Alcuni anni fa prenotai un viaggio su una nave da crociera, la bellissima Moby Queen.
La nave era comandata da un mio vecchio amico, il capitano Mario Anselmi, il viaggio prevedeva il giro del mediterraneo, si partiva da Genova, poi si costeggiava la Corsica e si faceva scalo alle Baleari, una puntatina in Algeria e Tunisia, infine si rientrava a Napoli.
Il viaggio era previsto ai primi di ottobre, infatti mi arrivò la conferma del viaggio il 3 ottobre.
Il due ottobre mi recai a Genova, volevo pernottare in albergo per godermi il magnifico cibo prodotto in quella città, avevo preso una camera all’Hotel Principe proprio di fronte a porto.
L’albergo era gremito, la cosa mi stupì, in fondo non era alta stagione, solo più tardi scoprì che in quei giorni c’era una importante fiera” Il salone nautico”.
In albergo regnava una certa confusione, le persone entravano e uscivano in tutti i momenti, la cosa non mi interessava per cui decisi di fare una passeggiata prima di cena.
Al rientro presi l’ascensore per salire in camera, appena entrato sentì dei passi dietro di me, dall’incedere compresi che si trattava di una persona giovane, mi voltai e quale non fu la mia meraviglia nel vedere Clotilde Ranieri, la figlia di un mio cliente. Lei non mi riconobbe, si limitò a un saluto generico.
Ero talmente stupito che non osai dire neppure una parola, l’ascensore si fermò al secondo piano e uscimmo entrambi.
Lei aveva un aspetto piuttosto piacevole, vestiva alla moda come la maggior parte delle giovani donne, indossava un abito leggero con sopra una giacca di panno, aveva i capelli raccolti in modo vezzoso, quasi fossero stati acconciati per caso, o con noncuranza, ma si capiva che dietro quella acconciatura c’era un certo stile.
Il suo collo nudo e bianco risaltava in quel luogo angusto.
Entrai in camera e indossai gli abiti per la cena.
Il ristorante era aperto da poco e non c’erano molti clienti. La sala era poco illuminata e questo le conferiva un aspetto un po’ retrò.
Mangiai le trofie al pesto, come sempre quando mi trovavo in quella città, verdure di stagione e una fetta di Cima.
Dopo cena mi recai in camera e lessi un po’ il libro che avevo con me, infine mi addormentai.
La mattina seguente appena fatta colazione pagai il conto e mi recai all’imbarco, avevo una certa eccitazione non posso negarlo.
L’aria fresca del mattino mescolata al profumo del mare mi davano una sferzata di energia e con passo veloce mi diressi verso il porto.
La nave era imponente, salì la scaletta e mi presentai, mi consegnarono la chiave della cabina dove fui accompagnato da un marinaio.
Le cabine di prima classe erano nella parte alta della nave, la cosa mi fece molto piacere, in quanto l’idea di scendere ai piani inferiori mi ha sempre dato una sensazione di claustrofobia.
La cabina era spaziosa e pareva comoda, eppure sentivo addosso una certa impazienza, era da qualche giorno che mi agitavo per inezie, ero un po’ preoccupato per i bagagli che ancora non erano in cabina.
Cercai di stare calmo, perché non volevo farmi trascinare in sterili discussioni con il personale di bordo.
Ispezionai la cabina, mi avvicinai allo specchio del bagno, tutto era in ordine e pulito.
Decisi di andare a salutare il comandante, non volevo dargli nessun disturbo ma volevo assolutamente fargli sapere che ero a bordo.
Uscì dalla cabina e mi recai sul ponte, l’aria del mattino era piacevole nonostante fosse ottobre, sul ponte incontrai alcuni conoscenti che non vedevo da molti anni, li salutai con garbo chiedendo della loro salute, i signori Varzi mi risposero che stavano molto bene e che erano lieti di incontrarmi.
