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Discussione: Agape > Carità

  1. #16
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    Caro Cono ti do il bentornato nel forum, a suon di musica. Clicca sul link

    https://www.youtube.com/watch?v=ClQ8pqL27aw

    Dal capitolo 13 della prima lettera di Paolo ai Corinzi hai trascritto il brano 1 – 13 detto “Inno alla carità” o anche “Inno dell'amore”, che esalta la virtù teologale della carità.

    Questa parte dell’inno ti si addice, ne sei "l’incarnazione": “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.

    Facendoti questo elogio sono consapevole che mi debbo aspettare una virtuale “ciavattata” in fronte o sul collo da parte di Vega. Che importa, “la carità è paziente”.

    L’inno si conclude in tal modo: “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!".

    La citazione delle tre virtù teologali, anziché una, mi costringe oggi ad offrirvi in visione l’immagine mariana col Bambino insieme alle tre virtù teologali.

    L’autore del dipinto è un tuo corregionale, il famoso pittore senese del XIV secolo Ambrogio Lorenzetti.


    Ambrogio Lorenzetti, Madonna col Bambino assisa in trono (detta anche “Maestà di Massa Marittima), con le virtù teologali, gli angeli musicanti, i santi e i profeti, tempera e oro su tavola, 1335 circa, Museo d’arte sacra di Massa Marittima (prov. di Grosseto).

    La tipologia mariana è quella della “Eleousa” (la misericordiosa).

    Maria è seduta sullo scanno; ai lati due angeli, uno per parte, ognuno regge un cuscino a rotolo di colore marrone con la funzione di bracciolo del trono; più in alto, altri due angeli, uno a sinistra l’altro a destra, lanciano fiori.

    La Madre di Gesù indossa la tunica rossa e il maphorion di colore blu; regge il Bambino sull’avanbraccio sinistro e con entrambe le mani; ha la testa chinata verso di lui in segno di affetto. Il pargolo, con la tunica rosacea, ricambia l’amore materno con le labbra poggiate sulla guancia della Vergine, mentre si regge con la mano destra sul bordo ornato della tunica della donna.

    Il seggio ha il basamento ligneo tripartito e di diversi colori: bianco quello poggiato in terra, verde quello mediano, dorato quello del trono. Su ognuno dei tre gradini l’iscrizione indica la virtù teologale che vi è seduta.

    Le personificazioni di fede, speranza, carità sono coronate, hanno i capelli biondi ed ali angeliche.

    Le allegorie delle tre virtù.

    Fede (Fides), è seduta a destra sul basamento bianco. Indossa un abito l’abito bianco, tale colore simboleggia il candore della fede: ha la mano sinistra poggiata sul petto all’altezza del cuore; con la mano destra regge un piccolo specchio (lo speculum fidei, allegoria della rivelazione divina che viene mostrata al fedele) nel quale è riflessa la Trinità.

    Speranza (Spes), indossa l’abito verde scuro. Nella simbologia cristiana il verde evoca la speranza. La figura è seduta nel lato sinistro della struttura lignea verde; ha gli occhi rivolti verso l’alto e con le mani sorregge il modello di una torre di 4 piani: per sant'Agostino la speranza è "turris fortitudinis", "torre di fortezza"; per sperare è necessaria la forza morale per non disperare.

    Carità (Caritas), indossa un vestito rosaceo (anziché rosso) ed è seduta sulla pedana del trono, nello spazio tra i piedi della Theotòkos, = Madre di Dio, titolo attribuito a Maria di Nazaret nel 431 durante il Concilio di Efeso.

    La Carità ha le braccia spalancate: nella mano sinistra sorregge un cuore, nella mano destra una freccia, secondo le indicazioni della teologia agostiniana.

    Questo dipinto evoca anche il XXIX canto del Purgatorio (versi 121 – 129).

    “Tre donne in giro da la destra rota
    venian danzando; l’una tanto rossa
    ch’a pena fora dentro al foco nota;

    l’altr’era come se le carni e l’ossa
    fossero state di smeraldo fatte;
    la terza parea neve testé mossa;

    e or parean da la bianca tratte,
    or da la rossa; e dal canto di questa
    l’altre toglien l’andare e tarde e ratte”.


