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Discussione: Il Vangelo di Gesù per l'uomo.

  1. #1
    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    Il Vangelo di Gesù per l'uomo.

    Ciò che "è nell'uomo", in Gesù ed in ogni suo discepolo, costituisce l'argomento dei Vangeli, dei sinottici come di Giovanni.
    Nell'uomo è la meta di ogni discepolo : il Regno, che è "dentro di voi".
    Nell'uomo è la sapienza nella cui luce il discepolo doveva imparare a guardare se stesso ed alla realtà intera.
    Gesù, il significato e l'insegnamento di Gesù, era il rivelarsi di quella luce: egli era la luce vera: quella che illumina ogni uomo che viene al mondo (Gv 1,9).
    Quella stessa, secondo Matteo, della quale ogni discepolo deve accorgersi di "risplendere", ed imparare a risplenderne: Voi siete la luce del mondo. Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per nasconderla sotto un secchio capovolto, ma la si mette sopra il portalampade, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce. (Mt 5,14-15)
    Nell'uomo (di nuovo in Gesù ed in ogni discepolo) è l'origine di quella luce e la via lungo la quale giungere ad essa: il legame intimo ed immediato con Dio, con il Padre: tanto intimo ed immediato che Gesù, nel Vangelo di Matteo, spiega ai discepoli: "Non chiamate nessuno "padre", in terra, perché uno soltanto è il padre vostro, ed è nei cieli" (Mt 23,9); e pone l'agire divino, " la perfezione del Padre vostro nei cieli", come un criterio imprescindibile di comportamento.
    E in Giovanni: Non è forse scritto nella vostra Legge: "Io ho detto: voi siete dei"? Ora, se essa ha chiamato dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la scrittura non può essere annullata), a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: "tu bestemmi, perché ho detto che sono figlio di Dio? (Gv 10,34-36).
    Ciò vale anche per ciascun discepolo: per ciascuno a cui si sia rivolta la parola di Dio. Giacché, come spiega ancora il Vangelo giovanneo, solamente "chi è da Dio" può "ascoltare le parole di Dio"(Gv 8,47).
    Dunque scoprirsi discepoli, scoprirsi in grado di ascoltare quelle parole nei Vangeli significa compiere la scoperta e dover prendere coscienza della propria natura divina. Gesù ne è la guida, "la via" (Gv 14,6).
    E di nuovo occorre precisare: in lui è da cercarsi questa "via", che conduce oltre Gesù stesso. Così va inteso infatti il passo di Gv 14,12: In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che compio io, e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.
    La via che è in me va, conduce al Padre, a colui che è più grande di me
    (Gv 14,28).
    In Giovanni, il raggiungimento di questa dimensione del divino è un motivo continuamente ritornante, e costituisce uno sviluppo ed esplicitazione del motivo sinottico dell'"ingresso nel Regno di Dio", della scoperta di esso, del suo crescere e portar frutto nei discepoli ed ad opera dei discepoli.

  2. #2
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    La predicazione di Gesù non mirava ad una impossibile "conversione della ragione", bensì a formare dei discepoli.
    Era contro e malgrado il kosmos e la sua gente, che Gesù insegnava e compiva "opere divine": il compito di salvare il mondo sarebbe toccato semmai ai discepoli stessi, ma il mondo nella nostra accezione più immediata, ovverossia ciò di cui gli uomini si formano un'immagine, e non l'immagine stessa e coloro che sono destinati a condividerla.
    La salvazione della realtà intera, la sua redenzione dal kosmos, e la fine del kormos stesso, del suo aion (eone), sarebbe dovuta avvenire cioè nei discepoli stessi, e in ciascuno di loro il kosmos sarebbe stato vinto e giudicato: mediante la possibilità che Gesù offriva loro di "uscire dal kormos" e d'entrare ed imparare a vivere in una realtà più grande e radicalmente diversa da ciò che il kosmos fa ritenere reale.

