra che Dio, che si rivela come Padre di Gesù, accetta la sua offerta: si dichiara disposto a consegnare suo Figlio, ma invertendo i termini con cui lo fece Abramo [[ In Gn 22,2.16, l'appellativo "figlio amato" - di cui JHWH, parlando ad Abramo, si serve tre volte in riferimento ad Isacco, che deve essere sacrificato - indica che l'amore di Dio deve superare i vincoli di affetto che uniscono il patriarca a suo figlio. Secondo Wellhausen in Esd 6,58, i termini "primogenito", "unigenito" e "amato" sono sinonimi. ]]: non per l'onore di Dio ma per la salvezza dell'umanità.
    La frase finale, "in te ho posto il mio favore", corrisponde ad Is 42,1 (cfr Mt 12,8).
    L'allusione al Servo di Dio inclusa nell'unzione con lo Spirito diventa esplicita nelle parole divine. Il Servo è colui che deve dare la vita per istaurare il diritto e la giustizia nel mondo intero (Is 49,6; 50,4-9; 53,4ss).
    In questo modo Marco insinua l'universalità dell'opera del Messia e conferma l'accettazione divina dell'offerta di sé da parte di Gesù, espressa nell'appellativo "l'amato".
    Il messianismo di Gesù si discosta così completamente dall'idea trionfale del regno messianico dominante nella cultura giudaica del tempo [[ l'idea di un Messia sofferente era estranea alla cultura giudaica contemporanea di Gesù ]].
    La frase "in te ho posto il mio favore" colloca il fatto nel passato. Come gli altri due membri dell'espressione divina, suppone l'impegno assunto da Gesù nel suo battesimo: il favore divino si è espresso nella comunicazione dello Spirito.
    L'esperienza visiva (discesa dello Spirito) descriveva anzitutto l'essere di Gesù, mentre la dichiarazione divina ("Tu sei mio Figlio, ecc.") mette in risalto la sua missione . Questo binomio essere/fare si rifletterà in diversi passi del Vangelo [[ Cfr. 3,14: "perché stessero con lui e per inviarli a predicare"; 8,34: "rinneghi se stesso (rinunci all'ambizione, come Gesù), si carichi la sua croce (accettare l'odio della società, conseguenza dell'attività)"; 8,35 e 10,29: "per causa mia (essere come lui) e della buona notizia (attività come la sua), ecc. ]].
    In sintesi: la voce del cielo abbozza la figura di Gesù riunendo elementi disseminati nell'A.T.
    Il Messia/Unto dallo Spirito è il re stabilito da Dio, il capo del nuovo popolo di Dio, popolo che si estende a tutta l'umanità. E' il Figlio unico e amato, la cui morte per il bene degli uomini esprime l'amore di Dio per l'umanità. La sua missione include quella di Servo di Dio: liberare gli oppressi, i poveri ed i prigionieri (Is 42,7) e coincide con quella del Re messianico (Sal 72), ma ampliandola per stabilire il diritto nel mondo intero (Is 42,1-4; 49,1-13) e dando la sua vita per realizzarla (Is 50,4-9; 51,1-8; 52,13-53,12).
    Dio è con lui, accetta il suo impegno e gli manifesta il suo amore. La sua opera sarà l'opera di Dio stesso. L'unzione con lo Spirito è la sua investitura messianica, ma di un Messia molto diverso dal "figlio/successore di Davide (10,47s; 11,9s; 12,35-37) atteso.
    Il battesimo di Gesù è il prototipo del "battesimo con Spirito Santo" annunciato da Giovanni come opera propria del Messia. Supposta la rottura con l'ingiustizia (battesimo di Giovanni), manifesta l'impegno positivo che tutti devono prendere: l'adesione a Gesù, con l'offerta di se stessi ad una missione come la sua, collaborando con lui per la salvezza dell'umanità.
    Questa è la strada del Messia e deve esserla anche del popolo messianico.
    A questo impegno Dio risponde in qualità di Padre, comunicando il suo Spirito e situando l'uomo nella linea de "l'Uomo", Gesù, nella linea della pienezza umana, che è quella di "Figlio di Dio".

    Fine Marco 11b)

  9. #9
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    ATTIVITA’ DI GESU

    1,12) Immediatamente lo Spirito lo spinse nel deserto.