    [= "Tre donne venivano danzando in cerchio accanto alla ruota destra; una era rossa (la Carità) a tal punto che si sarebbe a malapena notata dentro il fuoco;

    la seconda aveva le carni e le ossa che sembravano fatte di smeraldo verde (la Speranza), la terza sembrava neve (la Fede) appena caduta dal cielo;

    e ora sembravano guidate nella danza dalla bianca, ora dalla rossa; e dal canto di quest'ultima le altre assumevano un ritmo di danza lento o veloce"].

    Scrisse Agostino d’Ippona: "caritas est animae pulchritudo" = "la carità è la bellezza dell'anima" (Agostino, Commento alla prima Lettera di Giovanni 9,9).

    Le innovazioni di Lorenzetti in questo dipinto: in basso, in ginocchio, gli angeli musicanti, tre per lato, ognuno ha un diverso strumento musicale: due vielle gli angeli in primo piano, un salterio l'angelo in secondo piano a sinistra, una cetra quello a destra.


  2. #17
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Tutto torna.... tutto è concatenato....

    Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: "Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto"

    Inizio dell' Enciclica Deus Caritas est, Benedetto XVI
    amate i vostri nemici

  3. #18
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    Citazione Originariamente Scritto da restodelcarlino Visualizza Messaggio
    Gli affreschi sono al Museo Nazionale (presso la stazione Termini). O...in libreria :" Le pareti ingannevoli. La villa di Livia e la pittura di giardino"
    di Salvatore Settis
    Allegato 35543
    Grazie per la segnalazione.

  4. #19
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    prima parte

    Fratel Cono "bon matutino". Dopo le tue preghiere del mattino ti offro come colazione virtuale una composizione pittorica di Raffaello Sanzio che comprende anche la personificazione della Carità. Per descrivere quest'opera ho bisogno di "spazio", perciò uso quattro post. Questo è il primo.

    Ti racconto brevemente la storia che indirettamente indusse "il gran pittor d'Urbino" a realizzare la pala d'altare conosciuta come "pala Baglioni".

    Tutto cominciò con le cosiddette “nozze rosse (sangue) dei Baglioni,” nobile casata che in quel tempo aveva il potere a Perugia.

    Il 28 giugno del 1500 si celebrò il matrimonio tra Astorre Baglioni e Lavinia Orsini Colonna. L’evento venne festeggiato con grande sfarzo per 12 giorni: vestiti sontuosi, gioielli ostentati, banchetti gastronomici, balli e canti.

    Il cugino dello sposo, Carlo Oddo Baglioni detto il Barciglia, avido di potere, organizzò una congiura familiare per eliminare Astorre, Guido e Rodolfo Baglioni ed assumere il governo di Perugia. Ebbe la complicità del ventiquattrenne Federico Baglioni (detto Grifonetto) e di altri ambiziosi personaggi.

    Nella calda notte tra il 14 e il 15 luglio le residenze dei Baglioni furono assaltate e i Signori di Perugia assassinati. Dalla strage si salvò Gianpaolo Baglioni che riuscì a fuggire.

    Compiuta la strage i congiurati tentarono di aggregare altri maggiorenti perugini, ma inutilmente.

    Nel frattempo Gianpaolo radunò degli armigeri e con loro il 16 luglio tornò a Perugia. I congiurati scapparono ma non Grifonetto, che fu ucciso in strada. Aveva 23 anni. All’età di circa 18 anni sposò la bella Zenobia Sforza (anche lei ritratta da Raffaello), dalla quale ebbe tre figli.

    Il corpo di Federico fu tumulato a Perugia nella Cappella funeraria di famiglia, dedicata a San Matteo, nella Chiesa di San Francesco al Prato.

    Nel 1505 circa, la madre, Atalanta, commissionò a Raffaello, quell'anno presente a Perugia per altri impegni, "un Cristo morto portato a sotterrare", da collocare sopra l’altare sovrastante la tomba del figlio.

    L’artista urbinate nel 1507 completò il dipinto sul quale scrisse il suo nome: RAPHAEL URBINAS MDVII, sullo scalino in basso a sinistra, ma è poco visibile.

