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Discussione: Tempo pasquale

  1. #16
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Luogo dove il popolo di Dio diventa comunità.
    Tabernacolo della Sua presenza.
    Punto d'incontro fra terra e cielo.
    amate i vostri nemici

  2. #17
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    Mi sembra un tabernacolo un po' esagerato, basta guardare S. Pietro; e pensare che i primi cristiani, come ho detto in precedenza che tu non ricordi più, si riunivano nelle loro case, quando le avevano; Gesù stava per la maggior parte all'aperto.
    Tu credi che Dio abbia bisogno di tutto quello spazio vuoto, o preferisca uno spazio piccolo e pieno come il nostro corpo?
    La stessa faccina che hai postato lo dimostra, non è mica di mattoni

  3. #18
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Dio ha bisogno di un popolo: per questo sceglie prima Israele e poi la Chiesa che, te lo ripeto, non è fatta solo di pietre e mattoni....
    San Pietro, Notre Dame de Paris, la Sagrada Familia, il Duomo di Orvieto o di Milano sono meraviglie. Ma rimandano a qualcosa di molto più grande!
    amate i vostri nemici

  4. #19
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    Citazione Originariamente Scritto da arecata Visualizza Messaggio
    A proposito di correzioni (ne avrei tante da fare), E' un'ottima istituzione quella della RAI di trasmettere nei giorni delle feste comandate, domeniche incluse, la Santa Messa per chi non può recarsi personalmente, anche i sottotitoli sono molto validi per gli ipoudenti, MA
    Assai spesso la stessa è 'condensata'
    Ad esempio il Vangelo di domenica scorsa, di Giovanni che ci racconta l'incontro al pozzo di Giacobbe tra la Samaritana e Gesù, viandante stanco che le chiede acqua (Ed è molto, molto importante questo passo) per ragioni a me ignote, ritengo per contenere i tempi, viene ridotto e per me : un pò svilito. Tuttavia meglio che niente.


    A proposito, come si regoleranno domenica 2 aprile p.v., Domenica delle Palme con la lettura del "Passio"?

    Poiché Gesù non era un indovino, esiste una spiegazione razionale che ti propongo anche se è un po' lunghetta.

    5 Giunse così in un paese della Samaria che si chiamava Sicar, presso il terreno che Giacobbe diede a sua figlio Giuseppe.

    Presso questo paese si trovava il terreno ceduto da Giacobbe a suo figlio Giuseppe (Gn 33,19; 48,22), dove questi era stato sepolto (Gs 24,32). La città esistente ai tempi di Giacobbe si chiamava Sichem (Gn 33,18-20; Gs 24,32; Os 6,9) e nei suoi pressi era sorta la città più moderna di Sicar.
    Sichem era stata distrutta già da oltre un secolo.
    Gesù sta attraversando una terra con una storia che risaliva alle origini di Israele, anteriore alla divisione tra giudei e samaritani. Se gli abitanti erano disprezzati dai giudei, il loro territorio partecipava tuttavia delle glorie degli inizi.
    Entrambi i popoli, giudei e samaritani, erano uniti in quelle origini.

    6 si trovava lì la fonte di Giacobbe. Gesù, affaticato dal cammino, si fermò, senz'altro, a sedere sulla fonte. Era circa l'ora sesta.

    La fonte citata in questo versetto si chiamerà poi " il pozzo" (4,11.12).
    Situato presso Sichem ed unico nella regione, era un pozzo profondo che, secondo i dati archeologici, fu in uso dall'anno 1.000 a.C. fino al 500 d.C.
    Nell'AT l'unica relazione di Giacobbe con un pozzo si trova in Gn 29,2-10, in occasione del suo incontro con Rachele in Aran; Giacobbe toglie la pietra che copriva il pozzo ed abbevera il gregge (29,10). Tuttavia "il Pozzo" nella tradizione giudaica si trasforma in elemento mitico, che sintetizza i pozzi dei patriarchi e la sorgente che Mosè aprì nella rupe del deserto. Raffigura la Legge stessa, che si considerava osservata già dai patriarchi e formulata più tardi da Mosè.
    Dal pozzo della Legge sgorga l'acqua viva della sapienza. Il pozzo di Giacobbe ad Aran si identifica da una parte con quello di Mosè nel deserto e, dall'altra, con Sion, il centro del culto giudaico.
    Da qui la menzione nei profeti dell'acqua viva che doveva sgorgare da Gerusalemme (Zc 14,8) e del tempio (Ez 47).
    Il pozzo viene a significare praticamente tutte le istituzioni giudaiche: la Legge, il tempio, la sinagoga ed il suo centro Gerusalemme.


