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Risultati da 1 a 15 di 18

Discussione: Cenacolo vinciano

  1. #1
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    Cenacolo vinciano

    Caro Cono,

    è giunta l’ora di incamminarci, non sulla strada per Emmaus in compagnia del Risorto, ma per andare a Milano. In quella città potrai lucrare l’indulgenza plenaria mediante preghiere, offerte in denaro e pratiche di devozione.

    Ricordati di indossare l’abbigliamento e i simboli del pellegrino (da peregrinus, = straniero che compie il viaggio per andare in un luogo sacro, chiamalo viandante, se vuoi).

    I “signa peregrinationis” sono:

    una tunica corta per camminare agevolmente;

    la cappa
    :mantello senza maniche con cappuccio per ripararsi dal freddo e dal vento, in tessuto grezzo, ruvido;

    il petaso
    : cappello a tese larghe, alzato sul davanti, fissato con un laccio sotto il mento;

    una bisaccia di pelle o di stoffa da portare a tracolla, con cibo e denaro;

    Il bordone: bastone di legno curvo da una parte per tenerlo con la mano e con la punta chiodata. Ti servirà per poggiarti nel fatale andare, per superare gli ostacoli e come strumento di difesa contro gli animali pericolosi, come i cinghiali in giro per la città o i cani randagi;

    una borraccia
    per l’acqua da bere, meglio una zucca secca svuotata, appesa alla cintura.

    Come prima tappa, dal duomo andremo nella vicina Galleria Vittorio Emanuele II, e da Savini ti offrirò un caffè. Anche l’occhio vuole la sua parte e bere un caffè in un locale elegante è ciò che ci vuole. Io ci vado spesso.

    Poi ce ne andremo verso Corso Magenta con destinazione la piazza e la chiesa dedicate a Santa Maria delle Grazie.


    Basilica di Santa Maria delle Grazie, prospetta sull’omonima piazza; sulla destra c’è Corso Magenta.
    Questa chiesa, dell’Ordine dei Domenicani, è adiacente all’ex refettorio del convento (diventato proprietà del Comune di Milano), nel quale potrai ammirare il dipinto leonardesco dedicato all’Ultima Cena (o Cenacolo).

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    Ultima modifica di doxa; 01-04-2023 alle 05:59

  2. #2
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    Nel 1460 il conte Gaspare Vimercati (comandante delle milizie del duca di Milano Francesco Sforza, 1401 – 1466) fece edificare per i frati Domenicani il convento e poi la chiesa di San Domenico, completata nel 1482. Nel 1492 fu ristrutturata e ampliata su progetto del noto architetto Donato Bramante, con l’aggiunta di absidi di forma circolare , una grande cupola, un chiostro; infine, nell’adiacente convento, venne costruito un nuovo refettorio. Ludovico Maria Sforza, detto “il Moro” (1452 – 1508), duca di Milano, scelse questo sacro edificio per farne il mausoleo per il proprio casato. La nuova chiesa anziché a San Domenico venne dedicata a Santa Maria delle Grazie.


    veduta parziale dell'interno basilicale

    Nel convento ci sono tre chiostri: quello sul lato nord è adiacente alla chiesa. Invece il refettorio è nel lato sud: nel suo interno è possibile ammirare “La crocifissione” (dipinto realizzato dall’artista milanese Donato Montorfano) e la celebre “Ultima Cena”, realizzata da Leonardo da Vinci.


    “Ultima cena” prima del restauro



    “Ultima cena” dopo il restauro

    L'ultimo intervento di restauro ha permesso di recuperare solo in parte il dipinto originale, rovinato sia a causa degli inadatti materiali utilizzati dall'artista sia per colpa dei vari restauratori che nei secoli XVII e XVIII eseguirono alcune ridipinture "estetiche". Ad esempio, quasi tutta la testa di Giuda è rifatta, dell'originale viso di Giovanni ne resta solo un decimo (le scaglie più chiare della parte alta del viso), e di Pietro solo la parte della fronte e dello zigomo.