    Lo Spirito, che è forza, entra immediatamente in azione: spinge Gesù “nel deserto”.
    “Spingere” è una metafora per indicare l’impulso irresistibile provato da Gesù. Lo Spirito è una costituente del suo essere. Siamo di fronte ad un caso parallelo di 1,10: all’avverbio “immediatamente” viene unito un verbo che contiene un aspetto di violenza: nel primo caso “squarciarsi”; qui “spingere”.
    Nel primo caso indicava l’irreprimibile urgenza dell’amore del Padre per Gesù; nel secondo, l’irreprimibile urgenza dell’amore di Gesù per gli uomini.
    Lo Spirito sposta Gesù fino a collocarlo stabilmente “nel deserto”.
    Poiché l’agente è divino, questo spostamento e questa installazione corrispondono al piano di Dio su Gesù, che consisteva figurativamente nel percorrere la strada di un esodo (1,2).
    “Il deserto” rappresenta, quindi, il luogo dove Gesù deve percorrere il suo cammino verso la terra promessa.
    Ma questo “deserto” ha un senso diverso da quello di Giovanni.
    Il deserto dove si presentò Giovanni aveva una localizzazione geografica: confinava con il fiume [[ non vengono utilizzati verbi di movimento per indicare che Giovanni si era spostato dal deserto al Giordano ]]; era spopolato [[secondo il testo Giovanni appare solo ]] e separato dalla società [[ per accorrere da Giovanni la gente doveva spostarsi ]].
    Da quel deserto si poteva udire la voce di Giovanni; era il luogo dell’esortazione e dell’emendamento (della vita), espressi dal battesimo, ed il luogo dove si otteneva il perdono dei peccati.
    Al contrario, “il deserto” nel quale entra Gesù non ha una localizzazione precisa [[ Marco indica solamente l’allontanamento dal Giordano ]], non è disabitato [[ a differenza del deserto dove stava Giovanni, in questo appaiono tre categorie di esseri viventi: Satana, le fiere e gli angeli ]] e da esso non viene esercitata alcuna azione sulla società esterna.
    Le sue caratteristiche sono diverse; Gesù vi entra portato dalla forza dello Spirito (“lo spinse”), e vi rimane per un periodo lungo ed omogeneo (“quaranta giorni”), è tentato, si trova circondato da fiere e gli viene reso servizio; infine, non esercita alcuna attività (non prega e non digiuna) né ha alcuna comunicazione divina (già ricevuta nel Giordano).
    Un deserto “abitato” non è più un deserto nel senso ordinario del termine; ma la qualità degli esseri che lo abitano e la loro presenza simultanea attorno a Gesù toglie questo deserto dal piano geografico-storico per conferirgli un valore figurato-teologico.
    Il deserto fu il luogo dell’esodo d’Israele ed un esodo sarà l’opera del Messia (1,2).
    Dato che il culmine dell’esodo di Gesù sarà la sua morte-resurrezione, il deserto rappresenta la società giudaica, nella quale Gesù vivrà ed opererà fino a quando arriverà il suo momento. Il significato dei “quaranta giorni” confermerà questa interpretazione.
    Il “deserto” come figura indica un luogo separato dalla società; nel caso di Gesù, questa separazione si verifica nel campo dei principi: Gesù non condivide assolutamente i falsi valori della società giudaica e non si integra in essa.
    La figura del “deserto” prosegue così il tema della rottura con la società ingiusta, già espresso nel battesimo: lo Spirito spinge Gesù ad entrare nella società giudaica, ma mantenendo una rottura totale con i suoi valori.
    Per l’unica volta in questo vangelo si dice che Gesù è spinto dallo Spirito; anche questo prova che la scena del deserto riassume tutta la vita pubblica di Gesù; l’evangelista vuole comunicare che nella sua attività Gesù opererà mosso sempre dallo Spirito che è in lui.

  10. #10
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    1,13) Rimase nel deserto quaranta giorni, tentato da Satana. Stava tra le fiere e gli angeli gli prestavano servizio.