    Fine prima parte.

    Ps. per Pasqua lo finiamo

  5. #20
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    Affaticato dal cammino

    Il termine affaticato mette questo versetto in relazione con 4,38 dove “fatica, faticare” appaiono tre volte (mai più nel vangelo). In 4,38 si parla di una fatica passata, semina e coltivazione, mentre i discepoli subentrano nel profitto della fatica del seminatore.
    La fatica di Gesù è, pertanto, il risultato della semina che sta facendo, è il lavoro necessario perché il frutto venga prodotto (12,24: se il chicco di frumento…muore, produce molto frutto).
    In questo versetto, tuttavia, la fatica è in relazione con il cammino/viaggio di Gesù. La semina ed il cammino si identificano. Di fatto, l’opera di Gesù viene espressa in Giovanni in termini di partire, camminare, andare, ed in particolare egli stesso allude sempre al suo cammino (dove vado io, 8,14.21.22; 12,33.36; 14,4.5) che è un andare verso Dio (13,3) o verso il Padre (14,28; 16,10.17) che lo inviò (16,5).
    La sua vita è un continuo andare, partire o camminare. Questo è il suo cammino e la sua fatica.
    D’altra parte l’evangelista segnala che era circa l’ora sesta (mezzogiorno). E’ la stessa frase che si adopera in 19,4, nel momento in cui condannano Gesù a morte. Lì Gesù aveva concluso il suo cammino.
    In modo simile a quello di Cana, si anticipa qui “l’ora” di Gesù. Così apparirà nell’espressione “si avvicina l’ora o, per meglio dire, è giunta” riferita al culto con spirito e lealtà (4,23).
    Questo culto sarà possibile quando egli avrà donato lo Spirito, e l’acqua viva che egli offre alla donna (4,14) e che sgorgherà dal suo costato aperto (19,34). L’attività di Gesù anticipa la sua ora. Come nell’episodio di Nicodemo, l’evangelista presenta nella scena di Samaria il frutto della morte di Gesù. E questo gli permette di unire il tempo di Gesù a quello della comunità, che legge la vita di Gesù dopo la sua morte e resurrezione, e vede nella sua attività precedente l’anticipazione della realtà che essa vive.
    Gesù si trattiene a sedere sulla fonte, occupa il suo posto. La frase indica la sostituzione che avrà luogo , marcata dall’evangelista dicendo “si fermò…a sedere”, in luogo del semplice “si sedette”; Gesù occuperà permanentemente il posto della fonte antica.
    Di fatto, egli offrirà un’acqua che sgorgherà dalla fonte aperta nel suo costato (19,34).
    Egli stesso è la vera fonte, che prende il posto della Legge, della tradizione e del tempio. Ezechiele annunciava che dal tempio futuro sgorgherebbe una sorgente d’acqua montante (Ez 47). Gesù stesso si identificherà con questo tempio dal quale sgorga il torrente di acqua, ed ora, col suo gesto, anticipa l’identificazione. Per questo egli è il nuovo santuario che sostituisce quello di Gerusalemme, ed annuncia in questo episodio la fine dei templi e definisce la caratteristica del nuovo culto (4,21-24).
    E’ la seconda allusione a Giacobbe nel vangelo.
    Nella prima (1,51), Gesù annunciò che la scala vista da Giacobbe sarebbe diventata realtà nella sua persona; qui, la fonte che Giacobbe aveva dato viene sostituita da un’altra che è Gesù stesso.

    Fine seconda parte

  6. #21
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    7-8 Giunse una donna di Samaria ad attingere acqua. Gesù le disse: “Dammi da bere”.
    (I suoi discepoli erano andati via, in paese, a comperare provviste)
    .

