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Discussione: Agape > Carità

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  1. #1
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    seconda parte

    Vediamo la pala d’altare che raffigura il trasporto di Gesù al sepolcro. Nel successivo post descriverò la predella con le immagini delle tre virtù teologali

    Per questa rappresentazione Raffaello si ispirò ad un dipinto del suo maestro, Pietro Perugino: il “Compianto su Gesù Cristo”, realizzato nel 1495, attualmente a Firenze, conservato a Palazzo Pitti.


    Raffaello Sanzio, comparto centrale della pala d’altare Baglioni, olio su tavola, 1507, Galleria Borghese, Roma.

    Dopo la deposizione di Gesù dalla croce sul Calvario (in alto a destra visibili le tre croci, la scala per la deposizione dalla croce centrale e due figure), il corpo di Cristo viene disteso sul lenzuolo per il trasferimento nel sepolcro.

    La scena è composta da due parti, con due gruppi di figure: quello di sinistra è intorno al Cristo morto, quello di destra è attorno a Maria, la madre di Gesù, svenuta.

    Tre uomini sono raffigurati inarcati durante lo sforzo per trasportare la salma, sulla quale si vedono i fori dei chiodi per la crocifissione e la ferita sul costato. Quello dietro il capo di Gesù potrebbe essere Giuseppe d’Arimatea, quello anziano con la barba folta Nicodemo, oppure San Pietro, in genere assente nei dipinti con la scena della Deposizione di Gesù, ma qui identificabile per i colori degli abiti: giallo e verde, tipici della sua iconografia. Nicodemo o Pietro guarda verso l’osservatore.

    Dietro i due è raffigurato l'evangelista Giovanni con le mani giunte nell'atto di pregare.

    Il viso del giovane che sorregge il lenzuolo dalla parte inferiore del corpo di Gesù è quello del defunto Grifonetto Baglioni.

    Al centro della composizione Maria Maddalena dolente, guarda Gesù e gli tiene la mano. Il suo volto è quello di Zenobia Sforza, moglie di Grifonetto Baglioni.

    A destra c'è il gruppo delle pie donne che sostengono Maria, la madre di Gesù, svenuta. Il volto è quello di Atalanta, la madre di Federico, alias Grifonetto. E’ sorretta dalla donna dietro di lei, un’altra le regge il capo reclinato sulla spalla, ancora un’altra, inginocchiata, allunga le braccia per sostenerla.

    I due gruppi principali sono raccordati dal giovane con il volto di Grifonetto, che si proietta all'indietro.

    L'oscuro sepolcro nella roccia aiuta a stagliare i personaggi a sinistra,

    A destra le figure sono nelle vicinanze della collina del Golgota.

    Al centro la veduta è sulle colline e su un castello, ben visibile il maschio. Il panorama è quello della località denominata Antognolla, circa 30 km a nord di Perugia. Al tempo di Raffaello apparteneva alla famiglia Baglioni. La scoperta è avvenuta alcuni anni fa. Alessandra Oddi Baglioni, discendente diretta della committente, sapendo che la tavola era in restauro, chiese di poterla osservare da vicino. In tale occasione la Oddi Baglioni riconobbe il paesaggio di Antognolla, visto molte volte, durante la sua infanzia, quando quel luogo ancora faceva parte dei possedimenti della famiglia.

    In lontananza si vedono le montagne velate dalla foschia.

    L’opera è firmata e datata sullo scalino del sepolcro: “RAPHAEL VRBINAS M. D. VII”, ma è poco visibile.

    Su richiesta del pontefice Paolo V (Camillo Borghese), nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1608, con la complicità dei frati della chiesa di San Francesco al Prato, la composizione raffaellesca, alta cinque metri, fu prelevata e segretamente inviata a Roma. Il papa la donò al nipote, il cardinale Scipione Borghese, che l’aveva ammirata durante i suoi studi universitari nel capoluogo umbro. Di solito Scipione, appassionato d'arte, non aveva scrupoli ad usare ogni mezzo, lecito e illecito, per arricchire la propria collezione.

    Le proteste dei perugini indusse Paolo V a farne fare una copia, commissionata al Cavalier d'Arpino, pittore tardomanierista molto apprezzato a quei tempi. Questo dipinto è conservato a Perugia nel Palazzo dei Priori.

