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Discussione: A Roma dimo così...

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  1. #1
    Opinionista
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    Nel 1969 la docente universitaria Nora Galli de’ Paratesi scrisse il libro titolato “Le brutte parole. Semantica dell’eufemismo”. Uno studio sulla “censura” del linguaggio, sulle parole “proibite”. Lo scopo del testo è quello di trovare le motivazioni psicologiche che vietano di pronunciare una parola, una frase.

    Per evitare o sostituire le parole tabu si usa l’eufemismo.

    Nel passato l’auto-censura entrava in azione per parole che riguardavano il sesso, la "decenza", oggi si esercita sulle parole del politicamente corretto. Quindi, il potere coercitivo dell'eufemismo dipende dalla società.

    Il disagio nel pronunciare o scrivere determinate parole può derivare da vari fattori: il timore di offendere l’interlocutore, l’interdizione religiosa, il pudore, ecc..

    Cono che dici se argomento su un’altra “parolaccia” alla romana ? Dopo però devi andare a confessarti se ti sei compiaciuto.

    La frase a me interessa soltanto dal punto di vista etimologico e storico, non mi suscita ilarità.

    Stasera la frase che ho scelto nel dialetto romanesco è “colorita, “sorge spontanea: “fijo de na mignotta”. Nel Nord Italia prevale “figlio di puttana”, nel Sud, in particolare in Campania, “figlio 'e 'ntrocchia”.

    Carlino, ma che significa ‘ntrocchia ?

    Secondo un’interpretazione diffusa, l’espressione “fijo de na mignotta”, deriva dalla frase ”filius matris ignotae” (= figlio/a di madre ignota) che veniva scritta sui registri anagrafici per i neonati abbandonati.

    Frequentemente l’annotazione veniva abbreviata in: “m. ignotae”. Nel parlato popolare le due parole vennero unite, composte, e formarono il neologismo “mignotta”.

    segue
    Ultima modifica di doxa; 09-11-2023 alle 13:00

  2. #2
    Citazione Originariamente Scritto da doxa Visualizza Messaggio
    Carlino, ma che significa ‘ntrocchia ?
    Mi dichiaro incompetente per chiarimenti in materia: non ho né ricordi, né testi autorevoli sottomano.....googlare é escluso, evidentemente.
    Bisogna sperare che arecata, esperto verace in partenopeicità (e dintorni), ti legga. O qualche terroncella pisano-albionica o meno

  3. #3
    Vengo citato ede appaio. Quando si fa un'insalata con tutto ciò che c'è disponibile in casa (erbe, sottaceti, tonno, legumi etc. etc.) si chiama MISCAFRANCESCA Immaginate di aver indossato dei capi completamente scoordinati: pantaloncini corti con motivo floreale, stivali da neve e cappello a pois. Oppure - per capirci meglio - entriamo in cucina: preparereste mai un'insalatona abbinando banane, maionese, capperi e piselli? Sperando che la riposta sia "no", possiamo affermare con certezza che si tratti di un'accozzaglia di ingredienti assolutamente casuali. Ecco, se volessi spiegare a chi non è Campano come me in quale contesto si utilizza e cosa vuol dire ammesca francesca farei proprio questi esempi.
    A Napoli con parole swemplici è difficile centrare l'obiettivo dell'offesa.
    Esempio 1) Figli'è zoccola - qui dipende da chi lo dice e come lo dice, si traduce da se, ma può essere un gran complimento all'intelligenza ed alla creatività del prsonaggio cui è diretto, oppure.......
    Lo stesso dicasi per figli'è cantaro dove cantero è il vaso da notte
    2) T'hann accirere (ti devono uccidere) perchè non lo fa l'autore? Perchè in realtà se avesse avuto quest'intenzione avrebbe già provveduto, è, invece, un complimento ed augurio di lunga vita
    Ce ne sono troppi per elencarli tutti
    adesso v'insegno una parola del dialetto partenopeo che ho appreso 40 anni fa e ne avevo più di 40 : ARRASSUSI' -che si traduce in NON SIA MAI
    Esempio : puozz passà nu guaio niro miezz 'e cosce- risposta arrassusì a soreta
    P�nta rh�i h?s potam�s

    arecata � il 2� nick-name di Blasel

  4. #4
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    Ciao Carlino ho seguito il tuo consiglio. Ho scrutato in Internet.

    Grazie anche a te Arecata per il tuo contributo ai modi di dire in dialetto napoletano.

    Vi sintetizzo ciò che ho letto.

    “Figlio ‘e ‘ntrocchia” fa riferimento sia al bambino o adulto “furbo” sia all’individuo che in dialetto romanesco è detto “fijo de na mignotta” (= prostituta): “chill è proprio nu figlio e ntrocchia!”

    L’adolescente “molto sveglio” per la sua età è anche detto “figlio ‘e zoccola”.

    "Durante la Seconda Guerra Mondiale, ci furono molte avventure tra i soldati – alleati e non – e le ragazze napoletane. Eduardo De Filippo ce ne diede un esempio nel film “Napoli Milionaria“, in cui una ragazza che aveva ceduto alle lusinghe di un soldato americano si era ritrovata sola ed in “stato interessante”.

    Numerose le donne che fecero nascere figli di “padri ignoti”. Ci furono famiglie che accettarono il neonato, altre cacciarono di casa le figlie e spesso quelle donne per vivere finivano nelle cosiddette “case di tolleranza”, o peggio, a prostituirsi in strada.

    Cono che dici, quella violenta condanna morale da parte della famiglia derivava da quella inculcata dalla Chiesa cattolica ?
    Ultima modifica di doxa; 08-11-2023 alle 20:54

  5. #5
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    Le tante parole che molti italiani usano, anche lontano da Roma, forse senza sospettarne l’origine capitolina:

    bùfala
    = notizia falsa;

    caçiara = confusione;

    fregnaccia e frescaccia = sciocchezza;

    jella = sfortuna;

    pènnica = sonnellino;

    peracottaro = persona inattendibile e pasticciona;

    scanzonato
    = scherzoso, disinvolto, ironico;

    sfottere = prendere in giro;

    sturbo = svenimento;

    zozzo = sporco;

    cecagna = sonnolenza;

    daje, eddàje = usato come segnale d’impazienza o di disappunto quando accade una cosa spiacevole;

    stacce = rassegnarsi;

    ce pò sta = è possibile, è plausibile, è accettabile.

    Per chi volesse saperne di più vi segnalo il recente “Vocabolario del romanesco contemporaneo”, edit. da Newton Compton, pagg. 480, euro 14,90, elaborato da Paolo D’Achille e Claudio Giovanardi.

    Il dialetto romanesco è come un cocktail: un terzo di origine meridionale, un terzo dal toscano (che risale agli sconvolgimenti demografici avvenuti nell’Urbe tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna), e un terzo dalle successive importazioni e innovazioni, che da Roma capitale si sono irradiate in tutta la penisola.

    Il romanesco contemporaneo, quello che oggi si parla a Roma è un misto di dialetto e lingua “colta”, che produce un “italiano di (de) Roma”.

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