    Nel 1517, secondo la testimonianza di Antonio de Beatis, “è excellentissima, benché incomincia a guastarse non so se per la humidità che rende il muro o per altra inadvertentia”.

    Nel 1568 Giorgio Vasari scrisse che il dipinto è “tanto male condotto che non si scorge più se non una macchia abbagliata”.

    Per Francesco Scannelli, che descrisse il Cenacolo nel 1642, non erano rimaste dell’originale che alcune tracce delle figure, e anche quelle così confuse che solo a fatica se ne poteva ricavare una indicazione del soggetto. Proprio perché considerato ormai perduto, i Domenicani del convento nel 1652 non esitarono ad aprire una porta per dare accesso alle cucine, tagliando le gambe di Gesù e di due apostoli.

    Tra il 1796 e il 1801 il refettorio venne adibito a scuderia per i cavalli dei soldati napoleonici, i quali alcuni di loro scagliarono pietre contro il dipinto che distrussero i corpi degli apostoli. Con punte metalliche sfregiarono anche gli occhi. Successivamente inesperti restauratori ridipinsero tutta l’opera.

    Infine, il 16 agosto 1943, nel corso della seconda guerra mondiale, il convento di Santa Maria delle Grazie venne bombardato e il refettorio quasi completamente distrutto; il Cenacolo si salvò perché protetto da una impalcatura di tavole di legno e sacchetti di sabbia.



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    Ultima modifica di doxa; 01-04-2023 alle 19:46

  3. #3
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Quale onore visitare con te Santa Maria delle Grazie ed ammirare il celeberrimo affresco leonardiano!!!!
    Dimmi cosa ti colpisce in modo particolare.

    Un caro abbraccio.

    Claudio.
    amate i vostri nemici

  4. #4
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    Nel 1494 Ludovico il Moro volle far decorare i lati minori del rettangolare convento dei frati domenicani.

    Su uno dei lati il pittore milanese Donato Montorfano dipinse la “Crocifissione”, terminata nel 1495.

    Sull’altro lato minore del refettorio Leonardo da Vinci tra il 1494 e il 1498 dipinse “Ultima cena” o “Cenacolo” (460 x 880 cm), usando la tecnica mista a secco su intonaco, incompatibile con l’umidità dell’ambiente.



    Su un doppio strato di intonaco, Leonardo applicò sul muro a secco la tempera mescolata all’olio. Tale modo di procedere permise all’artista di ottenere qualità di chiaroscuri più raffinati e di ritoccare e modificare l’opera giorno dopo giorno in base a ripensamenti successivi. Ma proprio per tale motivo l’affresco fu vulnerabile e non fu possibile il tentativo di rimuovere il dipinto dalla sede originaria senza danneggiarlo definitivamente.

    I restauri hanno permesso di capire che l'artista, dopo aver steso un intonaco ruvido, e disegnate le linee principali della composizione con una specie di sinopia, lavorò al dipinto usando una tecnica tipica della pittura su tavola.

    Leonardo usò le espressioni dei volti, dei gesti e la postura dei corpi degli apostoli per manifestare le loro emozioni, come la rabbia, la paura, lo stupore e il dolore.
    Leonardo scrisse:

    “I moti delle parti del volto, mediante gli accidenti mentali,
    sono molti; de’ quali i principali sono ridere, piangere, gridare, cantare
    […] ira, letizia, malinconia, paura”.


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  5. #5
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    L'Ultima Cena è quella che Gesù fece con gli apostoli durante la Pasqua ebraica nel cosiddetto “Cenacolo”, nella zona del Monte Sion, a Gerusalemme.

    Il racconto degli eventi dell'ultima cena di Gesù è presente nei Vangeli sinottici e in quello di Giovanni.

    Leonardo per questo dipinto trasse ispirazione dal Vangelo di Giovanni (13, 21 – 26). Ha rappresentato Gesù mentre è a tavola con i 12 apostoli ed annuncia che uno di loro lo tradirà. E’ il momento più drammatico della cena: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse” (Gv 13, 21 – 22).