  3. #3
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    Gesù ed il divorzio

    I discepoli cessano di essere ciò che erano stati prima d'incontrare Gesù ( ovvero tutto ciò che li aveva resi tutta quanta la loro vita: imprenditori e padri di famiglia, come Pietro; gabellieri dissoluti, come Levi; zeloti, cioè ribelli indipendentisti ed integralisti, come uno dei due Giuda, intellettuali tormentati, come il "discepolo prediletto" di cui parla Giovanni, il cui animo era diviso tra il profetismo del Battista e l'ortodossia gerosolimitana ) e non sono più nulla: con l'immediata conseguenza che il loro campo visivo si ampia d'un tratto indefinitivamente, non più limitato da quella che poteva essere la prospettiva di un padre di famiglia, di un gabelliere, di uno zelota, di un intellettuale o che altro ancora.
    Si ritrovano liberi da quelle interiori resistenze che chiunque altro avverte intensamente, ascoltando Gesù: possono assistere in silenzio a tutto ciò che nella predicazione di lui è distruzione, smantellamento del kormos, e scandalo o bestemmia agli occhi di quest'ultimo, giacché esso sta cessando sempre più di essere il loro kosmos.
    Di quando in quando c'è ancora qualcosa da cui i discepoli, Pietro per lo più, si sentono urtati, nella pars destruens del suo insegnamento, nei comandamenti negativi che Gesù dà: ed il loro ascoltare in silenzio si interrompe, e protestano anche loro, proprio come "quelli di fuori", sostenendo anch'essi per qualche istante le ragioni del kosmos di contro ad una qualche inammissibile dichiarazione di Gesù. E sempre e soltanto per accorgersi di come ciò che era parso loro inammissibile nelle parole di lui non fosse stato che un assaggio, un significato colto solo in parte, e la cui parte restante, che Gesù spiega loro in risposta, travolge subito la loro obiezione, riconducendoli ad un silenzio attento e stupito.
    Così ad esempio, i discepoli reagiscono con una certa animazione quando Gesù nega che sia lecito ripudiare la moglie: "Ma se questa è la condizione dell'uomo nei confronti della donna, non val la pena di sposarsi!" (Mt 19,10); ed in risposta Gesù li prende in parola: spiegando loro che è proprio così, che anche il matrimonio, come tutto ciò che è parte del kosmos, non trova posto nel Regno di Dio, in nome del quale occorre rendersi "eunuchi", sterili, inutili al kormos, poiché soltanto quei pochi che saranno divenuti tali, potranno comprendere ed accettare ciò da cui qui i discepoli avevano indietreggiato sorpresi ed indignati (Mt 19,11-12).

    segue .... ad ulteriore chiarificazione

  4. #4
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    ...a seguire

    Pr comprendere la relazione suscitata nei discepoli dal comandamento di Gesù riguardo al ripudio della moglie, occorre far riferimento al testo greco, che è ben più radicale di quel che risulta nella maggior parte delle traduzioni in lingue moderne.