    In origine la composizione era alta circa 5 metri, composta dalla cimasa, il fregio, la parte centrale con la Deposizione, e la predella, ma poi la composizione fu divisa in parti.


    com'era strutturata la pala d'altare Baglioni nel 1507

    Nella cimasa, dipinta ad olio su tavola, è personificato Dio benedicente a mezza figura, con folta barba bianca, testa inclinata verso il basso, circondato da angeli. Questo dipinto fu eseguito dal pittore Domenico Alfani, collaboratore del Sanzio.
    La cimasa è conservata a Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria.


    Il fregio, in origine un’unica tavoletta di legno, poi divisa in quattro segmenti; alcune parti sono disperse.
    Ci sono quattro coppie di putti alati seduti su teste di ariete, che offrono vasi con frutti a otto grifi coronati. La corona allude o allo stemma di Perugia, o a Grifonetto Baglioni, figlio della committente: Atalanta.


    Raffaello Sanzio, frammento del fregio con putti e grifi, 1507. Tempera su tavola, 21 x 37 cm. Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria

    Il grande pannello centrale con la scena del “Trasporto di Cristo nel sepolcro” è custodito a Roma nella Galleria Borghese, perciò detto “Deposizione Baglioni” o “Deposizione Borghese”.

    La predella: è divisa in tre tavolette rettangolari dipinte con la tecnica pittorica in monocromo, detta “grisaille”, in italiano “grisaglia”.

    Ognuna delle figure delle virtù è inserita in un tondo nell'ambito di una superficie quadrata. Ai lati di ogni virtù ci sono i putti in finte nicchie, correlati alle figure principali.

    I tre scomparti che formano la predella sono esposti ai Musei Vaticani.


    segue
    Ultima modifica di doxa; 05-01-2024 alle 07:27

  5. #20
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    seconda parte

    Vediamo la pala d’altare che raffigura il trasporto di Gesù al sepolcro. Nel successivo post descriverò la predella con le immagini delle tre virtù teologali

    Per questa rappresentazione Raffaello si ispirò ad un dipinto del suo maestro, Pietro Perugino: il “Compianto su Gesù Cristo”, realizzato nel 1495, attualmente a Firenze, conservato a Palazzo Pitti.


    Raffaello Sanzio, comparto centrale della pala d’altare Baglioni, olio su tavola, 1507, Galleria Borghese, Roma.

    Dopo la deposizione di Gesù dalla croce sul Calvario (in alto a destra visibili le tre croci, la scala per la deposizione dalla croce centrale e due figure), il corpo di Cristo viene disteso sul lenzuolo per il trasferimento nel sepolcro.

    La scena è composta da due parti, con due gruppi di figure: quello di sinistra è intorno al Cristo morto, quello di destra è attorno a Maria, la madre di Gesù, svenuta.

    Tre uomini sono raffigurati inarcati durante lo sforzo per trasportare la salma, sulla quale si vedono i fori dei chiodi per la crocifissione e la ferita sul costato. Quello dietro il capo di Gesù potrebbe essere Giuseppe d’Arimatea, quello anziano con la barba folta Nicodemo, oppure San Pietro, in genere assente nei dipinti con la scena della Deposizione di Gesù, ma qui identificabile per i colori degli abiti: giallo e verde, tipici della sua iconografia. Nicodemo o Pietro guarda verso l’osservatore.

    Dietro i due è raffigurato l'evangelista Giovanni con le mani giunte nell'atto di pregare.

    Il viso del giovane che sorregge il lenzuolo dalla parte inferiore del corpo di Gesù è quello del defunto Grifonetto Baglioni.

    Al centro della composizione Maria Maddalena dolente, guarda Gesù e gli tiene la mano. Il suo volto è quello di Zenobia Sforza, moglie di Grifonetto Baglioni.

    A destra c'è il gruppo delle pie donne che sostengono Maria, la madre di Gesù, svenuta. Il volto è quello di Atalanta, la madre di Federico, alias Grifonetto. E’ sorretta dalla donna dietro di lei, un’altra le regge il capo reclinato sulla spalla, ancora un’altra, inginocchiata, allunga le braccia per sostenerla.

    I due gruppi principali sono raccordati dal giovane con il volto di Grifonetto, che si proietta all'indietro.