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    Ultima modifica di doxa; 05-01-2024 alle 07:35

  2. #2
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    terza parte

    La predella della Pala Baglioni con le tre virtù teologali è custodita nella Pinacoteca dei Musei Vaticani.

    E’ suddivisa in tre tavolette, le figure sono dipinte a monocromo.

    Nella predella la Carità forse occupava la posizione centrale, fiancheggiata dalla Speranza a sinistra e dalla Fede a destra.


    Iconografia della carità



    Raffaello raffigurò la Carità di profilo, mentre allatta i figli e guarda verso un osservatore.

    Ai lati ci sono due putti alati:

    quello a sinistra ha sulle spalle un braciere fiammeggiante, simbolo della Carità come fuoco che riscalda;

    a destra, il putto versa da un contenitore un grappolo d’uva, segno dell’abbondanza che la carità offre.


    Iconografia della fede



    Un’altra figura femminile raffigura la fede. La donna ha in mano l’ostia e il calice.

    I due putti angelici ai lati sorreggono cartigli con abbreviazioni che rimandano all'Incarnazione.

    Il putto a destra ha il cartiglio con l'iscrizione in latino JHS, cioè Jesus hominum Salvator;

    il putto sulla sinistra reca sul cartiglio l'abbreviazione in greco CPX: è il monogramma di Cristo.



    Iconografia della speranza



    La speranza è rappresentata da una donna in preghiera che crede nella provvidenza divina. Il suo sguardo è rivolto verso l’alto, a Dio.

    I due putti alati suggeriscono di avere la serenità nell’attesa.

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    Ultima modifica di doxa; 05-01-2024 alle 07:37

  3. #3
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    quarta ed ultima parte

    In un precedente post ho scritto che in origine, nel 1507, la pala d’altare “Baglioni” era alta circa 5 metri, composta dalla cimasa, il fregio, la parte centrale con la Deposizione, e la predella, ma poi fu divisa in parti.


    composizione della pala d'altare Baglioni nel 1507

    Nel marzo del 1608 il pontefice Paolo V (Camillo Borghese) fece prelevare la pala-Baglioni dalla chiesa di San Francesco al Prato per donarla al “cardinal-nepote”, Scipione Borghese. Ma la predella rimase nella Cappella di San Matteo, anche detta “Cappella Baglioni”.

    Poi ci furono le campagne militari napoleoniche in Italia, come la campagna militare francese del 1796–1797 con la cosiddetta “Armata d’Italia” comandata da Napoleone I Bonaparte contro il Regno di Sardegna, gli austro-ungarici (“Sacro Romano Impero”) e lo Stato Pontificio.

    Ed anche per la raffaellasca "pala Baglioni" ci furono traversie. Ma per capirle è necessario riaprire i libri di storia...

    In dieci giorni il Regno di Sardegna fu sconfitto e Vittorio Amedeo III costretto a firmare il 28 aprile 1796 l’armistizio di Cherasco. Il 15 maggio dello stesso anno ci fu con i sabaudi il trattato di pace di Parigi con gravose condizioni per il Regno di Sardegna, fra le quali la cessione alla Francia del ducato di Savoia, della contea di Nizza, della contea di Tenda e di Breglio.

    Nello Stato Pontificio, Bologna si arrese alle truppe francesi il 19 giugno 1796. Nella città il 23 giugno 1796 venne firmato l’armistizio fra Napoleone e i rappresentanti dello Stato Pontificio: “armistizio di Bologna”.

    Al Papa furono obbligate contribuzioni in opere d’arte, in denaro (21 milioni di lire, di cui 15 milioni in lingotti d’oro e d’argento), in derrate e in animali, di solito cavalli, muli.

    Nel luglio del 1796 a Parigi iniziarono i negoziati fra la Sede Apostolica e la Repubblica Francese per una pace definitiva, ma non si giunse ad un accordo, perché Napoleone I voleva continuare con le requisizioni per avere denaro, armi, vettovaglie per proseguire a nord lo scontro con l’esercito imperiale.