Loro erano proprietari un alcuni palazzi nel mio quartiere e avevamo avuto modo di incontrarci al consiglio comunale.
In quell’occasione discutemmo del sistema di illuminazione che non pareva adeguato a quella zona.
Poco dopo incontrai il comandante, Mario Anselmi, lui, come sempre, mi accolse con una calorosa stretta di mano e mi augurò una buona vacanza.
Mario si allontanò velocemente, a me, parve, anche troppo frettolosamente.
La giornata passò piuttosto lentamente e quasi mi pentì di essere stato così impaziente nel voler salire a bordo.
Vagai per la nave, mi era venuta una strana curiosità di capire chi fossero i passeggeri, c’era una giovane donna col cane, la donna era molto elegante forse pure troppo per quel luogo e quell’ora, infatti indossava un completo bianco di eccellente fattura e alcuni gioielli a parer mio un po’ troppo vistosi.
La nave si riempì lentamente e le persone arrivano alla spicciolata.
Era quasi sera e avevo deciso di andare a cena, la nave sarebbe salpata di lì a due ore, avevo tutto il tempo per mangiare e vedere la partenza dal ponte di poppa.
Appena uscì dalla cabina incontrai un gruppo di persone che avanzava a fatica, avevano parecchi bagagli e la cosa mi parve strana, per un attimo pensai che fossero inservienti, ma a guardarli meglio vidi che erano viaggiatori, erano in quattro tre donne e un uomo, l’uomo era piuttosto corpulento e sudava copiosamente, era rosso in viso, e si muoveva a fatica nel corridoio, dietro di lui tre donne, due giovani e una che pareva un più anziana , costei aveva un cappello nero calato sugli occhi e per questo non la vedevo bene, quando mi passò davanti ebbi modo di osservarla da vicino, e mi accorsi che era piuttosto brutta, aveva un qualcosa di sgraziato nello sguardo, non so spiegare il perché ma ebbi una spiacevole sensazione.
Era pur vero che in quel periodo ogni cosa mi dava noia, ma ciò che avevo letto in quello sguardo non mi piacque per nulla.
Il capitano in quel momento annunciò che ci sarebbe stato un po’ di ritardo, a causa di alcuni bagagli arrivati nell’ultima ora, la cosa un po’ mi stupì, ma non più di tanto.
In effetti non avevo ancora fame e per passare il tempo mi avvicinai a poppa, volevo vedere quali fossero i bagagli che erano arrivati in ritardo, sul molo c’era una grossa automobile e alcuni grandi contenitori, probabilmente si trattava di cibo, in un angolo isolato c’era una cassa di grandi dimensioni, la cassa era molto strana perché era di opale nero, molto lucida.
La guardai incuriosito, chiedendomi cosa potesse contenere, vicino a me c’era un signore di mezza età e anche lui guardava in quella direzione, si girò e mi rivolse la parola.
“Sempre in ritardo, cosa ci sarà di così importante in quella cassa da farci ritardare?” mi chiese con veemenza.
Non seppi cosa rispondere, chinai un attimo il capo e mi allontanai.
La cassa era molto ingombrante probabilmente era lunga almeno tre metri e larga quasi un metro.
Molti passeggeri come me si erano fermati a osservare il trasbordo di quello strano oggetto, che a vederlo da lontano pareva un pianoforte, ma più da vicino ricordava una bara, forse per il suo colore.
Probabilmente, qualcuno aveva un particolare desiderio di portare con se degli oggetti cari.
Seguì la cassa fino all’ingresso sul ponte della nave e fui meravigliato che non venisse portata nelle stive, alcuni uomini la trasportarono verso gli alloggi, a quel punto volevo conoscere la destinazione dell’oggetto, gli uomini si fermarono proprio vicino alla mia cabina, che al momento pareva essere ancora vuota, o almeno è quello che vidi sbirciando all’interno.