    L'oscuro sepolcro nella roccia aiuta a stagliare i personaggi a sinistra,

    A destra le figure sono nelle vicinanze della collina del Golgota.

    Al centro la veduta è sulle colline e su un castello, ben visibile il maschio. Il panorama è quello della località denominata Antognolla, circa 30 km a nord di Perugia. Al tempo di Raffaello apparteneva alla famiglia Baglioni. La scoperta è avvenuta alcuni anni fa. Alessandra Oddi Baglioni, discendente diretta della committente, sapendo che la tavola era in restauro, chiese di poterla osservare da vicino. In tale occasione la Oddi Baglioni riconobbe il paesaggio di Antognolla, visto molte volte, durante la sua infanzia, quando quel luogo ancora faceva parte dei possedimenti della famiglia.

    In lontananza si vedono le montagne velate dalla foschia.

    L’opera è firmata e datata sullo scalino del sepolcro: “RAPHAEL VRBINAS M. D. VII”, ma è poco visibile.

    Su richiesta del pontefice Paolo V (Camillo Borghese), nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1608, con la complicità dei frati della chiesa di San Francesco al Prato, la composizione raffaellesca, alta cinque metri, fu prelevata e segretamente inviata a Roma. Il papa la donò al nipote, il cardinale Scipione Borghese, che l’aveva ammirata durante i suoi studi universitari nel capoluogo umbro. Di solito Scipione, appassionato d'arte, non aveva scrupoli ad usare ogni mezzo, lecito e illecito, per arricchire la propria collezione.

    Le proteste dei perugini indusse Paolo V a farne fare una copia, commissionata al Cavalier d'Arpino, pittore tardomanierista molto apprezzato a quei tempi. Questo dipinto è conservato a Perugia nel Palazzo dei Priori.

    segue
    Ultima modifica di doxa; 05-01-2024 alle 07:35

  6. #21
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    terza parte

    La predella della Pala Baglioni con le tre virtù teologali è custodita nella Pinacoteca dei Musei Vaticani.

    E’ suddivisa in tre tavolette, le figure sono dipinte a monocromo.

    Nella predella la Carità forse occupava la posizione centrale, fiancheggiata dalla Speranza a sinistra e dalla Fede a destra.


    Iconografia della carità



    Raffaello raffigurò la Carità di profilo, mentre allatta i figli e guarda verso un osservatore.

    Ai lati ci sono due putti alati:

    quello a sinistra ha sulle spalle un braciere fiammeggiante, simbolo della Carità come fuoco che riscalda;

    a destra, il putto versa da un contenitore un grappolo d’uva, segno dell’abbondanza che la carità offre.


    Iconografia della fede



    Un’altra figura femminile raffigura la fede. La donna ha in mano l’ostia e il calice.

    I due putti angelici ai lati sorreggono cartigli con abbreviazioni che rimandano all'Incarnazione.

    Il putto a destra ha il cartiglio con l'iscrizione in latino JHS, cioè Jesus hominum Salvator;

    il putto sulla sinistra reca sul cartiglio l'abbreviazione in greco CPX: è il monogramma di Cristo.



    Iconografia della speranza



    La speranza è rappresentata da una donna in preghiera che crede nella provvidenza divina. Il suo sguardo è rivolto verso l’alto, a Dio.

    I due putti alati suggeriscono di avere la serenità nell’attesa.

    segue
    Ultima modifica di doxa; 05-01-2024 alle 07:37

  7. #22
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    quarta ed ultima parte

    In un precedente post ho scritto che in origine, nel 1507, la pala d’altare “Baglioni” era alta circa 5 metri, composta dalla cimasa, il fregio, la parte centrale con la Deposizione, e la predella, ma poi fu divisa in parti.


    composizione della pala d'altare Baglioni nel 1507

    Nel marzo del 1608 il pontefice Paolo V (Camillo Borghese) fece prelevare la pala-Baglioni dalla chiesa di San Francesco al Prato per donarla al “cardinal-nepote”, Scipione Borghese. Ma la predella rimase nella Cappella di San Matteo, anche detta “Cappella Baglioni”.