    Il numero "quaranta" è frequente nell'A.T. per indicare un periodo di tempo nel quale permane una situazione omogenea (pace, regno, ecc.) [[ Gdc 3,11; 5,31; 8,28; 13,1; 2Re 8,17; 12,2< ]] e (in anni) viene calcolato come la durata di una generazione.
    Senza dubbio, il numero quaranta allude sempre ai quarant'anni che durò l'esodo dall'Egitto fino all'arrivo nella terra promessa. Nel contesto di esodo creato dalla menzione del deserto, i "quaranta giorni" diventano una figura della durata della vita e dell'attività di Gesù fino alla sua morte-resurrezione.
    Subito dopo Marco esprime le condizioni nelle quali si svilupperà questa attività.
    Anzitutto, nel corso della sua vita pubblica, Gesù sarà tentato, cioè, stimolato a deviare dalla sua linea messianica, cioè dall’impegno preso nel suo battesimo.
    Satana è un termine ebraico che, per la sua origine, significa principalmente l’avversario o l’antagonista che accusa in giudizio (Sal 109,6; 1Mac 1,36). Da lì passa a significare un membro della corte celeste che accusa l’uomo davanti a Dio (Gb 1,6-12; 2,1-7). Solo tardivamente diventò nome proprio per indicare uno spirito maligno, nemico naturale di Dio e dell’uomo.
    Più tardi, al tempo di Gesù, si pensava che “Satana”, non più legato alla corte celeste, fosse uno spirito nemico dell’uomo, che cercava la sua rovina e voleva distruggere l’opera di Dio.
    Nella società giudaica, figurata dal “deserto”, Satana che tenta Gesù, rappresenta colui che tenterà di indurlo continuamente a tradire il suo impegno [[ Cfr. 8,33, dove Gesù chiama “Satana” Pietro, proprio perché si oppone al suo messianismo di dono, offerta di sé. ]].
    Nel corso del racconto evangelico, la figura di Satana non viene più a contatto con Gesù. Questo indica che, come il “deserto”, “Satana” è un termine figurato, in questo caso una personificazione. Marco utilizza la figura conosciuta del Nemico dell’uomo, dandole un nuovo contenuto.
    Il deserto era tradizionalmente il luogo degli agitatori con pretese messianiche.
    La tentazione tipica del deserto è quella del capo che arruola seguaci con l’intenzione di conquistare il potere, sconfiggendo coloro che lo detengono.
    La tentazione, quindi, vuole indurre Gesù ad adottare un messianismo di violenza, contrario al disegno di Dio, un messianismo con l’obbiettivo della conquista del potere politico, rinunciando al suo precedente impegno, che escludeva il dominio ed il trionfo terreno e portava all’offerta della sua vita.
    “Satana” rappresenta così l’ideologia del potere, che fa di questo un valore supremo e spinge all’ambizione del dominio.
    Nel testo evangelico questo Satana-ideologia sarà incarnato in uomini o istituzioni (Cfr. 1,24.34.37; 3,11s; 8,11.32s; 10,2; 11,9s; 12,15).

    Segue.

  11. #11
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    1,13).............segue

    La permanenza di Gesù nel deserto è figura della sua inalterabile rottura con i valori della società.
    La sua attività in quello scenario si contrappone chiaramente all'attività sediziosa e bellicosa dei capi che si ritiravano nel deserto per iniziare da lì la ribellione.
    La sua immunità ala tentazione dimostra che nella vita pubblica non asseconderà l'ideologia zelota né si farà guida delle masse in vista di una ribellione violenta.
    Altri abitanti del "deserto" sono "le fiere".
    L'indicazione mostra che non si tratta di bestie qualsiasi, ma di fiere conosciute dal lettore [[ Le fiere attaccano e divorano l'uomo, per questo nei profeti rappresentano ordinariamente un castigo; cfr. Os 2,12; Is 18,6; 56,9; Ger 7,33; 12,9; 16,4; Ez 32,4; 34,5, ecc.; non è questo il caso in Marco 1,13. Is 11,6-9 descrive bestie feroci che, nell'era messianica, hanno perso la loro aggressività come risultato dell'opera di giustizia compiuta dal virgulto di Jesse (il re davidico).
    In Marco il "deserto" rappresenta la società giudaica e le "fiere" sono una sua componente; non si applica, quindi, a questo testo il passo di Is 11,6ss; 13,21. ]].
    Si scopre un'allusione a Dn 7, dove le fiere sono figure di imperi pagani, di poteri politici dominatori e crudeli.

