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Discussione: "... so che un paese ci vuole"

  1. #1
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    "... so che un paese ci vuole"

    Dedico questo post alla nostra regina d'Autunno e al paese che ama




    “La luna e i falò” è l'ultimo romanzo dello scrittore Cesare Pavese. Lo scrisse tra il 18 settembre e il 9 novembre 1949, poi pubblicato nell'aprile del 1950. Si suicidò il 27 agosto 1950.

    Il libro racconta la storia di un uomo che, dopo aver vissuto molti per anni negli Stati Uniti torna sulle colline delle Langhe alla ricerca della sua infanzia.

    La narrazione s’inoltra tra passato e presente, fra eventi sparsi nel tempo e nello spazio, collegati tra loro solo dai pensieri e dalle riflessioni del protagonista, soprannominato “Anguilla”.

    L'evocazione dei ricordi è vissuta insieme e attraverso il vecchio amico falegname Nuto, che era stato per Anguilla una figura paterna e che è sempre rimasto nel paese, vivendo i cambiamenti determinati dalla guerra.


    Nuto: "Che cos’è allora un paese per te ?”

    Anguilla: “Non lo so, ma so che un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.
    Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.


    Forse queste parole sono l’essenza del romanzo. Il narratore, emigrato e di età ormai matura, torna nel luogo della sua infanzia e giovinezza e scopre che tutto è mutato, l’esistenza dei compaesani è divenuta più difficile.

    Credo che accada a tutti, tornando nel luogo natio di provare la stessa esperienza.

    Ritrovare alcuni odori, vedere i volti invecchiati, alberi sopravvissuti, edifici decadenti. Affiora, così, la nostalgia. Il flusso del tempo che passa ha sommerso quella società un tempo contadina.

    Non rimane al narratore che ripartire verso un orizzonte lontano.

    Ultima modifica di doxa; 06-08-2023 alle 11:44

  2. #2
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    E' forte il legame fra il "paesano" e il paese, non solo nella nostra cultura; è questione di identità.

    Tante volte abbiamo ascoltato da altri la domanda: “di dove sei ?

    Io prima di fare tale domanda, mentre l’interlocutore parla cerco di indovinare il suo luogo di provenienza. Poi chiedo conferma a lui stesso.

    “Io sono di…”, quel “di” evoca la “scaturigine”, l’appartenenza al paese d’origine, come un “marchio” che segue l’individuo oppure come un codice fiscale per tutta la vita.

    Già, “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”.

    Ma in che modo il paesaggio urbano e naturale diventano luogo è riferimento per l’identità di un individuo ?

    Quale ruolo essi hanno nel processo di costruzione dell’identità dei bambini e degli adolescenti ?

    Il tempo trascorso in un locus è un importante fattore per la costruzione identitaria.

    Da ricerche di psicologia ambientale risulta che i ragazzi non provano verso il proprio luogo di vita un forte senso di appartenenza. Il legame è prevalentemente inconsapevole.

    Diventa palese se c’è il distacco forzato, come nel caso dell’emigrazione. Penso ai milioni di italiani che per motivi economici furono costretti a lasciare il loro paese con la speranza di trovare lavoro e benessere nella nazione di arrivo. Molti di loro fecero il viaggio di sola andata. Partivano con tristezza, nostalgia, lacrime, sapendo che non era certo il loro ritorno in patria.

    Da qui l’interiorizzazione del luogo natio inteso come spazio assoluto ed incomparabile, specie per le persone anziane lontane dal territorio della loro infanzia e giovinezza.

    Un ruolo importante ce l’hanno i ricordi e le esperienze che i ragazzi associano ad essi.

    Ultima modifica di doxa; 06-08-2023 alle 20:45

  3. #3
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    L'invasione edilizia ha trasformato paesi e città.

    A volte per motivi parentali torno nel luogo di mare che mi ha visto durante l'infanzia e l'adolescenza. Luogo che amavo, ma dagli anni '60 dello scorso secolo è stato trasformato in un locus adatto al nostro tempo. Tanti palazzi e palazzine, nuove strade, fabbriche, ecc..

    Quasi immutato è rimasto soltanto il centro storico.

    Ormai mi è indifferente quella località: era il mio luogo identitario, il mio luogo dell'anima. E' diventato un altrove atemporale e atopico.

    Da "luogo" lo considero "non luogo". E penso all'antropologo francese Marc Augé. Nel 1992 pubblicò il libro "Non-lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité". In questo testo "luogo" e "non luogo" li considera due concetti complementari ma distinti.