    Poi ci furono le campagne militari napoleoniche in Italia, come la campagna militare francese del 1796–1797 con la cosiddetta “Armata d’Italia” comandata da Napoleone I Bonaparte contro il Regno di Sardegna, gli austro-ungarici (“Sacro Romano Impero”) e lo Stato Pontificio.

    Ed anche per la raffaellasca "pala Baglioni" ci furono traversie. Ma per capirle è necessario riaprire i libri di storia...

    In dieci giorni il Regno di Sardegna fu sconfitto e Vittorio Amedeo III costretto a firmare il 28 aprile 1796 l’armistizio di Cherasco. Il 15 maggio dello stesso anno ci fu con i sabaudi il trattato di pace di Parigi con gravose condizioni per il Regno di Sardegna, fra le quali la cessione alla Francia del ducato di Savoia, della contea di Nizza, della contea di Tenda e di Breglio.

    Nello Stato Pontificio, Bologna si arrese alle truppe francesi il 19 giugno 1796. Nella città il 23 giugno 1796 venne firmato l’armistizio fra Napoleone e i rappresentanti dello Stato Pontificio: “armistizio di Bologna”.

    Al Papa furono obbligate contribuzioni in opere d’arte, in denaro (21 milioni di lire, di cui 15 milioni in lingotti d’oro e d’argento), in derrate e in animali, di solito cavalli, muli.

    Nel luglio del 1796 a Parigi iniziarono i negoziati fra la Sede Apostolica e la Repubblica Francese per una pace definitiva, ma non si giunse ad un accordo, perché Napoleone I voleva continuare con le requisizioni per avere denaro, armi, vettovaglie per proseguire a nord lo scontro con l’esercito imperiale.

    Il 19 febbraio 1797 tra la Francia e lo Stato Pontificio fu firmato il “Trattato di Tolentino” (prov. di Macerata), imposto da Napoleone a Pio VI a seguito delle sue vittorie militari. Questo trattato completava (e aggravava) le clausole del precedente accordo (armistizio di Bologna): cessione alla Francia di tutti i territori dello Stato Pontificio a nord di Ancona; l'indennità di guerra passò da 21 a 36 milioni di lire; inoltre, il papa dovette rinunciare alla Romagna, alla città di Avignone con il suo territorio (in Francia). Non basta, lo Stato Pontificio dovette cedere tante opere d'arte conservate nei Musei Vaticani, come il famoso Laocoonte. Statue e Dipinti vennero trasferiti a Parigi.

    I francesi si riservarono il diritto di entrare in tutti gli edifici (pubblici, privati o religiosi) per sottrarre le opere.
    Questa parte del trattato fu estesa con i trattati del 1798 a tutto il territorio italiano. Infatti anche Venezia fu costretta a cedere numerose opere d’arte, tra le quali i cavalli di San Marco e il leone bronzeo, poi tornati per merito dello scultore neoclassico Antonio Canova.

    Gli scopi della Campagna d’Italia comandata da Napoleone I Bonaparte possono essere così riassunti:
    accaparrare quanto più possibile denaro, opere d’arte, generi alimentari, animali e armi attraverso furti e contribuzioni forzate; occupare territori da scambiare al momento delle trattative con l’Impero asburgico.
    La cessione all’Austria della Repubblica di Venezia con il Trattato di Campoformio (prov. di Udine), del 17 ottobre 1797, costituisce l’esempio più noto di tale intenzione. In cambio l’impero austriaco dovette cedere alla Francia alcuni territori, per esempio il Belgio.

    Nel 1797 terminò la prima “campagna militare d’Italia” napoleonica.

    Dal 1797 fino al Congresso di Vienna nel 1815, nei territori conquistati dai francesi in diverse aree d’Europa, le armate di Napoleone effettuarono spoliazioni, sottrazioni e requisizioni di beni e opere d’arte. Dall’Italia trasferirono in Francia molti capolavori, soprattutto a Parigi nel Museo del Louvre.

