Nel 1969 la docente universitaria Nora Galli de’ Paratesi scrisse il libro titolato “Le brutte parole. Semantica dell’eufemismo”. Uno studio sulla “censura” del linguaggio, sulle parole “proibite”. Lo scopo del testo è quello di trovare le motivazioni psicologiche che vietano di pronunciare una parola, una frase.
Per evitare o sostituire le parole tabu si usa l’eufemismo.
Nel passato l’auto-censura entrava in azione per parole che riguardavano il sesso, la "decenza", oggi si esercita sulle parole del politicamente corretto. Quindi, il potere coercitivo dell'eufemismo dipende dalla società.
Il disagio nel pronunciare o scrivere determinate parole può derivare da vari fattori: il timore di offendere l’interlocutore, l’interdizione religiosa, il pudore, ecc..
Cono che dici se argomento su un’altra “parolaccia” alla romana ? Dopo però devi andare a confessarti se ti sei compiaciuto.
La frase a me interessa soltanto dal punto di vista etimologico e storico, non mi suscita ilarità.
Stasera la frase che ho scelto nel dialetto romanesco è “colorita, “sorge spontanea: “fijo de na mignotta”. Nel Nord Italia prevale “figlio di puttana”, nel Sud, in particolare in Campania, “figlio 'e 'ntrocchia”.
Carlino, ma che significa ‘ntrocchia ?
Secondo un’interpretazione diffusa, l’espressione “fijo de na mignotta”, deriva dalla frase ”filius matris ignotae” (= figlio/a di madre ignota) che veniva scritta sui registri anagrafici per i neonati abbandonati.
Frequentemente l’annotazione veniva abbreviata in: “m. ignotae”. Nel parlato popolare le due parole vennero unite, composte, e formarono il neologismo “mignotta”.
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