    La donna non ha un nome proprio, né si afferma che venga da Sicar; il suo unico tratto è l’appartenenza alla regione; la donna samaritana è la rappresentante della Samaria, che va ad estinguere la sua sete alla fonte di Giacobbe, vale a dire nella sua antica tradizione. Gesù è solo, i suoi discepoli erano andati a cercare da mangiare. E’ l’incontro del Messia con Samaria, la prostituta, quella che ha figli bastardi (Os 1,2: “disse il Signore ad Osea: vai, prendi una donna prostituta ed abbi figli bastardi, perché il paese si è prostituito, allontanato dal Signore”).
    Torna il tema del Messia-Sposo della pericope precedente (3,29), che ora va a cercare la sposa infedele. Dio non l’abbandona, va a conquistarsela di nuovo (Os 2,15-16: “le chiederò conto di quando offriva incenso ai Baal e si adornava di anelli e di collane per andare con i suoi amanti, dimenticandosi di me – oracolo del Signore -. Pertanto, ecco, la sedurrò portandomela nel deserto e parlandole al cuore”).
    Le allusioni ad Osea saranno frequenti in questo episodio. Egli fu il profeta di Samaria, a suo tempo regno di Israele, in opposizione a quello di Giuda.
    L’incontro comincia con una richiesta di Gesù: dammi da bere. Essendo uomo, Gesù prova la necessità, ed è quindi solidale con le necessità di ogni uomo. Chiede una dimostrazione di solidarietà al livello umano più elementare, che unisce gli uomini al di sopra delle cultura e delle barriere politiche e religiose. La solidarietà con Gesù è solidarietà con l’uomo. E’ la prova dell’amore; la necessità è l’occasione di manifestarsi a favore dell’uomo; risponderle è la condizione per ricevere il dono di Dio.
    Dare acqua, elemento scarso e quindi prezioso, era segno di accoglienza ed ospitalità (cfr Mt 10,42; Mc 9,41). Chiedendola, stanco del cammino, Gesù, viene dalla Giudea (1,11: casa sua; 4,44: la sua propria terra), dove è stato rifiutato, chiede di essere accolto in Samaria; in cambio dell’ospitalità, egli darà la sua propria acqua. Tornerà ad aver sete sulla croce, ma lì i suoi, per l’ultima volta, gli negheranno accoglienza, rispondendo all’amore con l’odio (19,28s).

    Fine terza parte

  7. #22
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    9 Gli dice allora la donna samaritana: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me che sono samaritana?” (poiché i giudei non trattano con i samaritani).

    La risposta della donna riflette il suo stupore: lei non può comprendere come mai un giudeo chieda da bere ad una donna samaritana. Il motivo che Giovanni dà, che i due popoli non avevano relazioni, si comprende perfettamente nel contesto storico espresso al principio.
    Gesù, da parte sua, ha demolito la barriere che li separava. Inoltre, esponendo una richiesta elimina la proverbiale superiorità dei giudei rispetto ai samaritani. Egli si presenta semplicemente come un uomo, bisognoso come tutti; si mette in una situazione di dipendenza e riconosce che la donna può offrirgli qualcosa di indispensabile. Collocandosi al livello della necessità corporale afferma l’uguaglianza, sopprime la discriminazione ed esalta la dignità della donna. Le ha mostrato la sua confidenza, ma lei non ha ancora vinto la riserva.

    10 Gesù le risponde: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è a chiederti da bere , saresti tu a chiederne a lui e ti darebbe acqua viva”.

    Gesù risponde in modo indiretto, eccitando la curiosità della donna. Le parla di un dono di Dio, di un’acqua viva che egli è in grado di dare. Le ha chiesto un favore, ma è disposto a corrispondere con uno maggiore. Le propone di superare l’inimicizia stabilendo un rapporto di vicendevole buona volontà.
    Fin dal primo momento, Gesù si mostra indipendente dalla situazione che esiste tra Samaria e Giudea; non riconosce le divisioni causate dalle ideologie, in particolare da quella religiosa. Offre qualcosa che la supera, il dono di Dio, che non distingue fra alcuni uomini ed altri, perché il suo amore si rivolge all’umanità intera (3,16).
    Il dono di Dio è Gesù stesso, che porta la salvezza per tutti: (3,16-17).
    Essendo la sorgente della vita, è in grado di dare un’acqua viva, corrente, e la offre alla samaritana. Gesù è libero da ogni pregiudizio, per lui esiste solo la relazione interpersonale, manifestata nel dare e ricevere.
    Lei non conosce il dono di Dio. In Osea appare di frequente il tema della conoscenza,(4,1: non c’è nel paese verità, né lealtà e né conoscenza di Dio).

