Vi va di riflettere sulla tragedia di Paderno Dugnano, amici ed amiche? Sull'incomunicabilità, sulla mancanza di dialogo, sull'assenza dell'ascolto, come scriveva ieri su Avvenire lo scrittore Affinati, sull'incapacità specie dei nostri giovani, di dare un nome alle cose, alle difficoltà che attraversano le loro esistenze?
«A mio parere, il malessere che descrive questo ragazzo che ha ucciso la famiglia è lo stesso di molti altri ragazzi ed è l’incapacità di saper dare il nome alle cose, di saper definire con parole, concetti, idee e immagini quello che si sta provando. Vale per le emozioni che si provano, per le situazioni che si vivono. Una incapacità di analizzarle che diventa un malessere insuperabile. E questo perché sempre più spesso si trascura l’interiorità per proiettarsi verso l’esteriorità, l’essere performanti e tutte le energie vengono fatte confluire verso questo scopo». Non saper descrivere un problema ha come conseguenza non saper chiedere aiuto per quel problema. Specie se non si individua nessuno, e questo pare il caso, con cui confidarsi, specie se non si riesce a trovare una propria collocazione nel mondo: «È una condizione diffusa tra i ragazzi. Spesso sono spaesati dalla vita che fanno e, sembrerà strano ma è così, proprio perché è piena di possibilità, piena di stimoli, di persone con cui misurarsi grazie alla rete e ai social... Il rischio di perdersi c’è ed è alto».
Insegnante e scrittore, Eraldo Affinati non usa mezzi termini: «Di fronte alla tragedia di Paderno Dugnano ho difficoltà a usare il plurale per definire i giovani, gli adulti, le famiglie. Nella ferocia di questo adolescente c’è un’irriducibile singolarità con la quale fare i conti. Mi colpisce – confessa - la solitudine lancinante del giovane omicida: non sociale, ma interiore. Sembra che soltanto adesso, paradossalmente, dopo il triplice assassinio, abbia ricevuto udienza. Ciò chiama in causa tutti noi. Lui voleva parlare e non ha trovato nessuno con cui farlo: dovremmo chiederci perché. Pensare alla rivoluzione digitale, che rischia di isolare tutti noi, non è sufficiente. L’abisso in cui è sprofondato questo ragazzo, prima e dopo la strage che ha commesso, ha qualcosa di raccapricciante che mina alla base la civiltà sociale».
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