    Ogni apostolo si domanda, e chiede agli altri, chi può essere il traditore: Leonardo si concentra sull’effetto che le parole di Gesù provocano sugli apostoli, sulla loro reazione.

    L’agitata scena raffigura Cristo al centro della tavola, ha le braccia distese, è contornato dai discepoli, disposti in quattro gruppi di tre apostoli.

    Il primo discepolo da sinistra è Bartolomeo, che si trova all’estremità del tavolo e sembra alzarsi di impeto all’annuncio di Cristo: egli, infatti, poggia le mani sulla mensa e protende il corpo verso Gesù.

    Vicino a lui c’è Giacomo Minore, che vediamo di profilo mentre tocca la spalla del più anziano Andrea, il quale alza le mani, come a volersi discolpare da qualsiasi sospetto di tradimento.

    Andrea con la mano sinistra, quasi a chiedere conforto, tocca la spalla del fratello Pietro, che con la mano destra impugna il coltello



    Simon Pietro con la mano sinistra tocca Giovanni e lo incita a chiedere a Gesù chi sia il traditore: “Di', chi è colui a cui si riferisce?” (Gv 13, 24)
    E Giovanni reclinandosi verso Gesù gli dice: “Signore, chi è?" .Rispose allora Gesù: ‘È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò’. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone” ((Gv 13, 25 – 26).

    Giuda è raffigurato mentre poggia il gomito sul tavolo . Nella mano tiene la sacca contenente i 30 denari che ha ricevuto per il tradimento.

    Sulla destra, di Gesù c’è Giacomo Maggiore, che apre con sdegno le braccia mentre Tommaso, proteso verso Cristo, lo esorta a parlare tenendo l’indice della destra puntato in alto.

    Filippo si è alzato in piedi e, rivolto verso Cristo, porta le mani al petto con un’espressione di dolore sul volto.

    Vicino a lui c’è Matteo, che ruota le braccia verso Cristo. Il suo volto, però, è girato nella direzione opposta e rivolto verso Simone e Giuda Taddeo per richiamare la loro attenzione alle parole appena udite.

    Giuda Taddeo appare stupito. La sua mano sinistra poggia sulla tavola col palmo aperto, mentre con la destra l’apostolo indica sé stesso.

    L’anziano Simone, infine, con atteggiamento più pacato siede a capotavola e si rivolge a Giuda Taddeo e a Matteo.

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    Ultima modifica di doxa; 01-04-2023 alle 19:47

  6. #6
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    @doxa.

    Questo pignale che inquadri non é di Pietro, ma é un pugnale in piu'.

    Abbiamo 12 apostoli e 25 mani. Non si sa di chi sia questa mano che impugna

    il pugnale,

    ma sappiamo che Leonardo oltre che essere un grandissimo esoterico, amava scherzare.

    pugnale

  7. #7
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    Per ulteriori dettagli ricolloco la foto del Cenacolo vinciano


    Leonardo da Vinci, Ultima Cena, 1495-1498, ex refettorio del Convento domenicano collegato alla basilica di Santa Maria delle Grazie

    La scena raffigurata da Leonardo è intuibile che derivi dal quarto vangelo, quello di Giovanni: c’è il "dialogo" tra Pietro e Giovanni e, diversamente dai tre vangeli sinottici, non c’è il calice sulla tavola, che viene ricordato durante la Messa per la consacrazione dell’ostia: "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: ‘Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati’ " (Mt 26,27).

    Guardando l’immagine, sulla destra di Gesù c'è l'apostolo Tommaso col dito puntato verso l’alto. La sua figura è anatomicamente sproporzionata, ha un braccio troppo lungo, e pare collocata nell’unico spazio disponibile in modo un po’ forzato. Secondo recenti scoperte sui disegni preparatori dell'opera, Leonardo per ricordarsi i nomi degli apostoli li aveva scritti sotto ciascuna figura, perciò si suppone che l'artista avesse dimenticato di inserire Tommaso e che abbia dovuto rimediare in tal modo.