    11 Gli dice la donna: “Signore, se non hai secchio ed il pozzo è profondo da dove puoi attingere l’acqua viva?”.

    La donna rimane impressionata dalla frase enigmatica di Gesù, lo chiama rispettosamente “Signore” e gli esprime il suo stupore per l’offerta. Non conosce altra acqua oltre a quella del pozzo e vede che Gesù non ha gli utensili necessari per attingerla. Si domanda dove può procurarsi l’acqua viva che promette.
    Lo stupore della donna è parallelo a quello di Nicodemo. Nell’uno e nell’altro caso si tratta dell’acqua/Spirito (3,5). Nicodemo non poteva comprendere l’affermazione di Gesù: dovete nascere di nuovo/dall’alto (3,3.7), concepiva questa nascita in termini di sforzo proprio e concludeva che fosse impossibile (3,4). Non conosceva altro cammino oltre quello della Legge né altro miglioramento dell’uomo se non attraverso la sua osservanza. Qui, parallelamente, la donna non conosce altra acqua che quella del pozzo, anch’essa figura della Legge e pensa che l’acqua debba essere estratta con lo sforzo umano. Non conosce né si immagina un dono di Dio gratuito. Né Nicodemo né la donna, educati nella Legge, sono abituati all’idea di gratuità; non conoscono l’amore di Dio (cfr 2,3: non hanno vino).

    Fine quarta parte

  8. #23
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    12Forse che tu sei più grande di nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo dal quale bevvero lui, i suoi figli ed i suoi armenti?

    La donna fa una domanda che, sebbene tinta di scetticismo, lascia aperta una possibilità.
    Quel pozzo aveva dietro di se tutto il prestigio di Giacobbe, l’antenato glorioso, del quale i samaritani si consideravano discendenti. Era stato un dono di Giacobbe ai suoi figli, vale a dire al suo popolo. Il pozzo rendeva presente la sua memoria e l’ascendenza dei samaritani; era un vincolo di unità etnica e religiosa.
    Il pozzo, come si è visto, significava la Legge, sintetizzava la figura dei patriarchi e quella di Mosè il legislatore. La donna conosce il dono di Giacobbe (ci diede), ma disconosce quello di Dio. Le pare incomprensibile che Gesù proponga un’altra acqua viva, come se potesse esservene una differente dalla Legge. Lo considera un rivale di Giacobbe, che pretende di uguagliare o rendersi superiore al patriarca. Al dono di Dio (3,16) oppone il dono di Giacobbe. Questi è colui che ha dato il suo nome al popolo (=Israele); il suo pozzo è la tradizione comune a tutti, la loro gloria.

    13-14a Le rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua tornerà ad aver sete; invece chi abbia bevuto l’acqua che gli darò io non avrà mai più sete”.

    Traspare il rifiuto della saggezza basata sulla Legge, come viene espressa in Sir 24,20-22: “quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete. Chi mi obbedisce non si vergognerà, chi compie le mie opere non peccherà. Tutto questo è il libro dell’alleanza del Dio altissimo, la legge che ci ha imposto Mosè, l’eredità delle assemblee di Giacobbe”.
    Senza affermare esplicitamente la sua superiorità rispetto a Giacobbe, Gesù la fa comprendere, esponendo l’eccellenza del suo dono. Egli offre a tutti la sua acqua, secondo il testo di Is 55,1: ”udite, voi tutti che avete sete! Venite all’acqua anche voi che non avete denaro”. Ma a differenza dell’altra, basterà bere una volta perché la sete si calmi per sempre, perché lo Spirito rimarrà interiorizzato nell’uomo, come spiegherà di seguito.
    Quest’unico atto di bere corrisponde alla nuova nascita (3,3.5s), che dà la nuova vita.
    Lo sforzo non consisterà nell’acquisire una saggezza interiore né una lenta perfezione propria secondo la Legge, ma nell’impegno d’amore per gli altri.

