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Discussione: Il vivere forse

  1. #16
    la viaggiatrice L'avatar di dark lady
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    E' bello davvero questo 3d, e vedere chi riesce a scavarsi dentro così bene... lasciandomi senza fiato e senza parole...
    “Io e il mio gatto... siamo due randagi senza nome che non appartengono a nessuno e a cui nessuno appartiene” [cit. Colazione da Tiffany]

    Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità [cit: Manifesto futurista] .

  2. #17
    Scassambrella L'avatar di Crudeli@
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    La tua capacità di comunicare è grandiosa.
    Esprimi i moti dell'animo come un poeta della vita.
    Sei per me "il poeta della vita".
    Continuerò a leggerti...e ad ammirarti da lontano.
    F i n o a l l ' u l t i m a g o c c i a . . .

  3. #18
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    "Angelo...dai che abbiamo fatto, torna indietro...prendi l'attrezzo e torna indietro..."
    Io credo che quello che F. vedeva mentre diceva queste parole, era solo una persona, io, che, con accanto il distanziometro e la serie di documenti a terra, osservavo semplicemente la voragine sotto di me, il burrone sul cui bordo avevo messo in bolla lo strumento per un lavoro di rilevazione, allora lavoravo con una grande Società di Topografia.
    Quella era l'immagine che il mio capo d'uscita aveva di me in quel momento.
    Non poteva sapere quello che stavo pensando.

    Ciò che mi ha sempre affascinato della nostra breve esistenza è l'abisso incolmabile che esiste tra il pensiero, le cose pensate, il mondo interiore con domande e risposte e silenzi e parole pensate...contro il mondo dell'azione, della parola, delle gesta, del vivere concreto, della fisicità.
    Tempo fà volevo scrivere l'ennesimo libro mai compiuto, una storia in cui l'importanza dei protagonisti era secondaria rispetto al contesto vissuto...tecnicamente volevo distinguere nella forma scritta ciò che i personaggi, che avrei certamente preso da chi ho conosciuto nel tempo, pensavano veramente rispetto alle parole dette alle quali seguivano poi le azioni...attenzione, non bisogna confondere con l'idea di bugia, la bugia è un'altra cosa, il pensiero "non condiviso" ha molta più dignità di una bugia.
    In pratica mi affascina l'idea che il mondo del pensiero è un mondo a sè, che ha i suoi tempi ed i suoi spazi, inperscrutabili per gli altri, tutti, anche le persone alle quali abbiamo dato tutto realmente.
    Sò per certo che il mondo del pensiero è un mondo a sè, e per me ha maggior valore e significato del mondo dell' "agire".
    In forza di questo io "osservo" se chi ho di fronte mi ha "sedotto" nel pensiero, osservo perchè l'importanza che posso dare al mondo esteriorizzato può coinvolgermi o importarmi meno di quello interiore.

    Quando F. mi guardava osservare quel baratro, non poteva sapere che il mio pensiero era già in fondo al dirupo.
    Avevo sentito chiaramente quella voce insana che mi diceva "Questo è il momento, buttati e non avrai più dolore..." Quella volta l'avevo sentita chiaramente, concretamente, non era più dentro, era in fondo al niente.
    Rimasi fisso a guardare per non so quanti minuti, il brivido che ne seguì non l'ho più provato da allora.
    Il primo pensiero era un "non pensiero", stranamente non pensavo più a nulla, lo sguardo oscillava tra il fondo e l'altro confine, poi cominciai ad "entusiasmarmi", si, "entusiasmarmi" perchè arrivò un pensiero che mi diceva che era facile morire, poi arrivò la calma quella che anticipa sempre una tempesta mentale, poi arrivò immancabile come sempre la signora Paura grande amica della Falciatrice Nera, la Paura mi faceva immaginare i miei genitori, il perchè dovevo fargli quello, pensavo a S. che già era mia compagna, pensavo al dolore che qualcuno avrebbe provato, ma pensavo anche a quello che io volevo..., alla fine arrivò la voce del mio collega

    "Angelo...dai che abbiamo fatto, torna indietro...prendi l'attrezzo e torna indietro..."