    Altro dettaglio, dalle finestre dipinte sullo sfondo s’intravedono le montagne di colore “avio” (azzurro unito al grigio).

    La prospettiva creata dalla disposizione del tavolo, dagli arazzi raffigurati alle pareti e dal soffitto a cassettoni, induce lo sguardo dell’osservatore verso questo paesaggio naturale, esterno al Cenacolo.

    Nel suo “Trattato di pittura” Leonardo descrive la cosiddetta “prospettiva aerea”, usata nel Cenacolo per realizzare i vari piani del dipinto. Tale prospettiva è qui rappresentata dallo spazio architettonico e dalla diversa cromia: colori “caldi” e tonalità “fredde”, come il verde e l’azzurro.

    Testimonianza del modo di lavorare dell'artista per realizzare il dipinto con l’Ultima Cena l’abbiamo dal noto scrittore e vescovo Matteo Bandello (1485 – 1561), che in quegli anni era nel convento domenicano per motivi di studio. Nella novella 58, del 1497, scrisse: “Soleva […] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove”.

    Leonardo non amava la tecnica della pittura ad affresco la cui rapidità di esecuzione, dovuta alla necessità di stendere i colori prima dell’asciugatura dell’intonaco, era incompatibile con il suo modus operandi, fatto di continui ripensamenti, aggiunte e piccole modifiche, come testimonia anche il brano di Bandello.

    Gli ultimi restauri hanno permesso di comprendere il suo procedimento nell’attività: dopo aver steso un ruvido intonaco e steso le linee principali della composizione con una specie di sinopia, lavorava al dipinto usando la tecnica tipica della pittura su tavola.
    La preparazione era composta da carbonato di calcio e magnesio, uniti da un legante. Prima di stendere i colori passava sulla parete un sottile strato di biacca, per far risaltare gli effetti luminosi dei colori, che venivano stesi a secco.

    All’inizio del 1498 l’Ultima Cena era compiuta. Lo sappiamo da una lettera scritta il 4 febbraio 1498 da fra’ Luca Bartolomeo de Pacioli, noto come Luca Pacioli (matematico ed economista, fondatore della ragioneria contabile), che nel 1497 accolse l’invito di Ludovico il Moro lavorare a Milano. In questa città il Pacioli conobbe l’artista toscano, al quale chiese di realizzare dei disegni in acquerello di 60 solidi geometrici, da inserire nella “Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni et Proportionalita e della Divina Proportione", che scrisse anche con la collaborazione di Leonardo, poi pubblicata alla fine del 1498.

    Causa la guerra iniziata dal re di Francia Luigi XII contro il ducato di Milano e la rivolta del popolo milanese oppresso dalle tasse, l’1 settembre 1499 Ludovico il Moro fuggì da Milano. Scapparono anche i cortigiani. Pure Leonardo da Vinci e il Pacioli lasciarono la città.

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    Ultima modifica di doxa; 02-04-2023 alle 08:09

  8. #8
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    Cono, è ora di andare. Lasciamo le mura conventuali, attraversiamo piazza Santa Maria delle Grazie per entrare in una storica dimora privata allocata in Corso Magenta (numeri civici 66 e 67). L’edificio prospetta sul lato sinistro della basilica.

    E’ la “Casa degli Atellani”, che ospitò anche Leonardo da Vinci negli anni in cui realizzò l’Ultima Cena, ed è citata in alcune novelle di Matteo Bandello.



    Come già detto in un precedente post, la chiesa di San Domenico, con annesso convento per i frati domenicani, dal 1492 fu ristrutturata e ampliata, poi dedicata a Santa Maria delle Grazie.

    Nella zona circostante c’erano terreni incolti o dedicati a vigne e ortaggi. Ludovico il Moro diede il permesso di erigerci un quartiere residenziale per gli uomini della sua corte. E gli Atellani erano una famiglia di cortigiani sforzeschi, ai quali il duca di Milano donò due case in quell’area.

    Perché erano detti “Atellani” ? Perché Giacomotto della Tela, capostipite di questa famiglia, era originario di Atella (prov. di Potenza), in Basilicata.