    "Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale, né storico si definirà un non-luogo" . Sono non luoghi gli spazi relativi al transito e alla circolazione di persone, merci, denaro, informazioni: le stazioni ferroviarie, gli autogrill, i sotterranei della metropolitana, le sale d'attesa degli aeroporti, ma anche i supermercati, le banche, le grandi catene alberghiere e ristorative, i campi nomadi e profughi nelle periferie delle città. Laddove i luoghi esprimono una storia e un'identità precisa, un genius loci, i non luoghi sono privi di storia, anonimi, simili gli uni agli altri. Laddove i luoghi invogliano le persone a stabilire relazioni sociali, i non luoghi si affollano di individui che non comunicano: la vocazione dei non luoghi non è infatti quella di "creare identità individuali, relazioni simboliche e patrimoni comuni, ma piuttosto di facilitare la circolazione (e quindi il consumo) in un mondo di dimensioni planetarie".


    Laddove i luoghi impongono i loro significati e la loro identità ad abitanti e visitatori, i non luoghi hanno significato solo per la loro funzione immediata (ristorazione, trasporto, sosta, ecc.) e sembrano per questo lasciare spazio alla personalità e inventiva di ciascun individuo, mentre invece dettano le stesse condizioni a tutti.

  4. #4
    رباني L'avatar di King Kong
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    Mi ricorda una storia Zen.

    Un vecchio monaco, giunto alla fine dei suoi giorni, intraprese un lungo viaggio per tornare al villaggio dove era nato.
    I suoi giovani compagni di viaggio pensarono di fargli uno scherzo e, arrivati in un piccolo villaggio ai piedi delle montagne , gli dissero:
    "Eccoci arrivati, venerabile maestro, questo é il luogo dove sei nato".
    Il vecchio monaco si commosse e non riuscì a trattenere le lacrime.
    Il mattino successivo, i novizi gli spiegarono la burla e ripresero il cammino.
    Quando, dopo una settimana di cammino, arrivarono al villaggio dove effettivamente il vecchio monaco era nato, questi si rallegrò, ma l'emozione non fu la stessa.
    Aut hic aut nullubi

  5. #5
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    Buonasera King.

    Chissà se fra qualche anno anche a me faranno lo scherzo come al vecchio monaco. Preferisco uscire di scena anziché vivere con la mente non funzionante.

    Se Ulisse partisse oggi per Itaca forse al suo arrivo avrebbe difficoltà a riconoscerla.

    Questo rende ancor più significativo il ruolo dei monumenti, dei borghi antichi, dei centri storici.

    Non viviamo dentro sfere di vetro e il dinamismo socio-economico vuole i suoi spazi.

    La convivenza fra strutture secolari e strutture nuove (meno ambiziose e meno proiettate/progettate per l'"intoccabilità"), forma il connubio tra passato e futuro.

    Nel nostro tempo globalizzato anche i non luoghi agevolano la vita quotidiana delle persone. Per esempio, entrare in un supermercato a Trento o a Palermo, non fa differenza: anche il palermitano che fa la spesa a Trento si sente a suo agio e sa già tendenzialmente come muoversi.

    I non-luoghi danno l'accoglienza amichevole della fruibilità organizzata.

    Il nostro "abitare" contemporaneo è ormai scandito dall'alternanza fra luoghi e non-luoghi, fra "pietre miliari" o "segnalibri biografici" che la nostra esistenza lascia in un posto ed esperienze delocalizzate e serializzate in molti non-luoghi.

  6. #6
    Sovrana di Bellezza L'avatar di ReginaD'Autunno
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    Grazie per la dedica Doxa! Le proprie origini sono sempre importanti e bisogna rispettarle perchè è da lì che proveniamo. Di nuovo!!!
    Corteggiata da l'aure e dagli amori, siede sul trono de la siepe ombrosa, bella regina dè fioriti odori, in colorita maestà la rosa CLAUDIO ACHILLINI

  7. #7
    Opinionista L'avatar di Vega
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    Non è che sia proprio d'accordo con questa definizione di non-luogo. In fondo anche un bosco, se sei solo e non ti relazioni con nessuno, potrebbe essere un non-luogo, ma non credo che verrebbe definito così e l'accento è posto sulla modernità, sul consumismo, le relazioni mancanti, l'alienazione di certi luoghi.
    Io però li definirei sempre luoghi, perché questo sono, anzi, forse luoghissimi proprio perché sono un via vai dell'umanità, ci vedi tante categorie di persone e ci trovi, a seconda della tipoligia, categorie di beni e servizi. E non è detto che un luogo debba sempre servire obbligatoriamente ad un relazionarsi all'altro.
    E' come un dare la colpa ad una stazione, per esempio, di essere quello che è. Ma in fondo la funzione per cui esistono è quella, servire agli spostamenti, essere un punto di passaggio.