Finalmente arrivò la cena, una cena semplice leggera.
La nave partì allo scoccare della mezzanotte, guardai per un po’ le luci del porto mentre ci allontanavamo.
La mattina seguente, mentre facevo colazione scorsi la signorina Ranieri, ero così stupefatto che non badai al cameriere, che mi chiedeva se volessi dell’altro caffè.
Il viaggio sembrava diventare interessante, avevo molte cose di cui occuparmi, la cassa e il mistero della signorina Ranieri e del perché era a bordo.
Durante la mattinata ebbi modo di vedere la famiglia che aveva preso alloggio vicino alla mia cabina, il signor Taddei e sua moglie, erano quella specie di persone volgari, ma non semplicemente comuni, avevano un qualcosa di caratteristico, nei modi volevano essere raffinati, ma a tratti risultavano comici loro malgrado, anche le due ragazze che non erano certo brutte al contrario della madre, che però camminavano in modo goffo e innaturale, provocando risatine al loro passaggio.
Il signor Taddei a volte pareva assumere un tono grave, lui raccontava di essere un artista, ma nessuno sapeva esattamente di cosa si occupasse.
Per nostra fortuna il tempo si mantenne bello, e in poco tempo fummo alle Baleari.
Quella sera ero stato invitato al tavolo del comandante, la cena era alle otto, mi preparai con cura, indossai un abito elegante ma semplice, nulla di ostentato, la camicia bianca con un abito grigio, era pur sempre un abbigliamento rigoroso.
Casualmente a tavola mi trovai vicino alla signorina Ranieri, che in quell’occasione, devo ammetterlo, era particolarmente elegante, i capelli biondo ramato risaltavano sull’incarnato diafano, ma la cosa che mi colpì furono le mani, erano pallide e minute, parevano farfalle, si muovono con grazia, pensai fosse una pianista.
Lei ancora una volta parve non riconoscermi, allorché decisi di presentarmi.
Mi girai verso di lei e le dissi” Permette, sono il Dottor Randini Andrea, un conoscente di suo padre”.
Lei spalancò gli occhi, mi guardò come se non mi vedesse, biascicò qualcosa, si alzò di scatto e si allontanò.
Al capitano la cosa non era sfuggita e mi guardò con aria interrogativa, io alzai un poco le spalle, la cena fu squisita, anche se ero piuttosto rammaricato per quanto accaduto.
Rientrai in cabina alquanto tardi, in quanto mi ero fermato a fare una partita a scacchi con comandante, che contrariamente a quanto pensavo non mi chiese nulla dell’accaduto.
Mentre aprì la porta della cabina, udì una voce di donna che nella cabina a fianco parlava in modo concitato, pareva piangesse, entrai in cabina e cercai di capire, ma la voce si interruppe, dopo un po’ fui vinto dal sonno, forse a causa dell’ottimo brandy.
Eravamo di nuovo in viaggio e volevo vedere sorgere l’alba, mi ero alzato molto presto per stare un po’ all’aperto, appena varcata la porta mi trovai faccia a faccia con la signorina Ranieri, lei divenne di porpora e come la sera precedente si allontanò bisbigliando qualcosa.
Quella mattina mi parve ancora più pallida, aveva il viso un po’ congestionato, tipico di chi ha dormito in malo modo, ebbi un attimo di tenerezza nei suoi riguardi, ma solo un attimo, perché la cosa stava diventando grottesca, non potevo essere io la causa dei suoi mali.
Mi recai sul ponte e guardai l’orizzonte, era ancora scuro ma già si intravedeva un lieve lucore, sulle increspature.
In quel momento si levò un vento improvviso, che mi fece volare via il cappello, poco lontano da me c’era lei , Clotilde, immobile guardava l’orizzonte, il vento le scompigliava i capelli facendo ricadere le ciocche qua e là.