    Fine parte quinta

  9. #24
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    14bma chi beve l’acqua che gli darò io si trasformerà dentro di lui in una fonte di acqua che zampilla e dà vita definitiva

    Solo un’acqua perenne e sempre disponibile può togliere la sete dell’uomo. Tale è quella che promette Gesù.
    Lo Spirito che egli comunica si trasforma in ciascun uomo in una sorgente che sgorga continuamente e che, pertanto, continuamente gli darà vita e fecondità. Così sviluppa ciascuno nella sua dimensione personale.
    Lo Spirito è personalizzante; la Legge, assolutizzata come fine a se stessa, lo spersonalizza.
    Lo Spirito è una sorgente interna, non esterna come quella di Giacobbe.
    L’uomo deve ricevere vita nella sua stessa radice (dentro), nel profondo del suo essere, non per l’adeguamento a norme esterne.
    E’ un dono permanente, che fa nascere ad una vita nuova e la mantiene (3,6), che apre l’orizzonte al regno di Dio (3,5).
    La sua forza (zampilla) è garanzia di pienezza di vita (cfr 10,10: io sono venuto perché abbiano vita e sovrabbondi in essi).
    Nella tradizione giudaica si diceva che la roccia da cui nel deserto sgorgò l’acqua, aveva accompagnato il popolo nella sua peregrinazione, calmando la sua sete (cfr 1 Cor 10,4).
    Anche quest’acqua, procurata da Mosè, s’identifica con la Legge. Con Gesù non vi sarà un’acqua/Legge esterna che accompagna il popolo, ma una fonte interna di vita che guida l’individuo. Essendo in tutti la stessa acqua, quella che dà Gesù, crea unità con lui e con tutti. Zampillando in ciascuno come sorgente propria, e fecondando la terra di cui è costituito, produce un frutto diversificato.
    Ritorna l’dea esposta nell’episodio di Nicodemo.
    Non basta accumulare una saggezza, l’uomo ha bisogno di un nuovo genere di vita, una forza e fecondità interiore di cui è privo. Quando la riceverà sarà completo, avrà il livello che gli spetta secondo il progetto creatore di Dio.

    15 Gli dice la donna: “Signore, dammi quest’acqua, così non avrò più sete, né verrò qui ad attingerla”.

    Con la sua promessa di vita Gesù ha destato l’anelito della donna.
    Questa si dichiara disposta ad abbandonare per sempre il pozzo della Legge e della tradizione, che rappresenta la sua storia, ma che non è riuscito ad appagare i suoi desideri.
    La sua reazione è opposta a quella di Nicodemo. Lei, rompendo con il passato, vuole nascere di nuovo. Ha fede che ciò sia possibile e lo attende da Gesù.
    Questi iniziò chiedendo acqua e termina promettendola; anche sulla croce dapprima manifesterà la sua sete (19,28) e poi darà l’acqua che sgorga dal suo corpo (19,34).
    Si sono rotte le barriere; la donna samaritana chiede l’acqua a lui, il giudeo.
    Al principio Gesù fa presente la sua necessità fisica, comune ad ogni uomo, ed ora si offre per calmare la sete di vita piena, l’anelito più profondo dell’uomo. Gesù non si sofferma su ciò che è culturale né su ciò che è religioso; va alla radice, all’uomo come creatura di Dio, Creatore e Padre; all’uomo attraverso la sua relazione elementare, corporea e personale, quella che stabiliscono la sete e l’amore.
    Il fariseo e capo non poté riconoscere l’insufficienza della propria Legge. La samaritana, disprezzata, la riconosce, perché conosce la fatica che richiede e l’insoddisfazione che lascia.
    E’ stanca di venire al pozzo che non calma la sete. Vede il valore della vita e la desidera, si lascia illuminare dalla luce che splende in Gesù (1,4: la vita era la luce dell’uomo).

    Fine parte sesta

    Ps. Adesso arriva il bello

  10. #25
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    Culti del passato ed il nuovo culto. Il Messia

    16-17a Egli le disse: “Va a chiamare tuo marito e torna qui”. La donna gli rispose: “Non ho marito”.