    Dipinti, sculture, disegni, incisioni, libri, manoscritti, medaglie, strumenti scientifici, oro, argento e gioielli, cristalli, tessuti, oggetti di qualsiasi tipo che avessero un interesse economico e culturale. Numerose opere venivano dalle chiese a seguito delle “soppressioni napoleoniche”: i provvedimenti con i quali gran parte delle istituzioni ecclesiastiche (ordini religiosi, congregazioni, confraternite e simili) venivano cancellate e secolarizzate, i beni venivano requisiti oppure ceduti alle istituzioni civili o al demanio statale francesi.

    Nel 1815 durante il Congresso di Vienna le potenze vincitrici ordinarono alla Francia la restituzione di tutte le opere sottratte, “senza alcun negoziato diplomatico”. Venne affermato il principio di come non ci potesse essere alcun diritto di conquista che permettesse alla Francia di detenere beni e opere d’arte sottratte da spoliazioni militari.
    Ma dopo il periodo napoleonico tante opere d’arte rimasero in Francia, altre furono riportate nei luoghi d’origine, altre ancora finirono nei musei e collezioni in varie parti del mondo. Altre, invece, furono danneggiate.

    Per quanto riguarda la pala d'altare Baglioni,

    la cimasa e il fregio trasferiti in Francia nel 1797, furono riportati in Italia nel 1816. Sono conservati a Perugia nella Galleria Nazionale d’arte.

    Il grande pannello centrale con il dipinto che raffigura il “Trasporto di Cristo morto nel sepolcro” è custodito a Roma nella Galleria Borghese, perciò detto “Deposizione Baglioni” o “Deposizione Borghese”.

    la predella (i pannelli con le Virtù) rimasta a Perugia fin dall’origine nella chiesa di San Francesco al Prato, dopo la chiusura di questa, fu presa dai francesi nel 1797 e riconsegnata all’Italia nel 1816. Dal 1820 è esposta nella Pinacoteca dei Musei Vaticani.
    Ultima modifica di doxa; 05-01-2024 alle 07:40

  8. #23
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Propongo alle moderatrici e amministratrici del Forum, la medaglia al merito per Doxa: credo di rappresentare tutti con questa richiesta. Nei suoi post non troviamo solo Arte. Ma anche Costume, Cultura e Storia. Medaglia al merito e laurea honoris causa!!!
    amate i vostri nemici

  9. #24
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    Cono, in questo pomeriggio piovoso propongo il noto pittore e incisore bolognese Guido Reni (1575 – 1642) i


    Guido Reni, “La Carità”, olio su tela, 1630 circa, Metropolitan Museum of Art, New York.

    La donna, figura allegorica della Carità, indossa un sontuoso abito rosaceo ed un ampio foulard color nocciola che le copre le spalle e parte della testa.

    I tre bambini hanno i capelli di colore ramato.

    Uno è attaccato al seno materno per la poppata e mentre sugge guarda il viso della donna; quello a fianco ha già soddisfatto la sua fame e dorme; il pargolo vicino al viso della madre col dito indice della mano destra indica la mammella perché vuole suggere la sua parte di latte. La madre lo guarda quasi con un sorriso.
    Ultima modifica di doxa; 07-01-2024 alle 14:31

  10. #25
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    Caro Cono ti presento un tuo vicino, vissuto nel XV secolo: il pittore fiorentino messer Piero Benci, detto “Piero del Pollaiolo”, fratello minore del più noto Antonio Benci “del Pollaiolo”, pittore, scultore e orafo.

    Lo pseudonimo “pollaiolo” ai due artisti deriva, secondo consuetudine fiorentina nel passato, dal mestiere del padre: era un pollivendolo, o “pollaiolo” (in dialetto romano o romanesco si diceva “pollarolo”: questo specifico mestiere-venditore è ormai scomparso).

    Piero nell'estate del 1469 ricevette dal Tribunale della Mercanzia di Firenze la commissione per una “pala” destinata alla sala dell’Udienza nello stesso edificio: raffigura l’allegoria della Carità, oggi alla Galleria degli Uffizi.

    Poi quel tribunale commissionò a Piero un ciclo pittorico di sette virtù: teologali e cardinali.

    Cono se è soddisfatta la tua curiosità riguardante il pollame, passo all’iconografia del dipinto, che al primo sguardo sembra una Madonna del latte, invece un altro attributo la caratterizza come allegoria della Carità.


    Piero del Pollaiolo, Carità, tempera grassa su tavola 1469 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze.

