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Grazie Nina !
Il libro che ho citato racconta che fin dai tempi antichi il viso è stato oggetto di riflessioni e descrizioni da parte di artisti e letterati.
Teste scolpite oppure dipinte, bambole o maschere, effigi funerarie o personaggi di fantasia come gli dei. Che forma dare a quei volti ? Come rappresentare i sovrani ? Dall’espressione del viso come far capire agli altri chi è buono e chi è cattivo ?
Michelangelo Buonarroti, scultore, pittore e architetto, tra il 1524 e il 1534 fu impegnato nella decorazione della “Sagrestia Nuova” nella basilica di San Lorenzo, a Firenze, e realizzò anche la tomba di Lorenzo de’ Medici, duca d’Urbino, da non confondere con il nonno, Lorenzo il Magnifico (si chiamavano entrambi Lorenzo di Piero de’ Medici).

Michelangelo Buonarroti, tomba di Lorenzo di Piero de’ Medici, duca di Urbino. Cappella de’ Medici, Sagrestia Nuova, chiesa di San Lorenzo, Firenze.
Questa tomba è famosa per le statue del Crepuscolo (sulla sinistra) e dell’Aurora (sulla destra). Nella nicchia al centro, in alto c’è l’allegorica statua di Lorenzo raffigurato come un condottiero di epoca romana.

In questa scultura Michelangelo lo idealizza e lo raffigura come un condottiero malinconico mentre sta pensando.
Al Buonarroti fecero notare che la statua non era somigliante al duca, l’artista rispose dicendo che in futuro nessuno ricorderà le fattezze di Lorenzo. Lo scopo dell’arte è celebrare la gloria degli uomini e trascurare il compiacimento dei contemporanei.
Michelangelo in questa scultura non considera gli attributi del duca, come la barba o la forma del naso, preferendo ideare un volto immaginario, un personaggio eroico che lo simboleggia.
Si può fare il confronto con il dipinto attribuito a Raffaello Sanzio che mostra Lorenzo de’ Medici, duca d’Urbino, in modo più somigliante.

Raffaello Sanzio (attribuito) ritratto di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino, olio su tela, 1516/1519
Nel XVII secolo Gian Lorenzo Bernini a volte scolpiva le statue con la bocca un po’ aperta per dare l’idea che il soggetto stesse respirando.
Nel XIX secolo il pittore e fotografo tedesco Franz Seraph Hanfstaengl inventò il fotoritocco, perché ci sono persone che nelle foto “vengono male”, invece altre sono fotogeniche e “vengono bene” o meglio di come sono dal vero.

Doppio ritratto di Monica Bellucci realizzato dal fotografo Piero Gemelli nel 1996. La sua idea era quella di far apparire in fotografia una sola persona ma come se fossero due.
A differenza del pittore, il fotografo sceglie fra le foto scattate qual è quella giusta. Non necessariamente quella in cui “si è venuti meglio”, ma quella adeguata a ciò che deve raccontare.
Ultima modifica di doxa; 10-01-2025 alle 15:40
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Dall’epoca rinascimentale ebbe notevole diffusione il ritratto quasi fotografico.
Un esempio è il noto dipinto del pittore olandese Jan Vermeer la “Ragazza col turbante”, meglio conosciuto come “Ragazza con l’orecchino di perla”, dal romanzo di Tracy Chevalier, pubblicato nel 1999, da cui è derivato nel 2003 l’omonimo film diretto da Peter Webber.

Jan Vermeer, Ragazza col turbante, olio su tela, 1665 circa, Museo Mauritshuis, L’ Aia, Olanda
A guardarla sembra di trovarsi davanti a lei.
Nel 1696 vennero venduti all’asta tre dipinti di Vermeer, catalogati come “tronie” (in olandese significa faccia), uno di quelli forse era la “Ragazza col turbante”.
“Tronie” è un tipo di quadro che mostra la testa di figure allegoriche, simboliche o curiose: bevitori, fumatori, persone talvolta brutte o che fanno smorfie. Non sono ritratti ma teste decorative che evocano significati morali.
Nella storia dell’arte questo tipo di facce è definito “pseudo-ritratto”.
Un esempio di pseudo ritratto è l’Olympia, realizzata dal pittore francese Edouard Manet.

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Edouard Manet, Olympia, olio su tela, 1863, Musée d’Orsay, Parigi
In questo dipinto il soggetto è una prostituta stesa su un letto, ma l’immagine che vediamo è Victorine Meurent, che faceva da modella per i pittori.
Il quadro evoca la “Venere di Urbino”, di Tiziano. Infatti Manet la copiò nel 1857 quando venne in Italia.

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Tiziano Vecellio, Venere di Urbino, olio su tela, 1538, Galleria degli Uffizi, Firenze.
La raffigurazione è un elogio alla grazia e alla femminilità. Come Venere, è simbolo di amore e bellezza. Il committente, il duca di Urbino, Guidobaldo II della Rovere.
Il quadro rappresenta un’allegoria del matrimonio. Doveva servire come modello “didattico” per Giulia Varano, la giovane moglie del duca: l’evidente erotismo aveva lo scopo di ricordare alla donna i doveri matrimoniali nei confronti dello sposo.
L’allegoria è ancora più chiara nella rappresentazione di Venere, dea dell’amore, come una donna terrena, che fissa in modo allusivo chi la guarda.
Il corpo nudo disteso di fianco sul letto con la parte superiore poggiata su cuscini, ha una lunga tradizione figurativa, in particolare quella veneziana del Cinquecento.
In questo quadro Tiziano ha dipinto una seducente Venere basandosi sull’antica figurazione della Venus pudìca.
La fanciulla è distesa nuda sul letto, le lenzuola sgualcite, guarda lo spettatore in modo allusivo. Con la mano sinistra nasconde la zona pubica, nella mano destra ha un piccolo mazzo di rose, uno dei simboli della dea Venere.
Su un lato del letto, ai piedi della donna, c’è il cagnolino simbolo di fedeltà coniugale, lo stesso che è in un altro dipinto di Tiziano, il “Ritratto di Eleonora Gonzaga”.
Lo sfondo mostra un ambiente di una casa patrizia della Venezia del Cinquecento. Ci sono due ancelle: una è in ginocchio, di spalle intenta a frugare nel cassone istoriato dal quale ha preso il sontuoso abito destinato alle nozze, visibile sulla spalla dell’altra ancella in piedi a destra.
Sul davanzale delle finestra, il vaso di mirto, pianta tradizionalmente legata a Venere, costituisce un ulteriore riferimento alla costanza in amore.
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