    Cambiando il significato di Daniele, come farà per altri testi, Marco situa tali poteri distruttori all'interno della società giudaica (il deserto). "Le fiere" simboleggiano, quindi, la minaccia che rappresentano per Gesù alcuni circoli di potere esistenti attorno a lui.
    "Le fiere" appaiono, quindi, come un completamento di "Satana". Egli è figura del potere in quanto ideologia; per questo la sua attività, "tentare", si rivolge all'uomo interiore e si esercita nella linea della persuasione; sarà rappresentato dai partigiani del potere, che cercheranno di attrarre Gesù verso la loro ideologia e gli offriranno l'opportunità di diventare leader politico. "Le fiere" dal canto loro, sono figure dei poteri oppressori, religiosi e politici; agiscono dall'esterno sull'uomo, esercitano violenza fisica e metteranno a morte Gesù.
    Infine, nel deserto ci sono anche "gli angeli". In 1,2, l'"angelo/messaggero" era una figura che si realizzava storicamente in Giovanni Battista (1,4), il che dimostra che in Marco "angelo" non indica necessariamente esseri spirituali, ma può indicare uomini.
    Come accade per Satana, non compaiono più angeli accanto a Gesù durante la sua vita pubblica. Poiché questi "angeli", come "Satana" e le "fiere", sono situati nella società (il deserto) in cui si trova Gesù, rappresentano un gruppo umano ben determinato (gli angeli).
    La funzione di questi individui/angeli è quella di collaboratore con Gesù [[ L'attività attribuita qui agli "angeli" nei confronti di Gesù, in 15,41 viene attribuita, con gli stessi termini, ad alcune donne ]]. Di fatto il verbo "servire/prestare servizio" ammette una vasta gamma di sfumature, dal "servire a tavola", qui escluso, perché Gesù non sta digiunando né c'è alcuna allusione al cibo, fino a "collaborare/aiutare" [[ Diakonos, sinonimo di synergos ]].
    "Gli angeli" rappresentano, quindi, coloro che, per la loro adesione a Gesù, lo aiutano nel suo compito e collaborano alla sua missione. Come quella del tentatore, la loro attività è continua.

    Riassumendo:

    La descrizione del deserto propone lo scenario nel quale Gesù eserciterà la sia attività. Si troverà in una società nella quale verrà continuamente tentato ad abbandonare il suo impegno ed a diventare un capo politico in vista della conquista del potere ("Satana"); la tentazione sarà inefficace. Oltre a questo esiste intorno a lui un atteggiamento pericolosamente ostile, quello dei poteri, nemici acerrimi del suo programma, che finiranno per metterlo a morte ("le fiere"); ma, allo stesso tempo, troverà un gruppo di uomini che gli daranno la loro adesione e lo aiuteranno nella sua attività ("gli angeli").
    La scena termina senza indicare che Gesù esce dal deserto. Inoltre, la scena successiva non comincerà con un verbo che indica il ritorno di Gesù in Galilea, dirà semplicemente "arrivò".
    Gesù uscirà da questo "deserto" solo con la morte.


    Fine......1,13.
    Ultima modifica di crepuscolo; 16-10-2022 alle 15:48

  12. #12
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    Marco 1-13) .................................................. ... SINTESI

    1,1) Nel titolo della sua opera (1,1), Marco enuncia il suo scopo: vuole esporre le origini della realtà che vivono i cristiani, realtà nuova e gioiosa, ("la buona notizia") che è legata alla persona di Gesù, che definisce con due titoli: "Messia", il liberatore che compie le aspettative del popolo giudaico, e "Figlio di Dio", titolo divino comprensibile per giudei e pagani, indicando così che Gesù supera le aspettative giudaiche ed abbraccia tutti gli uomini nella sua missione salvifica.
    Per Marco, quindi, Gesù è salvatore dell'intera umanità. La sua salvezza è giunta ormai alla comunità di cui egli fa parte ed intende raccontare come Gesù agì per realizzarla.