    Era un valoroso uomo d’arme, che seppe conquistarsi la stima e la fiducia di Ludovico il Moro, allora, ancora reggente insieme al nipote. Fece la sua fortuna, diventando scudiero ducale.

    Per la sua dedizione, il Moro, nel 1490, in segno di riconoscenza per la fedeltà gli donò una bella casa con giardino, acquistata alcuni mesi prima dai conti Landi di Piacenza, che avevano deciso di trasferirsi.

    I maligni del tempo insinuarono però che la casa non era destinata al fedele Giacomotto, ma alla sua bella moglie, di nome Macedonia. Alcuni sostenevano infatti che la giovane donna fosse diventata l’amante segreta del duca e che la casa servisse alla coppia clandestina per gli incontri amorosi.

    Quando nel 1494 ebbe il pieno potere Ludovico il Moro cominciò ad incrementare il proprio patrimonio immobiliare, acquistando ville o abitazioni dentro e fuori le mura della città, anche se a lui non servivano, le usava come strategia del “do ut des”: donava case o terreni per sdebitarsi con chi vantava crediti nei suoi confronti, oppure per iniziare a tessere, con personalità di spicco, la rete diplomatica di alleanze, indispensabile per il mantenimento degli equilibri politici.

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    Ultima modifica di doxa; 01-04-2023 alle 19:55

  9. #9
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    parziale veduta dell’edificio nel prospetto verso il giardino


    un’altra parziale veduta dell’edificio che prospetta sul giardino interno.

    Notare sullo sfondo, quasi al centro della foto, la cupola emisferica, sovrastata dalla lanterna, della basilica di Santa Maria delle Grazie. La cupola poggia su un basso tamburo con loggiato lungo tutta la circonferenza, con bifore aperte e bifore chiuse.

    Le cronache dell’epoca riferiscono che la “Casa degli Atellani” era famosa per l’intensa attività mondana: cene, musica, balli, feste. Ma la sua “età dell’oro” finì nel 1535, l’anno in cui Francesco II Sforza, secondogenito di Ludovico il Moro, morì, e il Ducato di Milano passò agli spagnoli.

    In una parte dell’area dove c’è il giardino, nel 1498 Ludovico il Moro, soddisfatto del dipinto “Ultima Cena” nel refettorio dei Domenicani, donò a Leonardo un vigneto di circa 16 pertiche, circa 8 mila metri quadrati di terreno.

    Leonardo usufruì della vigna solo due anni perché nel 1499, causa l’avanzata delle truppe francesi che invasero il ducato di Milano, fu costretto a lasciare Milano e rifugiarsi a Mantova insieme al Pacioli. Furono ospiti dei marchesi Isabella d’Este e Francesco II Gonzaga.

    Prima di abbandonare Milano affittò la vigna al padre di Gian Giacomo Caprotti, suo allievo, detto il “Salai” o il “Salaino” (da “Sala[d]ino”).

    La precauzione di Leonardo, per evitare che la vigna finisse in mani ‘sbagliate’, non servì a nulla, perché i francesi, insediatisi in città, misero in discussione la donazione che gli fece Ludovico il Moro. Confiscarono il suo appezzamento di terreno per darlo a tal Leonino Villa, “maestro delle entrate straordinarie” nella Corte sforzesca, poi passato al servizio dei francesi.

    Quando, nel 1507, per fargli concludere alcune opere non completate, re Carlo VIII di Francia, chiese a Leonardo di tornare a Milano, da Firenze dov’era, il Maestro condizionò il suo rientro, alla restituzione della vigna confiscatagli.

    Di fronte alle inconfutabili argomentazioni di Leonardo, fu lo stesso re a ordinare l’immediata riconsegna del bene al Maestro. La vigna ritornata così in suo possesso, restò tale fino alla sua morte.

