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conogelato
«A mio parere, il malessere che descrive questo ragazzo che ha ucciso la famiglia è lo stesso di molti altri ragazzi ed è l’incapacità di saper dare il nome alle cose, di saper definire con parole, concetti, idee e immagini quello che si sta provando. Vale per le emozioni che si provano, per le situazioni che si vivono. Una incapacità di analizzarle che diventa un malessere insuperabile. E questo perché sempre più spesso si trascura l’interiorità per proiettarsi verso l’esteriorità , l’essere performanti e tutte le energie vengono fatte confluire verso questo scopo». Non saper descrivere un problema ha come conseguenza non saper chiedere aiuto per quel problema. Specie se non si individua nessuno, e questo pare il caso, con cui confidarsi, specie se non si riesce a trovare una propria collocazione nel mondo: «È una condizione diffusa tra i ragazzi. Spesso sono spaesati dalla vita che fanno e, sembrerà strano ma è così, proprio perché è piena di possibilità , piena di stimoli, di persone con cui misurarsi grazie alla rete e ai social... Il rischio di perdersi c’è ed è alto».
Matteo Fabris
Insegnante e scrittore, Eraldo Affinati non usa mezzi termini: «Di fronte alla tragedia di Paderno Dugnano ho difficoltà a usare il plurale per definire i giovani, gli adulti, le famiglie. Nella ferocia di questo adolescente c’è un’irriducibile singolarità con la quale fare i conti. Mi colpisce – confessa - la solitudine lancinante del giovane omicida: non sociale, ma interiore. Sembra che soltanto adesso, paradossalmente, dopo il triplice assassinio, abbia ricevuto udienza. Ciò chiama in causa tutti noi. Lui voleva parlare e non ha trovato nessuno con cui farlo: dovremmo chiederci perché. Pensare alla rivoluzione digitale, che rischia di isolare tutti noi, non è sufficiente. L’abisso in cui è sprofondato questo ragazzo, prima e dopo la strage che ha commesso, ha qualcosa di raccapricciante che mina alla base la civiltà sociale».
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