    ...mi sembra, se non ricordo male, che in macchina, con quello strano accento che hanno le persone di un paesotto vicino la mia cittadina mi disse una cosa del genere:
    "Angelo, Tu certe volte sei strano, sei rimasto fermo...io ti chiamavo da tre ore...avevi perso qualcosa?...Tu scì propr' stran' "

    Non ricordo minimamente quello che gli risposi, forse ho riso...ridere è uno scudo bellissimo che io non ho mai perso. Ma ricordo che ho portato con me il pensiero di quel fondo grigio fino a casa.
    La cagna nera aveva morso, bastarda, aveva morso molto bene...
    Ultima modifica di Hamlet; 21-07-2006 alle 17:15

  4. #19
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    La cagna aveva morso molto bene.
    Cos'

  5. #20
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    No...non è dimenticanza, non scherziamo.
    P.e M. gli altri due, sono gemelli tra loro, non scherziamo...non lì ho dimenticati.
    In questo contesto esteriore ed interiore, ognuno vedeva l'esteriorità dell'altro, se vedeva...l'interiorità è per ognuno di noi e per quanto la psicologia mi affascini, non posso descrivere cosa avevano dentro gli altri, se non per le reazioni esteriori.
    P.e M. hanno assorbito ma in un modo o nell'altro hanno "visto" poco, perchè lo sport, occupati in palestra molte ore, lì ha "allontanati".
    Ho sempre protetto P. e M.
    Mia mamma non era esattamente il tipo di persona che si possa definire calma.Con cinque diavoli come noi, quando eravamo più piccoli, lontani da questi tormenti adolescenziali, oggi capisco che non doveva essere facile, poi era sola, mio padre, che non era esattamente il tipo di persona che si possa definire presente, partecipava solo a "disastri" fatti...e Dio Mio, quante cose abbiamo combinato...immaginate una casa in mano a cinque bambini delle seguenti età 12 11 9 4 4 ...senza nessuno in casa perchè mamma lavorava con mio padre e rientrava ad orari in casa...immaginate...la casa aveva un giardino...era un mondo...ma cosa combinavamo in quel mondo non avete la più pallida idea.
    Imparai presto ad essere un buon "incassatore", nella vita è utile, spesso, dai 2 ai 38 anni, un buon incassatore sà riconoscere come prendere i colpi che può prendere e come scansare dignitosamente ciò che può ammazzarlo...insomma, se esiste una teoria che dice che i terzogeniti, così mi è sembrato di sentire, siano quelli che prendono più botte...bhe...sono l'incognita violata, si, è vero...mia madre non si poteva considerare, allora che era molto giovane e molto bella, una con le mani e strumenti vari a posto.
    Non avevamo il telefono ma qualora fosse esistito il telefono azzurro penso che non avremmo avuto il tempo di arrivarci.
    Mettiamola così, cinque bambini restano in casa è "organizzano" anarchicamente quello che gli pare, tutto in completa anarchia, unica organizzazione è nello scegliere, casualmente, lo sfigato che si prende le colpe di qualcosa di rotto, qualche taglietto stile Corsa al Pronto Soccorso, fuochi vari nel giardino, porte scardinate, tegole usate come bombe cadute dagli aerei, scavalcamento finestre di una signora non molto sana di mente che abitava di fronte, insomma giochi innocenti in una follia di "bambini"...il rincasare di mamma significava una sola cosa "Chi glielo dice...?"
    Quante botte ho avuto...mamma aveva le sue armi.
    Ogni arma della poliziotta ritardataria aveva un grado di dolore pari all'azione che combinavamo...quindi devo dire che mentre in noi c'era anarchia...nella Gestapo che ci controllava c'era molta organizzazione...
    Cucchiaella di Legno: piccoli danni, poco dolore, le gambe con qualche livido. Niente di preoccupante.
    Scopa: forse il danno è stato eccesivo, la scopa prende più persone, manganellate familiari dove capitava. In testa era micidiale. Quando mi colpiva in testa la odiavo. Sulle gambe dentro ridevo, ma facevo finta di piangere altrimenti continuava.
    Urlare: non si creda che l'urlo non fà male...urlare era come la sirena degli anni quaranta quando si avvertiva la popolazione dell'arrivo dei bombardamenti. Unico scopo di noi cinque fuggiaschi, scappare, il bagno di solito era due minuti di salvezza, dopo si salvi chi può...spesso il può erano loro quattro.
    Munghino:...non ho mai capito questo termine da dove è uscito, non è dialetto, non è italiano, ma era il massimo che poteva prendere...altro che telefono azzurro...l'intera Telecom non avrebbe potuto fare niente...erano tre corde di plastica arricciata, verde, prese dal ristorante di mio padre, insomma, quelle strisce paramosche che un tempo si utilizzavano davanti alle entrate dei bar...micidiale...dolore terrificante alle gambe, sulla schiena, sulle spalle...qualche volta ha colpito anche in faccia, credo, voglio pensare, sbadatamente...quanto odio per educare.