    L’allegoria della Carità ha l’aspetto di una giovane donna che allatta al seno un bimbo, per indicare la sua misericordia verso il prossimo.

    Sui primi tre diti della mano destra sorregge una fiamma, simbolo dell’amore ardente di Dio, che ha corrispondenza sopra la corona che le cinge il capo, dalla quale scaturisce la stessa fiamma.

    [Cono precedo il tuo rimprovero: il sostantivo dito (dal latino dĭgĭtus) ha due plurali:
    il dizionario dice che se mi riferisco alle dita divaricate della mano o a un singolo dito debbo usare il plurale maschile “diti”; se invece alludo al loro insieme debbo usare il plurale femminile: “le dita”].

    La sedia sulla quale è assisa la donna secondo te è un trono o uno scanno ? L’aspetto del seggio mi evoca l’ambiente ecclesiastico e non una regia, perciò va bene “scamnum”, di forma imponente, “solenne”, riservato a persone con speciali funzioni, come in questo caso.

    La figura femminile siede sullo scanno, poggiato su un ornato basamento ligneo; è in un ambiente indistinto che riceve luce dalla parte destra e illumina il suo sontuoso abito in velluto rosso con bordura all’estremità e maniche di color marrone; una cintura avvolge la veste sotto i seni. Notare i sandali tipo “infradito” poggiati sulla pedana.

    Sopra l’abito rosso, richiamo alla passione spirituale, ha un mantello di broccato (color castoro ?) fermato in alto da una preziosa spilla.

    La donna e il bambino hanno i capelli di colore ramato. Il piccolo infante è nudo, sorretto dal braccio sinistro della donna; egli ha staccato le sue labbra dal seno per guardare un ipotetico osservatore.

    p.s. Il Tribunale di Mercanzia, committente del ciclo di dipinti, era l’organo che si occupava delle controversie commerciali dei mercanti fiorentini e amministrava la giustizia fra i componenti delle Arti. Il patrimonio di questa magistratura nel XVIII secolo confluì nella Camera di Commercio, da cui i sette dipinti con le Virtù pervennero alla Galleria degli Uffizi nel 1777.

  11. #26
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    Assolutamente vero che noi toscani usiamo affibbiare soprannomi alle persone partendo dal mestiere del babbo. Il mio ha lavorato per 40 anni alla Sammontana e naturalmente a me, fin da piccolo, mi hanno sempre chiamato "gelataio". Cosa che ho riproposto in parte anche con questo nickname
    amate i vostri nemici

  12. #27
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    Gentile e paziente Cono, la tua fervente fede t’induce al “fioretto” giornaliero: leggere e sopportare cristianamente i miei scritti.

    Ma cos’è il “fioretto” ? Dovrei lasciare a te la risposta per competenza ed urgente ottemperanza, ma in questi giorni sei impegnato in parrocchia a riporre le statue del presepio, perciò lo spiego io.

    Premetto che non so se in ambito cristiano ancora venga sollecitato il “fioretto” dal confessore. Tu sei dell’ambiente e puoi informarci in merito.

    Il sostantivo “fioretto” è una promessa a Dio o ai santi. Simbolicamente sostituisce l’offerta alle divinità di un fiore, perciò si chiama così.

    E adesso mi accingo all’ultimo post in questo topic, per non annoiare e annoiarmi.

    Ho presentato alcuni esempi di personificazione della “Carità” nell’arte, ma questa donna caritatevole è presente anche nei logo di confraternite e di enti assistenziali oppure ospedalieri.

    Due esemplari di origine medievale: il logo dell’Ospedale Maggiore di Novara e quello di Varese.



    Novara: logo dell’Ospedale Maggiore della Carità. Sulla destra la figura femminile allatta un bambino. Insieme a loro ci sono altri due pargoli.



    ingresso nell'ospedale di Novara.




    Nel logo dell'ospedale di Varese c’è una donna che tiene in braccio un bambino e stringe l’altro a sé. Le figure sono accompagnate dalla parola Caritas, rendendo ulteriormente esplicito il riferimento alla carità cristiana.




    The end
    Ultima modifica di doxa; 08-01-2024 alle 15:50

  13. #28
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