    Il 19 febbraio 1797 tra la Francia e lo Stato Pontificio fu firmato il “Trattato di Tolentino” (prov. di Macerata), imposto da Napoleone a Pio VI a seguito delle sue vittorie militari. Questo trattato completava (e aggravava) le clausole del precedente accordo (armistizio di Bologna): cessione alla Francia di tutti i territori dello Stato Pontificio a nord di Ancona; l'indennità di guerra passò da 21 a 36 milioni di lire; inoltre, il papa dovette rinunciare alla Romagna, alla città di Avignone con il suo territorio (in Francia). Non basta, lo Stato Pontificio dovette cedere tante opere d'arte conservate nei Musei Vaticani, come il famoso Laocoonte. Statue e Dipinti vennero trasferiti a Parigi.

    I francesi si riservarono il diritto di entrare in tutti gli edifici (pubblici, privati o religiosi) per sottrarre le opere.
    Questa parte del trattato fu estesa con i trattati del 1798 a tutto il territorio italiano. Infatti anche Venezia fu costretta a cedere numerose opere d’arte, tra le quali i cavalli di San Marco e il leone bronzeo, poi tornati per merito dello scultore neoclassico Antonio Canova.

    Gli scopi della Campagna d’Italia comandata da Napoleone I Bonaparte possono essere così riassunti:
    accaparrare quanto più possibile denaro, opere d’arte, generi alimentari, animali e armi attraverso furti e contribuzioni forzate; occupare territori da scambiare al momento delle trattative con l’Impero asburgico.
    La cessione all’Austria della Repubblica di Venezia con il Trattato di Campoformio (prov. di Udine), del 17 ottobre 1797, costituisce l’esempio più noto di tale intenzione. In cambio l’impero austriaco dovette cedere alla Francia alcuni territori, per esempio il Belgio.

    Nel 1797 terminò la prima “campagna militare d’Italia” napoleonica.

    Dal 1797 fino al Congresso di Vienna nel 1815, nei territori conquistati dai francesi in diverse aree d’Europa, le armate di Napoleone effettuarono spoliazioni, sottrazioni e requisizioni di beni e opere d’arte. Dall’Italia trasferirono in Francia molti capolavori, soprattutto a Parigi nel Museo del Louvre.

    Dipinti, sculture, disegni, incisioni, libri, manoscritti, medaglie, strumenti scientifici, oro, argento e gioielli, cristalli, tessuti, oggetti di qualsiasi tipo che avessero un interesse economico e culturale. Numerose opere venivano dalle chiese a seguito delle “soppressioni napoleoniche”: i provvedimenti con i quali gran parte delle istituzioni ecclesiastiche (ordini religiosi, congregazioni, confraternite e simili) venivano cancellate e secolarizzate, i beni venivano requisiti oppure ceduti alle istituzioni civili o al demanio statale francesi.

    Nel 1815 durante il Congresso di Vienna le potenze vincitrici ordinarono alla Francia la restituzione di tutte le opere sottratte, “senza alcun negoziato diplomatico”. Venne affermato il principio di come non ci potesse essere alcun diritto di conquista che permettesse alla Francia di detenere beni e opere d’arte sottratte da spoliazioni militari.
    Ma dopo il periodo napoleonico tante opere d’arte rimasero in Francia, altre furono riportate nei luoghi d’origine, altre ancora finirono nei musei e collezioni in varie parti del mondo. Altre, invece, furono danneggiate.

    Per quanto riguarda la pala d'altare Baglioni,

    la cimasa e il fregio trasferiti in Francia nel 1797, furono riportati in Italia nel 1816. Sono conservati a Perugia nella Galleria Nazionale d’arte.

    Il grande pannello centrale con il dipinto che raffigura il “Trasporto di Cristo morto nel sepolcro” è custodito a Roma nella Galleria Borghese, perciò detto “Deposizione Baglioni” o “Deposizione Borghese”.

    la predella (i pannelli con le Virtù) rimasta a Perugia fin dall’origine nella chiesa di San Francesco al Prato, dopo la chiusura di questa, fu presa dai francesi nel 1797 e riconsegnata all’Italia nel 1816. Dal 1820 è esposta nella Pinacoteca dei Musei Vaticani.
    Ultima modifica di doxa; 05-01-2024 alle 07:40

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