    Nel testamento redatto il 23 Aprile 1519, pochi mesi prima di morire, Leonardo dispose che la vigna venisse divisa in parti uguali fra Salai e il suo servitore Batista de Vilanis, che lo aveva seguito al castello di Clos-Lucé ad Amboise, dove il maestro trascorse suoi ultimi anni, protetto da Francesco I re di Francia.


    Anche per i della Tela gli avvenimenti militari furono avversi. Dopo la cattura di Ludovico il Moro da parte dei francesi, subirono la confisca dei loro beni e costretti all’esilio.

    L'ingegnere Zanni Zacevini nel blog titolato "Divina Milano" ci fa sapere che

    "Francesco II, figlio di Ludovico il Moro, nel 1521, era riuscito a riconquistare il Ducato di Milano. Carlo e Lucio Scipione, figli di Giacomotto della Tela, in qualità di tesorieri dello Stato e cortigiani del Duca, riuscirono, con la loro fedeltà agli Sforza, a rientrare quell’anno stesso, in possesso sia dei loro beni, che della loro casa.

    Dettero subito avvio ad un’importante opera di ampliamento e di restauro. Affiancarono al quattrocentesco edificio un nuovo palazzo (Corso Magenta n. 65), disposto intorno ad un porticato che, verso il giardino ricoprì la precedente architettura in terracotta con affreschi di paesaggi, castelli merlati, cavalieri ecc. di autore ignoto. Le due case erano comunque contigue, ma distinte, così come pure il cortile, diviso da un muro.

    Bernardino Luini, affrescò per loro, nella sala prospicente il giardino, delle lunette con i ritratti degli Sforza. Gli originali di questi dipinti, sono ora conservati nel castello sforzesco. La fronte interna venne decorata con eleganti motivi floreali culminanti in un nastro continuo con disegni di armi e munizioni, disposto lungo la gronda, parte del quale si trova oggi nella sala da pranzo del primo piano. Sono quelli gli ultimi istanti di gloria di questa casa.

    In effetti, la Casa rimase proprietà della famiglia Atellani, fino al 1557. Dopo Carlo e Lucio Scipione, l’ultimo dei della Tela ad abitarvi saltuariamente fu, Camillo, figlio di Lucio, valoroso condottiero al servizio di Carlo V (re di Spagna), in Piemonte. Poi la casa passò definitivamente in mano agli spagnoli.

    Nel 1557, sotto Carlo V, la proprietà passò alla famiglia del conte Taverna che, con alterne fortune, la tenne fino ai primi dell’Ottocento. Dopo di loro si avvicendarono i Pianca che (nel 1823 fecero ristrutturare l'edificio) 50 anni dopo cedettero la proprietà ai Marchesi Martini di Cigala.

    Nel 1919, il senatore Ettore Conti, pioniere della “regia energia elettrica lombarda”, acquistò il complesso immobiliare (in pessimo stato di conservazione) per destinarlo ad abitazione per la sua famiglia. Essendo già in rapporti parentali col giovane architetto Piero Portaluppi (1888 – 1967), cui aveva precedentemente fatto progettare alcune delle sue centrali elettriche, (localizzate in val d’Ossola), pensò di affidare a lui l’incarico per effettuare il restauro della sua nuova casa".


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    Ultima modifica di doxa; 02-04-2023 alle 15:10

  10. #10
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    Come già detto nel precedente post, nel 1919 la quattrocentesca dimora con il grande giardino fu acquistata dal senatore Ettore Conti di Verampio.

    La fece ristrutturare e restaurare dall’architetto milanese Piero Portaluppi, che nel giugno 1913 sposò Lia Baglia, nipote di Ettore Conti, e da questo adottata nel 1939.

    L’allora 34/enne Portaluppi conservò l’originario stile rinascimentale dell’abitazione, ma ne fece modificare la pianta interna, riportare alla luce gli affreschi del XV e XVI secolo che decorano alcune sale.