    1,2-5) Marco presenta la figura di Giovanni Battista come un inviato da Dio, il messaggero annunciato nell'AT, incaricato di preparare la venuta del Messia; questi, a sua volta, dovrà compiere l'aspettativa secolare del popolo giudaico, la società giusta voluta da Dio.
    Nei testi profetici citati da Marco, l'opera che Gesù realizzerà è formulata in termini di esodo: consisterà, quindi, nel liberare da uno stato di oppressione e condurre ad una terra promessa, figura della società giusta.
    Giovanni si colloca nel deserto, la localizzazione tradizionale di tutti i capi contestatori. Mettersi nel deserto, il luogo asociale, manifestava, da una parte, la rottura con la società esistente; dall'altra, ricordava le origini d'Israele. In questo modo, il ritiro nel deserto implicava il ritorno allo stato originario del popolo, idealizzato come uno stato di purezza e di fedeltà a Dio.
    A differenza degli altri capi politici, però, numerosi in quel tempo, Giovanni non si presenta come un agitatore di masse né come un capo ribelle che vuole rovesciare i dirigenti con la violenza per istaurare un nuovo stato di cose. Al contrario, si aggrega ad i movimenti battisti, numerosi anch'essi a quel tempo, che proponevano l'immersione nell'acqua come segno di purificazione o di cambiamento.
    Giovanni compie la sua missione esortando al cambiamento di vita, suscitando così l'aspettativa di un cambiamento sociale. Non diventa egli stesso campione del cambiamento della società. Non accusa direttamente le istituzione religiose e civili, pur separandosi da esse (deserto); si rivolge all'individuo.
    Con questo fa vedere che il cambiamento della società richiede anzitutto il cambiamento personale e che l'ingiustizia sociale è il risultato e l'esponente dell'ingiustizia degli individui.
    Giovanni non consente la facile scappatoia di addossare ad altri la colpa della situazione di ingiustizia. L'auspicata riconciliazione con Dio (il perdono dei peccati), che rende possibile l'opera del Messia, passa attraverso il riconoscimento della propria complicità con il male.
    Giovanni vuole che questo riconoscimento sia pubblico, in modo che tutti si rendano conto dell'estensione del malcontento e si moltiplichino i propositi di cambiamento.
    Per significare il cambiamento di vita, Giovanni usa un simbolo proprio della cultura giudaica e già utilizzato da altri movimenti battisti, l'immersione in acqua, che è figura di morte, in questo caso di morte al passato d'ingiustizia.
    La risposta alla proclamazione di Giovanni è massiccia e questo manifesta l'estensione del malcontento ed il grande desiderio di cambiamento che era sentito nella società stessa.
    L'aspettativa è associata alla venuta del Messia, che cambierà la situazione ed instaurerà la giustizia. Il popolo in generale si prepara a questa venuta con la purificazione.
    L'attività di Giovanni mostra che la condizione indispensabile perché il messaggio di Gesù trovi eco e la sua opera sia efficace è il rifiuto da parte dell'individuo dell'ingiustizia personale e sociale ed il desiderio di mettervi fine.

    continua. .

  13. #13
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    ....segue

    1, 6-8)

    Marco descrive la figura di Giovanni con le caratteristiche del profeta, soprattutto di Elia. In questo modo lo qualifica come inviato di Dio, precursore del Messia atteso e, data la sua localizzazione nel deserto, in rottura con la società teocratica giudaica; la sua alimentazione è tipica di un nomade.
    Giovanni non si mette al centro del movimento che suscita, non si considera protagonista. Previene il sospetto popolare che egli stesso posa essere il Messia, annunciando la venuta di un altro superiore a lui, che il lettore identifica con Gesù.
    Lo descrive in relazione a se stesso: superiore per forza, nella sua missione e nella sua attività.
    E' superiore in forza perché possiede la pienezza dello Spirito; nella sua missione, perché essa consiste nel fondare un nuovo popolo, una società nuova (nuova alleanza); nella sua attività, perché Giovanni ha esortato ad uscire da un passato di ingiustizia, mentre Gesù potenzierà la vita dell'uomo, comunicandogli lo Spirito e creando così un uomo nuovo, fondamento ed artefice della nuova società.