    Chiaramente queste erano armi ufficiali e ben definite. In effetti utilizzare le mani, variando l'intensità della "lezione" dipendeva dalle reazione del "detenuto in fasce".
    Una sera, incazzata perchè rompevo le scatole a uno dei più piccoli, senza pensarci due volte mi tirò una forbice che si conficco nella coscia sinistra. Un buco che forse aveva bisogno di punti di sutura, P. e M. si raggelarono, io ho guardato fisso mia mamma, G. rideva, A. era stralunato già allora e non se ne fregava niente...Lei corse subito piangendo e gridando...io capivo che mia mamma si stava prendendo un bell'esaurimento nervoso, ma non avevo la concezione di cos'era un esaurimeto nervoso...lo capii qualche anno più tardi, molto più tardi...mi venne vicino e mi diceva quasi balbettando "non dirlo a babbo...non dirlo a babbo...Angelo mio...non dirlo a babbo", io piangevo ma l'osservavo rigido e molto, molto deluso "...non dico niente...ma non voglio vedere il sangue..."

    La notte, sul tardi, avevo smesso di piangere da poco, singhiozzi grandi come tuoni ma ovattati dal cuscino per orgoglio nei confronti di G. e A. che dormivano nella stessa stanza, insomma stavo prendendo sonno con gli ultimi richiami di un singhiozzo spento quando mi sento scoprire il volto che tenevo ben nascosto dalle coperte, era Lei, mia mamma, com'era bella...piangeva e mi venne a dire una cosa che non ho mai dimenticato, mai: " Mi dispiace Angelo mio, mi dispiace, non voglio farti male, se vuoi puoi dirlo anche a babbo"
    "Mamma - ed avevo un tono senza lacrime, nasceva un orgoglio che nel tempo, da adulto ho calpestato davanti a persone inutili e nauseabonde - Mamma, non ti preoccupare, non è successo niente"
    "Fammi vedere la ferita, ti fà male, Angelo mio, io non voglio farti male"
    "Mamma, non fà niente, non mi hai fatto niente...a babbo non dico niente, Lui non c'entra"
    Mi diede un bacio e andò via...
    L'ho odiata a morte...l'ho odiata a morte in quel momento.


    Parlare anche in modo ironico di queste cose oramai passate è importante, per sorridere, capire, capirsi, far capire. Piangere, mai. Piango per molto meno o per il dolore di chi voglio bene.
    Quello che un'educazione basata sul "dolore" fisico nega, non è la possibilità di vivere un'età infantile in modo sereno, bensì riconoscere nel tempo che la forza dell'adulto è simile alla fragilità. Si sgretola....
    Ultima modifica di Hamlet; 21-07-2006 alle 18:48

  6. #21
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    Certo, certo...ho spesso pensato a questo che sto per dire. Quando scriviamo riportiamo esclusivamente gli eventi dolorosi, quelli brutti, le storie che lasciano cicatrici, sulla pelle e sul cuore, nella mente. Anche quando incontri un'amico o una persona che stai per conoscere, quasi una gara a chi ha avuto l'evento più brutto, quasi una gara all'intensità del dolore provato, senza neanche accorgerci che intanto siamo presenti a parlarne e c'è chi invece non c'è, perchè il dolore è stato talmente forte da ucciderlo.
    E' vero, questi eventi della vita formano maggiormente chi siamo. Ma è sempre vero?
    E tutto il resto della vita, che fine fà?
    Voglio dire, come vedere un bel film, siamo spettatori tutti di parte della storia che i protagonisti vivono, mi piacerebbe vedere un film senza fine, che sò stile The Truman Show...insomma, vediamo una parte, una bella storia d'amore per esempio, bacio finale, lacrime, the end...e dopo?...Chi ci fà vedere che succede dopo, la vita normale?

    Nella nostra vita è uguale, esiste o può esistere dolore, ma ci sono tante giornate belle, buone, quelle con la luce. Tempo fà lessi un libro dove la Felicità e la Tristezza venivano ridimensionate come formule matematiche e diagrammi, insomma esiste un flusso che sale e scende e inevitabilmente riguarda la vita media di una persona, sembrerebbe che gli UP and DOWN, Felicità e Tristezza siano eventi ciclici che vanno e vengono, lasciano segni o meno a secondo dell'intensità e della personalità della persona.
    Eppure la mente ricorda ed elabora eventi lontani e, guarda un pò, brutti, sporchi, tristi, infelici.
    Per questo ho passato anni a vivere la vita interiore con un fondamento di stoicismo.
    Esteriormente cominciai ad utilizzare delle bellissime maschere.