    In Mt 5,31-32 Gesù dice infatti:
    "E' stato anche detto: chi ripudia sua moglie, le dia i documenti del ripudio. Ma io vi dico: chi ripudia sua moglie, oltre al motivo di pervertimento (che ciò comporta per la collettività), la espone all'adulterio, e chi sposa la ripudiata commette anche lui adulterio".
    Le parole "parektos logou porneias", oltre al motivo di pervertimento , vengono solitamente tradotte "tranne in caso di impudicizia", tranne cioè il caso che la moglie sia una donna impudica, una che pratica la "porneia".
    Ma questa versione è improbabile, sia perché supporrebbe un uso scorretto della sintassi greca da parte dell'evangelista, sia perché se Gesù avesse posto la "porneia" della donna come unica valida causa di ripudio, non avrebbe insegnato qui nulla di nuovo né nulla di più grande della giustizia degli scribi e dei farisei (cfr Mr 5,20).
    Alcuni decenni prima lo scriba Sammai aveva infatti sentenziato la stessa cosa, e tutta la sua scuola, molto stimata in Giudea, continuava a sostenere anche al tempo di Gesù, che nei documenti per il ripudio resi obbligatori da Mosè (Deut 24,1) soltanto la condotta adulterina della moglie avrebbe dovuto considerarsi come punto risolutivo.
    Altre scuole di scribi, come quella di Hillel, frequentata anche da Saulo di Tarso, alias Paolo), ritenevano invece che qualsiasi difetto della moglie poteva costituire sufficiente motivo di ripudio.
    La traduzione consueta di Mt 5,31-32 farebbe di Gesù un sostenitore degli scribi sammaiti, con la qual cosa discordano sia i passi corrispondenti di Marco e Luca (Mc 10,2-12; Lc 16,18), sia anche il passo Mt 19,6-10, in cui l'ammonimento di Gesù sul non voler dividere ciò che Dio ha unito segue una disputa tra i farisei , Gesù, e i discepoli, che nel testo greco è la seguente:
    "I farisei gli dicono: Ma allora perché Mosè ha detto che si può ripudiare la moglie, purché le si diano i documenti del ripudio? Egli rispose loro: Per la durezza del vostro cuore Mosè vi permise di ripudiare le vostre mogli, ma non fu così in principio. Io invece vi dico che chi ripudia la propria moglie commette adulterio [anche] se non è il pervertimento [ a spingerlo al ripudio ], e [ anche se poi ] ne sposa un’altra; e chi sposa la ripudiata commette anch’egli adulterio. Gli dicono i discepoli: ma allora, se tale è la condizione dell’uomo nei confronti della moglie, non vale proprio la pena di sposarsi!”.
    Se Gesù avesse parlato come lo fanno parlare i suoi traduttori ( che anche qui dicono: “se non in caso di concubinato” al v.9; Lutero: “se non in caso d’impudicizia” i discepoli non avrebbero avuto alcun motivo per la loro obiezione, ed anzi sarebbero stati pienamente d’accordo: se una moglie flirta con altri perché soffrirne e basta? La si mandi via, così come si è sempre fatto.
    Gesù sta invece spiegando, in tutti questi passi, che ripudiare la moglie equivale in ogni caso ad un adulterio, e precisamente, all’adulterio verso se stessi, al tradimento della propria ricerca di verità (cfr Mt 5,27ss: il “guardare una donna per desiderarla” è adulterio, hamartia dalla vera meta di ogni desiderio dei discepoli, la quale è più grande sia del kosmos, sia di ciò che nel kosmos si ritiene essere amore, felicità, brama sessuale).
    La legge mosaica ammette il ripudio unicamente “per la durezza del vostro cuore” (ovverosia: perché siete voi a leggerla) e si limita a raccomandare che per il ripudio si ricorra ai notai, e si precisino le colpe del coniuge, e se ne adducano le prove in documenti di carattere pubblico, così che almeno non si potessero ripudiare le mogli ad esclusiva discrezione dei mariti, ed il ripudio non divenisse un logos porneias, un motivo di pervertimento per Israele.
    Nel comandamento di Gesù, la questione diviene invece: come può un individuo ripudiarne un altro, con quale diritto può dichiarare dinnanzi a tutti la sua pochezza? Cioè la sua scarsa moralità, secondo l’unico tipo di ripudio ammesso da Sammai, o la sua inettitudine sotto altri aspetti, secondo l’insegnamento di Hillel. Ciò metteva davvero sia la donna, sia altri eventuali mariti di lei, nella condizione di commettere quell’adulterio di cui parla Gesù: dato che in una donna screditata, privata pubblicamente ed ufficialmente della sua dignità, non rimaneva nulla di desiderabile, agli occhi di un buon israelita, se non la sua qualità sessuale.
    Ma se commettere adulterio significa, secondo Gesù, tradire la propria ricerca di verità, allora colpevole di adulterio sarà soprattutto il marito ripudiante, anche nel caso, come spiegato in Mt 19,6-10, che le ragioni per cui ha ripudiato la moglie non siano state disoneste agli occhi della morale corrente: che la sua intenzione non fosse stata cioè quella di sbarazzarsi di lei per poter dare più libero corso alla propria inclinazione alla pornea. Il suo adulterio consisterà nell’essersi ritenuto in diritto di distruggere la dignità altrui: nell’aver posto le proprie esigenze di felicità sessuale e familiare più in altro del destino di un proprio simile, ripudiando la moglie per non doverle rendere conto o per trovarsene una migliore. E proprio contro questo diritto, e contro la “durezza di cuore” che esso implica, Gesù parla sia in Matteo, sia negli altri sinottici. Se inoltre Gesù avesse ritenuto imperdonabile la pornea della moglie, ne avrebbe parlato anche in tutti questi passi in cui raccomanda ai discepoli di perdonare qualsiasi torto od offesa subita (Mt 18,21-22; Lc 17, 3-4)
    Quanto all’obiezione dei discepoli in Mt 19,10 “allora non vale la pena di sposarsi” Gesù la prende in parola: occorre realmente “rendersi eunuchi per il Regno dei cieli”, occorre cioè imparare a prescindere dal sesso nei propri rapporti con il prossimo, per giungere ad una realtà più grande di quella in cui “gli uomini prendono moglie e le donne prendono marito” (Lc 20,34-35; Mt 22,30; Mc 12,25).
    Occorre cioè liberarsi anche dagli intralci che il sesso può causare nella via verso il Regno, e nel conseguente atteggiamento nei confronti del kosmos e di chi ne è parte (cfr Mt 5,29ss), ed imparare a perdonare le colpe del coniuge non diversamente da come si perdonano le colpe di coloro ai quali non si è legati.

    Fine discussione sul divorzio fra farisei, Gesù ed i discepoli.

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