    “Abbatté il muro che separava i cortili confinanti delle due case, accorpando in una sola, le due corti preesistenti, creando un nuovo atrio porticato, che dava direttamente accesso all’ingresso dell’appartamento padronale. In fondo al primo cortile, vennero riportati alla luce dei portici rinascimentali in cui era visibile la decorazione ad affresco di paesaggi e scene campestri, probabilmente dipinti nel 1533 in occasione del matrimonio fra Francesco II Sforza e Cristina di Danimarca. Durante le opere di restauro, furono pure rinvenute delle porzioni di finestre in cotto, tipiche del Quattrocento”, narra l’ingegner Zacevini nel citato blog “Divina Milano”.

    Dopo tre anni di lavori la “Casa degli Atellani” venne “inaugurata” nel 1922, in occasione delle nozze d’argento di Ettore Conti e Gianna Casati.

    Ma nella notte del 13 agosto 1943, durante la seconda guerra mondiale, il centro storico di Milano fu bombardato per circa un’ora soprattutto con bombe incendiarie. Subirono ingenti danni numerosi edifici, fra i quali il duomo, la Galleria Vittorio Emanuele II, il vicino Palazzo Marino (sede del Comune), la chiesa di San Fedele, il Castello Sforzesco, la basilica di Santa Maria delle Grazie con l’annesso convento, nella Casa degli Atellani furono abbattuti le sale di rappresentanza del primo piano: la sala Omnibus, la sala del biliardo, e il salone degli Specchi.

    Alla fine del secondo conflitto mondiale l’architetto Piero Portaluppi fece ricostruire le parti danneggiate. Si occupò dei restauri e dell’ulteriore trasformazione, necessaria dopo i bombardamenti del 13 e 16 agosto 1943.
    E l’edificio che oggi ammiriamo è comunque diverso da quello che era l’originaria “Casa degli Atellani”.

    Un’area dell’attuale ampio giardino faceva parte di quel che era la “vigna di Leonardo”.

    Nel 2007 con la collaborazione della facoltà di Scienze Agrarie dell’Università di Milano, di Confagricoltura e della Fondazione Piero Portaluppi, la famiglia Castellini, all’epoca proprietaria della “Casa degli Atellani, fece fare degli scavi nel giardino per individuare e analizzare i residui biologici della vigna originale di Leonardo.
    Le ricerche genetiche permisero di scoprire il tipo di vitigno: la “Malvasia di Candia aromatica” (dal nome veneziano dell’isola di Creta), diffuso nell’Oltrepò pavese, sulle colline delle province di Piacenza e Parma.

    Nel 2014 vennero messe a dimora le "barbatelle" del tipo di vitigno coltivato da Leonardo e la vigna fu inaugurata il 20 marzo dell'anno successivo in occasione dell'Expo 2015.

    Ed ecco la vigna



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    Ultima modifica di doxa; 02-04-2023 alle 15:51

  11. #11
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    Veduta parziale del grande giardino di Casa Atellani.



    L’attuale proprietario del complesso immobiliare è il gruppo finanziario LVMH, del ricco francese Bernard Arnault, 73 anni, nato a Roubaix, chief executive officer di LVMH che controlla marchi come Vuitton, Bulgari, Dior, Fendi, Givenchy oltre allo champagne Moët & Chandon. Nel 2013 acquistò la Pasticceria Cova di via Montenapoleone.

    Non è noto l’uso che LVMH farà dell’immobile. Se deciderà di smantellare la ricostruita vigna leonardesca. Comunque è ancora aperto al pubblico per le visite; ci sono anche 6 appartamenti per brevi permanenze, a prezzi consoni con la location.





    Sala dei ritratti


    lo studio di Ettore Conti

    Cono, in modo sintetico mi sembra di averti descritto l’essenziale riguardo al Cenacolo e la Casa degli Atellani.

    Dobbiamo riprendere il nostro cammino. Faremo la passeggiata fino al duomo per prendere la metro fino alla stazione centrale. Poi con il “Frecciarossa” o con “Italo” torneremo a casa.

    Ti attende la "Settimana Santa" e molto lavoro...