    1,9-13)

    In coincidenza con l'attività di Giovanni, appare Gesù, il protagonista del racconto di Marco. Viene da Nazaret, un villaggio sperduto nella regione più nazionalista della Giudea. Facendosi battezzare, Gesù manifesta il suo appoggio al movimento suscitato da Giovanni e mostra il suo impegno per l'eliminazione dell'ingiustizia. Il suo impegno è totale: con l'immersione o battesimo, simbolo di morte, afferma di essere disposto a dare la vita, se sarà necessario, per sopprimere l'ingiustizia e comunicare vita all'umanità.
    Questa decisione di Gesù, espressione del suo amore senza misura per gli uomini, provoca una reazione divina che l'evangelista descrive con caratteristiche figurate.
    Anzitutto, s'infrange il confine tra il mondo divino (cielo) e quello umano. L'esperienza interna di Gesù viene formulata in due modi: in termini di visione, con i quali viene esposta anzitutto la vera natura di Gesù ed in termini di ascolto, con i quali viene descritta soprattutto la sua missione.
    Quello di Gesù è l'essere di colui che possiede la pienezza dello Spirito, cioè, della forza, della vita e dell'amore di Dio.
    La creazione giunge così al culmine, raggiungendo la pienezza dell'uomo, la realtà dell'Uomo-Dio.
    Con questo Gesù viene riconosciuto capace di compiere la missione che Giovanni gli attribuiva.
    La missione di Gesù, il Figlio di Dio, è quella di Salvatore (Re-Messia), che offre la sua vita per la causa dell'intera umanità.
    Questa missione si contrappone diametralmente a quella assegnata al Messia della tradizione giudaica, secondo la quale doveva essere un re potente destinato a trionfare sui nemici d'Israele ed a portare il suo popolo ai vertici della gloria.
    Lo Spirito spinge Gesù ad iniziare la sua missione.
    Con la figura del "deserto" Marco presenta lo scenario dove Gesù eserciterà la sua attività. Si troverà in una società che vorrà incessantemente convincerlo ad abbandonare il suo impegno per trasformarsi in un capo politico che lotta per la conquista dl potere; la tentazione sarà inefficace.
    Inoltre, attorno a lui cìè un atteggiamento pericolosamente ostile, quello dei potenti, nemici acerrimi del suo programma, che finiranno per metterlo a morte.
    Nello stesso tempo, però, ci saranno alcuni che collaboreranno con la sua attività.

    Termina qui la sezione introduttiva del vangelo, che presenta anzitutto, come preparazione alla venuta ed all'attività del Messia, il movimento di cambiamento suscitato da Giovanni e subito dopo descrive teologicamente e programmaticamente l'essere di Gesù, Messia, la sua missione e le relazioni che provoca nella società.
    Dopo questa introduzione inizie la narrazione dell'attività di Gesù.


    Fine 1,1-13)

  14. #14
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    1,14a) Dopo che ebbero consegnato Giovanni

    Con questa specificazione temporale si constata il termine dell'attività del Battista. Egli è stato "consegnato" e questo dimostra che, nonostante l'accorrere massiccio alla sua chiamata (1,5), c'erano settori contrari al sua messaggio.
    Non vengono esposte dettagliatamente le circostanze di tempo e di luogo, né il modo, i motivi o gli agenti della denuncia. In ogni caso l’atto di “consegnarlo” implica la cessazione violenta e definitiva dell’attività di Giovanni, la soppressione della sua libertà di azione e di parola.
    Il suo messaggio dava fastidio.
    La consegna suppone una denuncia presso le autorità, che non poteva essere opera di coloro che avevano risposto alla chiamata di Giovanni e confessato i loro peccati, ma di altri.
    Dato che l’atteggiamento e la predicazione di Giovanni manifestavano una rottura con la società giudaica e le sue istituzioni, coloro che lo consegnarono dovevano essere sostenitori dell’istituzione ingiusta e contrari al messaggio di pentimento e di emendamento di vita.
    Come accadde con tanti altri movimenti messianici o rinnovatori, all’invito di Giovanni rispose il popolo semplice, che subiva l’oppressione.
    I circoli dirigenti non avevano alcun interesse che la situazione cambiasse ed ignorarono il messaggio di Giovanni o vi si opposero.
    Dopo la presentazione di Giovanni come messaggero di Dio, la sua detenzione appare come un atto di ingiustizia. E’ il primo conflitto indicato nel vangelo tra i poteri ed un inviato di Dio.
    Ma c’è un motivo di speranza; il potere spegne la voce di Giovanni, ma sorgerà una voce più forte, quella di Gesù, che farà suo il messaggio di emendamento (v.15), cioè, di rottura con l’ingiustizia.

    Fine 1,14a)

  15. #15
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    1,14b) arrivò Gesù in Galilea..