Il mare si ingrossò e le onde presero a sferzare lo scafo, tornai velocemente in cabina, anche la signorina Ranieri si era precipitata in cabina.
Lei entrò rapida come un fulmine, ma io vidi che nella sua cabina c’era la cassa, udì distintamente un verso, che mi dette i brividi.
La tempesta fece rallentare parecchio lo scafo e solo al tramonto attraccammo nel porto di Mostaganem nel golfo di Arzew.
Appena la nave si fermò scesero tutti i passeggeri, me compreso, avevo voglia di toccare il suolo, l’aria era calda e si percepiva un profumo esotico di spezie e cibi, volevo mangiare qualcosa di tipico di quelle zone, ma non avevo preparato una mappa con le zone più importanti della città. Ero un po’ indeciso, così mi fermai in un locale proprio di fronte alla nave.
Ero là da circa quindici minuti quando notai che stavano scaricando qualcosa dalla nave, era la cassa che avevo visto nella cabina della signorina Ranieri, lei seguiva la cassa come in trance, non capivo come mai avesse deciso di farla sbarcare.
Arrivò un camion con due uomini che con l’equipaggio caricano il baule, poi arrivò un taxi dove salì la ragazza, partirono e scomparvero nel buio.
Non sapevo cosa pensare, tutta la faccenda mi sembrava alquanto assurda.
Decisi di continuare il giro nelle stradine intorno al porto, trovai un piccolo ristorantino dove si serviva il cus cus, che apprezzai notevolmente.
Al mio ritorno, la nave pareva aver perso quell’aria festaiola dei giorni precedenti, qua e là c’erano i segni della recente tempesta, i marinai pulivano alacremente.
Era quasi mezzanotte quando sentì bussare, mi alzai e aprì.
La signorina Ranieri era davanti a me, ancora più pallida ed emaciata dei giorni precedenti, quasi svenne tra le mie braccia, l’aiutai ad entrare e la feci accomodare.
Le versai un po’ di brandy, e la pregai di raccontarmi la causa del suo tormento.
Mi fece giurare di non raccontare mai a nessuno quanto mi avrebbe detto, perché era una brutta storia.
Lei lo scorso anno si era sposata con un giovane avvocato e costui era la luce dei suoi occhi, erano follemente innamorati l’uno dell’altra.
Suo padre, il mio cliente, era molto felice per loro, tanto che a suo marito aveva affidato importanti commende.
Enrico aveva fatto tutto con dovizia, ma una mattina si era alzato con uno strano mal di testa, e un eccipiente inizio di calvizie, i capelli iniziarono a cadere, e anche il corpo in breve tempo divenne glabro.
I giorni passarono veloci e la malattia che pareva averlo preso peggiorò di giorno in giorno, fino a quando la sua pelle diventò verde, come quella di una lucertola, gli occhi divennero stretti stretti, le mani molli e palmate, la voce scomparve, al suo posto si udivano strani versi che da lontano parevano dei lamenti, lei era disperata, chiamò a consulto tanti medici, ma nessuno, riuscì a trovare la cura.
Lei lo amava tanto e voleva guarirlo. Un giorno le dissero che in Tunisia c’era un guaritore, ma non sapeva come riuscire a trasportarlo, così avendo saputo della crociera aveva deciso di imbarcarlo clandestinamente, dentro la cassa.
Ma durante la notte suo marito era morto, forse a causa della tempesta, non lo sapeva e così aveva deciso di portarlo nel deserto e seppellirlo là, ma il dolore che provava era talmente devastante che non aveva più l’energia per combattere, questo fu quanto mi raccontò tra i singhiozzi.
Ammutolì, e pregai la signorina Clotilde di consentirmi di aiutarla, lei chiese di poter dormire nella mia cabina perché non aveva più la forza di entrare nella sua.
Da quel dì io e Clotilde non ci siamo più lasciati, ma la notte dormiamo male, perché il ricordo di quei giorni ancora ci tormenta.