    Ti ringrazio per la piacevole compagnia a Milano…

    Arrivederci alla prossima occasione !
    The end

  12. #12
    رباني L'avatar di King Kong
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    Citazione Originariamente Scritto da doxa Visualizza Messaggio


    L'Ultima Cena

    segue
    Permettimi di aggiungere una nota frivola.
    Secondo alcuni, nella rappresentazione degli apostoli a gruppi di tre, vuole rappresentare anche lo zodiaco sottolineando il carattere dei vari personaggi secondo l'astrologia.
    Da destra a sinistra...
    Simone a capotavola, fronte alta, entrambe le mani rivolte verso il resto dell'assemblea rappresenterebbe il segno dell'ariete, primo dello zodiaco e del gruppo della primavera.
    Giuda Taddeo, collo possente, spalle robuste, il gesto della mano come a chiedere ulteriori spiegazioni... segno del toro, primo segno di terra che esige una spiegazione fondata sui fatti.
    Matteo , terzo e ultimo segno della primavera che chiude il primo gruppo. L'attenzione rivolta a Simone e le mani che indicano nella direzione opposta, tipico atteggiamento dei gemelli.
    Filippo "Sono forse io, signore?" e le mani sul cuore. L'eterno senso di colpa del cancro, primo segno del gruppo dell'estate.
    Giacomo Maggiore Iconico atteggiamento del Leone! Fermi tutti! La scena é mia, io prendo in mano la situazione! È nel pieno dell'estate.
    Tommaso Il dito alzato (che poi vorrà mettere nel costato di Gesù) e che in realtà cerca di fare un ragionamento razionale, quasi a rispondere alle pretese di Giuda Taddeo. Si tratta infatti del secondo segno di terra, la Vergine.
    Giovanni, il prediletto, con lineamenti femminili che reagisce equilibrato alla reazione impetuosa di Pietro é infatti da assegnare al segno della Bilancia, primo segno dell'autunno.
    Giuda, lo Scorpione, il traditore, osserva e ascolta la reazione degli altri e ha già in mano la borsa del tradimento.
    Pietro, istintivo, fatta salva l'osservazione di Fiammetta, ha già pronto il coltello. Metà uomo e metà animale incontrollabile, come il Sagittario, segno di fuoco.
    Andrea che reagisce con certezza al dilemma espresso da Gesù. "Non sono io". Mentre Gesù ha entrambe le mani sul tavolo, Andrea le tiene sospese di fronte a sé, pronte a respingere ogni sospetto con argomenti. È la maturitá del Capricorno.
    Giacomo Minore, mentre Andrea si limita ad affermare una verità, Giacomo M. la mette in atto, una mano sulla spalla di Andrea e una su quella del violento Pietro cerca di riportare l'equilibrio nello scompiglio provocato dalle parole di Gesù. È l'Acquario, nobile, raffinato, creativo, ispirato che interviene senza eccessi.
    Bartolomeo che infine chiude la scena in piedi, entrambe le mani salde sul tavolo a concludere il ciclo dei caratteri che in maniera così diversa hanno reagito all'evento. Con il segno dei pesci finisce così il gruppo dell'inverno e si conclude l'anno zodiacale.
    Aut hic aut nullubi

  13. #13
    Opinionista
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    Grazie King, per il tuo piacevole contributo

  14. #14
    Sovrana di Bellezza L'avatar di ReginaD'Autunno
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    In un incantevole paese della regione dei trulli
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    Grazie ad entrambi per il piacevole e bellissimo contributo a questa sezione del forum!
    Corteggiata da l'aure e dagli amori, siede sul trono de la siepe ombrosa, bella regina dè fioriti odori, in colorita maestà la rosa CLAUDIO ACHILLINI

  15. #15
    Opinionista L'avatar di Escolzia
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    10/08/16
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    Ricordo due piccoli aneddoti, raccontati dalla guida durante la visita al Cenacolo: alla sinistra di Gesu in realtà siede Maria Maddalena (nuova ipotesi interpretativa); e il triangolo capovolto formato dal braccio di Cristo e quello di Giovanni( Maria Maddalena?).
    maria.jpg
    Ultima modifica di Escolzia; 02-04-2023 alle 19:49

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