    Quando inizia l'attività di Gesù quella di Giovanni era già cessata, ma Marco non precisa l'intervallo intercorso tra l'auna e l'altra. Si compie quanto detto da Giovanni: "Viene dietro di me colui che è più forte di me".
    Si inaugura la missione di Gesù, il consacrato da Dio e portatore dello Spirito (1,10s).
    Gesù va in Galilea partendo dal Giordano, dove è avvenuto il suo battesimo.
    Dato il testo di 1,9: "Arrivò Gesù da Nazaret di Galilea" per essere battezzato, quello di 1,14 dovrebbe dire: "tornò Gesù in Galilea"; invece dice semplicemente "arrivò in Galilea" indicando che il secondo viaggio non è il proseguimento del primo; tra i due esiste uno iato, creato dal battesimo e dalla comunicazione divina a Gesù.
    Il primo lo fece come persona privata; il secondo inaugura la sua missione come consacrato da Dio e portatore dello Spirito.
    Giovanni si presentò nel deserto; Gesù, invece, si presenta in Galilea, cioè nella società giudaica, che per lui è il "deserto" (1,12).
    Sia la missione di Giovanni sia quella di Gesù hanno la loro origine in Dio: quella di Giovanni come messaggero e precursore; quella di Gesù, come Messia Figlio di Dio.
    Gesù non torna a Nazaret né alla sua vita privata. Secondo l’impegno assunto nel battesimo inizia la sua attività, avendo come orizzonte la regione della Galilea.
    La diversità con Giovanni è chiara: Giovanni invitava nel deserto, togliendo le persone dalla società; Gesù, invece, penetra nella società ed in essa annuncia. Non inizia da Gerusalemme, va in Galilea, lontano dal centro religioso e politico del paese, in una regione di popolazione mista, giudaica e pagana, in un ambiente che gli è familiare [[ la distanza tra la Galilea e Gerusalemme, come anche la separazione politica delle due regioni, dalla morte di Erode il Grande in poi, potevano favorire il piano di Gesù. Lontano dai gruppi dirigenti avrebbe incontrato meno difficoltà per il suo lavoro. I galilei, popolo di umile condizione, disprezzato dall’aristocrazia ed ortodossia di Gerusalemme, erano meno inclini ad occuparsi delle minuzie della Legge. Inoltre, l’abitudine a trattare con i non giudei, faceva della Galilea una regione cosmopolita. Tuttavia, vi regnava Erode Antipa, che teneva in prigione Giovanni e sulle sue colline c’erano i centri di nazionalismo esaltato. Al tempo di Gesù, la Galilea propriamente detta, era un territorio ben delimitato, ad ovest del lago di Genezaret, secondo Giuseppe Flavio, il distretto della Galilea si distingueva dai territori ad est del lago (tetrarchia di Filippo): Gaulanidite, Batanea, Traconide ed Araunutide ]].
    Di fatto, la presenza di Gesù in Galilea risponde al testo di Is 8, 23b-9,3 (LXX), citato parzialmente nel passo parallelo di Matteo (4,14-16). “Affrettati terra di Zabulon, terra di Neftali e voi che abitate la costa e la terra al di là del Giordano, Galilea dei gentili. Oh popolo che cammini nelle tenebre guarda che gran luce! Ecc…” [[ La Galilea aveva una popolazione mista; città come Tiberiade e Seforis erano prevalentemente comunità pagane con uno stile di vita pagano. Nella regione erano sparsi qua e là greci e siriani ellenizzati. Vi si potevano vedere anche romani. Tra gli ascoltatori di Gesù nelle località giudaiche c’erano certamente dei pagani, anche nelle sinagoghe, e solo in località isolate, come Nazaret, venivano mantenuti vivi gli ideali giudaici con maggior purezza. Sebbene l’evangelista non accenni a pagani in Galilea, data la conoscenza generale, il luogo poteva essere considerato come ideale per iniziare la missione tra i pagani. La precedenza accordata da Marco alla Galilea sembra essere in relazione, come in Matteo, con l’associazione della Galilea a tale missione. Di fatto, l’andata di Gesù in Galilea, dopo la sua risurrezione, rappresenta l’inizio della missione sotto la sua guida. Gesù va verso Gerusalemme, verso la passione e morte, il risorto va da Gerusalemme verso la Galilea, per la missione. ]] “Le tenebre“ sono metafora dell’oppressione.

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