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Opinionista
La vita non è un film
La vita non è un film, ma qualche volta ci assomiglia.
Per esempio quando camminiamo, guidiamo o pedaliamo con la nostra musica nelle orecchie e questa sembra aderire perfettamente a ciò che vediamo o ai nostri pensieri come una indovinata colonna sonora.
Questa mattina lasciavo, pedalando, l'abitato e il traffico automobilistico della mattina con 21st Century Schizoid Man nelle orecchie ed entravo nella campagna deserta accompagnato dai delicati flauti di I Talk to the Wind.
Arrivo al campo di cipolle proprio quando il lugubre basso di Epitaph comincia a scandire le sue note come i rintocchi di una campana da morto: la grandine che ieri pomeriggio ha battuto la campagna ha lasciato le sue vittime anche tra la tribù dei MOGA:
I chicchi di grandine, grossi come noci, hanno tempestato le cipolle, ma non tutte si sono arrese, "la garde meurt mais ne se rend pas!" sembrano gridare le sopravvissute, come Cambronne sotto il fuoco degli Inglesi a Waterloo.
Un attimo di sconforto, accentuato dalla funebre melodia di Epitaph e poi penso, "Merde! dai... so' cipolle..." e via a pedalare.
Eh sì, la vita non è un film e anche quando ci assomiglia finisce di merda.
Ma questo non è pessimismo cosmico bensì ottimismo epicureo: come insegna il filosofo greco, quando la vita finisce noi non ci siamo più e merda o non merda, tutt 'e sfaccimma fernesce...
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Opinionista
Al di là di ogni considerazione filosofica, sarebbe interessante capire la ragione del tuo interesse per questo campo di cipolle... 
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Su un'ontologia olistica di un campo di cipolle in fiore sotto la grandine.
Il campo di cipolle era in piena fioritura e in piena contemplazione. Ogni fiore, un pensiero. Ogni bulbo, un io trascendentale. Ogni radice, una tesi sul rapporto tra terra e tempo. Tutto andava secondo l’armonia del ciclo agricolo-mistico, quando il cielo, evidentemente in preda a una crisi isterico-esistenziale, decise di grandinare.
La grandine scese senza alcun preavviso epistemologico. Non bussò. Non chiese permesso. Fu un ingresso brutale nel flusso semantico del campo. I fiori, colpiti in pieno pathos, iniziarono a recitare aforismi in sanscrito immaginario. Alcuni provarono a giustificare il fenomeno con una teoria delle stringhe aromatiche, ma vennero zittiti da un chicco di ghiaccio grosso come un uovo di gallina isterica.
L’ontologia del campo vacillò. Una cipolla, colpita in piena corona floreale, gridò: “Io non sono solo un ortaggio! Io sono un essere relazionale! Un processo! Una sinergia di mucillagini e memoria collettiva!”
Nessuno rispose, ma il lombrico di passaggio prese appunti.
In quell’istante, tutto si fece chiaro. L’essere-nel-mondo-di-cipolla non è mai stato stabile. È fluido, volatile, e leggermente pungente.
Il dolore della grandine era parte del tutto: entropico, caotico, pedagogico, meteorologico, e vagamente punitivo per una colpa che il campo stesso non ricordava. Una vecchia storia di cipolle vietate e mangiate su istigazione di un criceto diabolico.
Alla fine, il silenzio. Le cipolle, semidistrutte, ma filosoficamente evolute, accettarono l’accaduto come manifestazione di un tutto che non prevede sconti orticoli. Greta non intervenne.
Così si concluse la giornata: con bulbi feriti, fiori stropicciati e una nuova consapevolezza vegetale.
I future delle cipolle salirono alle stelle, e quelli dei porri agli inferi.
A wall street, 8 suicidi per speculazioni sulle cipolline allo scoperto in criptomonete.
C'est la vie.
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Opinionista
S’i’ fosse cuoco, cuocerei cipolle;
s’i’ fosse vento, le tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’ en profondo;
s’i’ fosse papa, sere’ allor giocondo,
ché tutte le cipolle imbrigherei
s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
A tutte mozzarei lo capo a tondo.
S’i’ fosse morte, andarei in quel campo;
s’i’ fosse vita, non starei con lui:
abbrucereile tutte con un lampo,
S’i’ fosse furbo, com’i’ sono e fui,
torrei cipolle giovani dal campo
per conservarle per li tempi bui.
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