    Il brusco passaggio dalla tematica precedente, quella dell’acqua/Spirito, a quella dei mariti risulta incomprensibile sul piano puramente storico.
    Gesù non intende mostrare alla donna il proprio potere di indovinare per farle comprendere di non essere un uomo qualunque; nemmeno cerca di darle una lezione di moralità; il tema viene bruscamente troncato(4,18-19), senza che Gesù vi torni sopra.
    Questo tratto del dialogo acquista significato sullo sfondo profetico, in particolare di Osea.
    In questo profeta, la prostituta (Os 1,2) e l’adultera (3,1) sono simboli del regno d’Israele, che aveva Samaria come capitale. La sua prostituzione ed il suo adulterio consistevano nell’aver abbandonato il vero Dio (2,4.7-9.15; 3,1).
    L’origine dell’idolatria dei samaritani si narra in 2Re 17,24-41, dove si menzionano cinque santuari di dei, ed inoltre il culto di Yahvè. A queste cifre faranno allusione la parole di Gesù.
    Così acquista significato il passaggio al tema matrimoniale. Samaria è insoddisfatta, non trova soluzione nel passato e vede un orizzonte nuovo nell’offerta di Gesù. Ma Gesù vuole che riconosca la sua situazione affinché rompa con essa; la rottura non può essere generica (non tornar più al pozzo): deve rispondere alla sua situazione concreta. Le scoprirà quale sia la sua vera sete: Va’ a chiamare tuo marito e torna qui. Sul piano in cui si muove la narrazione, il marito ( si ricordi la parola Baal=marito/signore) ha una connotazione religiosa; rappresenta la ricerca delle sicurezze opposte al disegno di Dio, ogni alleanza contraria alla sua, la pretesa ingannevole di trovare soluzione al di fuori di lui.
    Samaria aveva tradito Dio, lo sposo del popolo, cercando altri appoggi (Os 2,7: “la loro madre si è prostituita, la loro genitrice si è coperta di vergogna. Essa ha detto: Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana ed il mio lino, il mio vino ed il mio olio” 9,1: “non darti alla gioia Israele, non far festa con gli altri popoli, perché hai praticato la prostituzione abbandonando il tuo Dio”).
    Il tentativo, comunque, fu infruttuoso: Dio non lasciò che trovassero pace (Os 2,8-9: “perciò ecco, ti sbarrerò la strada di spine e ne cingerò il recinto di barriere e non ritroverà i suoi sentieri. Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà li cercherà senza trovarli. Allora dirà: ritornerò al mio marito di prima perché ero più felice di ora”).
    Gesù la sta preparando a ciò che era annunciato (Os 2,18: “quel giorno…..mi chiamerai: marito mio, e non mi chiamerai più Baal mio (idolo mio). Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal, che non saranno più ricordati).
    Davanti alla richiesta d’acqua da parte della donna, Gesù l’invita, quindi, a prender coscienza che il suo culto si è prostituito; questo spiega come la donna passi di seguito al tema dei templi.

    Fine parte settima

  11. #26
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    Beh, a questo punto mi sembra superfluo andare avanti in quanto che la storia della donna samaritana e dei suoi cinque amanti e del marito che non ha è razionalmente spiegata.

    Fine anticipata

  12. #27
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    Ciao, Crep, hai scritto tanto, davvero, ti sarai stancato.

    Io sono stata sempre affascinata dalla figura della Samaritana.

    Vediamo Gesù che stanco ed accaldato si getta sul pozzo di Giacobbe

    dopo aver mandato gli apostoli a cercare del cibo, e vede arrivare una

    donna e non si perde in chiacchiere, va al sodo e dice: dammi da bere.

    Certo c'era ostilità tra Giudei e Samaritani, però ricordiamo che il Regno

    del Nord era stato conquistato dagli Assiri e ovviamente molte pratiche

    religiose erano state apprese dal popolo eletto. Qui possiamo notare anche come

    nel Tanakh e nel Nuovo Testamento spesso i primogeniti vengono scalzati dai

    secondogeniti, o figli di popoli impuri restino alla storia per le loro gesta, ad es, Giacobbe

    l'impetuoso scalza Esaù, Rut la Moabita diviene antenata di Re Davide e quindi di Gesù.