    Poi c'è il risvolto della medaglia certo, ma sempre luoghi sono.
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  8. #8
    Luoghi antropologici, non-luoghi, surmodernità... ma perchè complicarci la vita con tutti questi termini?!? Per forza di cose dobbiamo sempre inventarci qualche nuova parola per definire spazi che da sempre esistono?
    E una stazione o un centro commerciale, non sono la stessa cosa di quella che una volta era la piazza del mercato, un campo di calcio, una via di transito?
    Con il massimo rispetto per Marc Augé e tutti gli studi che ha fatto, ma credo che non abbia detto proprio niente di nuovo.

  9. #9
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    Vega e Kanyu: lieta serata !

    Marc Augé con “non luogo” alludeva a quegli ambienti sociali che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici.

    Lo spazio del non luogo è utilizzato da moltitudini in transito che non hanno motivo per relazionarsi tra loro, esempio, negli aeroporti, nelle stazioni, negli alberghi, sulle autostrade, nei supermercati.

    Per Augé i "non-luoghi" non generano identità nei frequentatori, non hanno collegamento con il passato inteso come vincolo storico di un paese o di una comunità.

    Secondo questo studioso ci vuole poco far diventare un luogo in un non-luogo: basta “svuotare” un quartiere dei suoi significati molteplici e stratificati: la zona di un centro storico o di una periferia la si può far diventare solo un contenitore di uffici. I bar, i ristoranti, i negozi si adeguano rimanendo aperti solo in determinati giorni e orari. Le persone che vi risiedono spesso migrano verso le periferie residenziali e nel quartiere avviene la gentrificazione, con l’arrivo di altre persone da altre città, da altre nazioni.

  10. #10


    e se il "non-luogo augiano (o augistico? )", attualmente in auge , fosse un "non-concetto" o una "non-idea"?




    come non-detto. Scusa per il "fuori tema",@doxa. Interessantissimo post.
    Ultima modifica di restodelcarlino; 08-08-2023 alle 17:13

  11. #11
    رباني L'avatar di King Kong
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    Resto all'idea espressa dalla storiella del monaco.
    Il punto non é se il monaco sia diventato più o meno senile.
    Il punto é che i luoghi non hanno un valore intrinseco se non quello che gli attribuiamo.
    Così, ingannato dai suoi novizi, il monaco si commuove quando crede di essere arrivato al suo luogo di nascita e poi non riesce a provare la stessa emozione quando arriva davvero al luogo natale.
    Nello stesso tipo di inganno cadiamo anche noi quando attribuiamo a luoghi, oggetti, scritti un valore che poi si rivela infondato o anche quando ci mettiamo in coda ai modelli che ci vengono imposti.
    Un esempio?
    Leggo mille commenti roboanti e spropositati in rete quando muore qualcuno che non abbiamo mai filato ma che i giornali subito definiscono una grande perdita (artista, giornalista, scrittore, politico).
    Mille commenti, sopratutto in questo periodo, di chi scrive dal luogo di villeggiatura, affollatissimo, carissimo, rumoroso, che però diventa bellissimo, unico, indimenticabile, e "me lo porto nel cuore".
    Lo stesso vale per opere d'arte che nessuno capisce, ma che la critica e la stampa si sbraccia nel definire geniali.
    In poche parole, per i luoghi e non-luoghi vale quello che ci suggeriscono di pensare.
    Il duomo di Milano é un luogo, la stazione centrale no. Perchè mai?
    L'ha detto il filosofo.
    Il colosseo é un luogo (atroce, se ci si pensa un attimo), la stazione Termini (dove personalemente ho vissuto momenti profondamente romantici ed emozionanti) no.
    Una rosa é una rosa é una rosa.
    Il resto é illusione.
    (Senza polemica)
    Aut hic aut nullubi

  12. #12
    Sovrana di Bellezza L'avatar di ReginaD'Autunno
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    Citazione Originariamente Scritto da King Kong Visualizza Messaggio
    Mi ricorda una storia Zen.

    Un vecchio monaco, giunto alla fine dei suoi giorni, intraprese un lungo viaggio per tornare al villaggio dove era nato.
    I suoi giovani compagni di viaggio pensarono di fargli uno scherzo e, arrivati in un piccolo villaggio ai piedi delle montagne , gli dissero:
    "Eccoci arrivati, venerabile maestro, questo é il luogo dove sei nato".
    Il vecchio monaco si commosse e non riuscì a trattenere le lacrime.
    Il mattino successivo, i novizi gli spiegarono la burla e ripresero il cammino.
    Quando, dopo una settimana di cammino, arrivarono al villaggio dove effettivamente il vecchio monaco era nato, questi si rallegrò, ma l'emozione non fu la stessa.
    Evidentemente per il monaco era più bello il luogo dove i suoi novizi gli hanno creduto che fosse il suo paese natale, io personalmente ho vissuto per anni in una città che non era nè il mio luogo natale e nemmeno bella e quando siamo ritornati al mio paese l'emozione era bella ma non c'erano più le persone a cui ho voluto veramente bene, cioè i miei nonni e una mia zia e anzi abbiamo avuto un'accoglienza fredda e distaccata dai parenti di mia madre che sinceramente non ci aspettavamo...
    Perciò Doxa postando Pavese e il romanzo "La luna e i falò", ci ha proprio azzeccato!
    Corteggiata da l'aure e dagli amori, siede sul trono de la siepe ombrosa, bella regina dè fioriti odori, in colorita maestà la rosa CLAUDIO ACHILLINI