    Lei riconosce in lui un giudeo anche dalle frange dell'abito e quindi gli risponde. Tu hai descritto

    benissimo gli accadimenti, e lei si mostra anche una donna colta, attenta alle contingenze religiose

    del tempo. Chiede a Gesù, dove dovevano adorare Dio, a Gerusalemme o sul monte Garizim?

    Gesù risponde, si adorera' Dio solo in spirito e verità. Lei comprende subito, invece Gesù

    con Nicodemo, che era anche un dottore della Legge, aveva dovuto sgobbare una notte intera

    per inculcargli qualche concetto.

    Ovviamente gli apostoli si scandalizzano al vederlo parlare con una donna samaritana (non sanno

    fare altro), lei corre in paese a raccontare che forse ha incontrato il Messia. C'è qui uno strano

    contrasto tra la Samaritana, con cinque amanti, senza marito, che afferra subito le parole di Gesù, e

    i pudìchi apostoli, allenati al pensiero giudaico che non capiscono niente quasi fino alla fine.

    Ciao, Crep, quante cose sai.

  13. #28
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    Citazione Originariamente Scritto da Fiammetta Visualizza Messaggio
    Ciao, Crep, hai scritto tanto, davvero, ti sarai stancato.

    Io sono stata sempre affascinata dalla figura della Samaritana.

    Vediamo Gesù che stanco ed accaldato si getta sul pozzo di Giacobbe

    dopo aver mandato gli apostoli a cercare del cibo, e vede arrivare una

    donna e non si perde in chiacchiere, va al sodo e dice: dammi da bere.

    Certo c'era ostilità tra Giudei e Samaritani, però ricordiamo che il Regno

    del Nord era stato conquistato dagli Assiri e ovviamente molte pratiche

    religiose erano state apprese dal popolo eletto. Qui possiamo notare anche come

    nel Tanakh e nel Nuovo Testamento spesso i primogeniti vengono scalzati dai

    secondogeniti, o figli di popoli impuri restino alla storia per le loro gesta, ad es, Giacobbe

    l'impetuoso scalza Esaù, Rut la Moabita diviene antenata di Re Davide e quindi di Gesù.

    Lei riconosce in lui un giudeo anche dalle frange dell'abito e quindi gli risponde. Tu hai descritto

    benissimo gli accadimenti, e lei si mostra anche una donna colta, attenta alle contingenze religiose

    del tempo. Chiede a Gesù, dove dovevano adorare Dio, a Gerusalemme o sul monte Garizim?

    Gesù risponde, si adorera' Dio solo in spirito e verità. Lei comprende subito, invece Gesù

    con Nicodemo, che era anche un dottore della Legge, aveva dovuto sgobbare una notte intera

    per inculcargli qualche concetto.

    Ovviamente gli apostoli si scandalizzano al vederlo parlare con una donna samaritana (non sanno

    fare altro), lei corre in paese a raccontare che forse ha incontrato il Messia. C'è qui uno strano

    contrasto tra la Samaritana, con cinque amanti, senza marito, che afferra subito le parole di Gesù, e

    i pudìchi apostoli, allenati al pensiero giudaico che non capiscono niente quasi fino alla fine.

    Ciao, Crep, quante cose sai.
    Grazie Fiammetta per l'apprezzamento, la fatica quindi non è stata vana.
    Vorrei dirti che io, come tutti, so solo quel che so, ma quello che non so e mi piace me lo vado a cercare nei libri; ho costruito una vasta libreria su argomenti che mi piacciono; me la sono messa su anno per anno e libro per libro. Li ho tutti in mente avendoli acquistati uno per uno, ed anche se non li ho letti subito, so di che cosa parlano ed all'occorrenza li pesco e prendo quello che al momento mi interessa.
    Sono un tipo curioso, questo si.
    Cara Fiammetta noto che sai cogliere il succo di ciò che si dice immedesimandoti nei vari personaggi, infatti anche secondo me gli apostoli erano troppo abituati a Gesù, in fondo anche noi ci abituiamo ai nostri cari che stanno sempre con noi, è quando ci mancano che possiamo veramente apprezzare ciò hanno fatto e detto proprio come è successo ai discepoli di Gesù.

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