  13. #13
    Opinionista L'avatar di Vega
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    Ritrovare alcuni odori, vedere i volti invecchiati, alberi sopravvissuti, edifici decadenti
    Nuovo Cinema Paradiso esprime bene questo ritorno nostalgico al luogo dove si è vissuti e dove alcune cose sono cambiate ma altre in fondo spesso non lo sono, nemmeno le persone.
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  14. #14
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    Brava Vega. Il commovente film "Nuovo Cinema Paradiso" è un buon esempio !

    Nell’ambito della psicologia ambientale si usa il termine “topophilia” per definire il legame di attaccamento che lega le persone ai luoghi.

    Come si sa la parola topophilia deriva dalla lingua greca ed è composta da “tòpos” (= luogo) + “philia” (= amore) .

    Il legame può variare dal semplice piacere di stare in un determinato posto fino al valore affettivo e simbolico che viene attribuito alla casa che abbiamo abitato da bambini, la strada in cui giocavamo fino a tarda sera, la spiaggia nelle nostre vacanze, ecc.. E’ una topografia privata allocata nel nostro immaginario.

    L’ attaccamento al proprio homeland è universale e comune agli individui di tutte le parti del mondo.

    Sono i landmarks i punti di riferimento significativi del paesaggio. Offrono il senso di appartenenza ad un territorio. Ma per legarsi ad esso in maniera profonda è necessario il tempo, che ha una duplice azione sul legame: mentre lo rafforza ne allenta la percezione, la quotidianità, la continua frequenza fa perdere la capacità di suscitare attenzione “consapevole”.

    Ogni luogo e paesaggio vengono “vissuti” anche attraverso il filtro delle esperienze e delle emozioni individuali: perciò ciascuno attribuisce agli elementi del paesaggio valori e significati propri.

    Il contrario della topofilia è la topofobia: dà estraneità, diffidenza o repulsione nei confronti di un luogo.

    Ultima modifica di doxa; 09-08-2023 alle 21:13

  15. #15
    la viaggiatrice L'avatar di dark lady
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    Citazione Originariamente Scritto da King Kong Visualizza Messaggio
    Resto all'idea espressa dalla storiella del monaco.
    Il punto non é se il monaco sia diventato più o meno senile.
    Il punto é che i luoghi non hanno un valore intrinseco se non quello che gli attribuiamo.
    Così, ingannato dai suoi novizi, il monaco si commuove quando crede di essere arrivato al suo luogo di nascita e poi non riesce a provare la stessa emozione quando arriva davvero al luogo natale.
    Nello stesso tipo di inganno cadiamo anche noi quando attribuiamo a luoghi, oggetti, scritti un valore che poi si rivela infondato o anche quando ci mettiamo in coda ai modelli che ci vengono imposti.
    Un esempio?
    Leggo mille commenti roboanti e spropositati in rete quando muore qualcuno che non abbiamo mai filato ma che i giornali subito definiscono una grande perdita (artista, giornalista, scrittore, politico).
    Mille commenti, sopratutto in questo periodo, di chi scrive dal luogo di villeggiatura, affollatissimo, carissimo, rumoroso, che però diventa bellissimo, unico, indimenticabile, e "me lo porto nel cuore".
    Lo stesso vale per opere d'arte che nessuno capisce, ma che la critica e la stampa si sbraccia nel definire geniali.
    In poche parole, per i luoghi e non-luoghi vale quello che ci suggeriscono di pensare.
    Il duomo di Milano é un luogo, la stazione centrale no. Perchè mai?
    L'ha detto il filosofo.
    Il colosseo é un luogo (atroce, se ci si pensa un attimo), la stazione Termini (dove personalemente ho vissuto momenti profondamente romantici ed emozionanti) no.
    Una rosa é una rosa é una rosa.
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    Condivido.
    Il valore di ogni luogo - lasciando perdere ovviamente quello che può essere il valore artistico e storico - ha senso nella misura in cui esso suscita in noi emozioni, ricordi, sensazioni. Vi sono luoghi per ognuno di noi importantissimi e ricchi di emozioni in cui altri non vedranno mai nulla che li induca a fermarvisi più di qualche istante. Si tratta di percezioni molto soggettive, in fondo.
    “Io e il mio gatto... siamo due randagi senza nome che non appartengono a nessuno e a cui nessuno appartiene” [cit. Colazione da Tiffany]

    Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità [cit: Manifesto futurista] .

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