  7. #22
    Disappointed Idealist L'avatar di Kyra
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    [QUOTE=Hamlet]Certo, certo...ho spesso pensato a questo che sto per dire. Quando scriviamo riportiamo esclusivamente gli eventi dolorosi, quelli brutti, le storie che lasciano cicatrici, sulla pelle e sul cuore, nella mente. Anche quando incontri un'amico o una persona che stai per conoscere, quasi una gara a chi ha avuto l'evento pi
    I'm laying down, eating snow
    My fur is hot, my tongue is cold
    On a bed of spider web
    I think of how to change myself

    A lot of hope in a one man tent
    There's no room for innocence
    So take me home before the storm
    Velvet mites will keep us warm.

  8. #23
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    Citazione Originariamente Scritto da Kyra
    Ci ho pensato tante volte ad un qualcosa di simile... ed ogni volta sai che ho fatto?


    Ho preso i miei vecchi ricordi tristi... e gli ho tolto i colori, li ho fatti diventare film in bianco e nero. Ci ho giocato, come fossero videocassette... li mandavo "avanti veloce" e "indietro a moviola". E alla fine il dolore e' andato via. Ora sono film in bianco e nero.

    Poi ho preso tutti gli altri ricordi.. che curiosamente erano in bianco e nero anche loro, non so perche'.. e li ho restaurati. Ho ridato loro il colore, ho provato a riviverli, per quanto possibile, come ognuno dei protagonisti.

    E alla fine ho riso, ho riso tanto, tantissimo.
    [SIZE="3"][COLOR="DarkRed"]...Kyra...per un visivo come me questa tua affermazione racchiusa in un "metodo" non

  9. #24
    Neve_che_vola
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    Ricordando queste cose io, nel tempo, ho pensato di non volere un bambino, di non volere figli miei.
    E questo pensiero non abbandona me...

    Tu la chiami Cagna
    Io la chiamo Bestia
    Cambiano i nomi
    i contenuti
    ma non il contenitore
    forse perchè ha imparato bene ad assumere forme nuove
    per riuscire a nascondersi
    a non farsi prendere
    perchè quando la prendi
    lei ha chiuso
    puoi finalmente prenderla alla gola
    e stringere
    e tenerla giù
    e violentarla a morte
    come ha fatto con te per così tanto tempo.
    Io le tengo le mani strette intorno alla gola
    e la vedo cianotica
    prima o poi sarà debole
    e io la penetrerò con ferocia
    come lei ha fatto con me
    E sarò libera...

  10. #25
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    Quello che un'educazione basata sul "dolore" fisico nega, non è la possibilità di vivere un'età infantile in modo sereno, bensì riconoscere nel tempo che la forza dell'adulto è simile alla fragilità. Si sgretola....

    Ed educare mettendoci constantemente, costantemente a confronto con i figli degli altri definendoci Noi nullità gli altri i migliori è un'ottimo metodo per gettare le basi di un'inossidabile disistima. Fragilità e Disistima sono un mix per farti crescere molto bene. Molto bene.
    Ora io osservo la foto di mio padre in un cimitero, ed osservo mia madre quando vado a casa sua, in entrambi i casi e malgrado tutto neanche ora riesco a pensare , perchè ai genitori è consentito educare, ai figli non e consentito chiedere come farsi educare, "Avrei voluto due genitori diversi...osservate i genitori degli altri...", ma pur non essendo un padre, e Cristo se ci riuscirò, io riuscirei a dirgli "Se mi osservate un pò Vi farò vedere come si cresce un uomo o una donna..."
    Ultima modifica di Hamlet; 25-07-2006 alle 06:08

  11. #26
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    Ancora il non presente:

    Un momento vissuto, un ricordo di qualcosa che è avvenuto, continua a vivere di vita propria?
    Tutto ciò che abbiamo vissuto ha un’esistenza propria? Si perde nel buio? Ha valenza quando noi ci comportiamo inconsapevolmente legati ad un solo attimo del passato. Quali pensieri in quel momento, quale idea del prossimo futuro, di ciò che si doveva ancora creare, scegliere, dire, fare. Quanta paura, quanto mistero, quanta paura. Una foto è solo un oggetto neanche tanto resistente, come ogni cosa del resto, eppure come un volto possa guardare minaccioso da una foto, che sia il proprio o di altri, mi fa immaginare che il passato vive di vita propria, immobile, fissa all’attimo vissuto, senza aria, muta, perché minacciosa? La risposta è nella vita stessa; ci ricorda che l’attimo ha fine, un momento dopo fa parte del passato. Noi la racchiudiamo in pochi centimetri di carta ma è qualcosa che non torna mai più, perché sempre diversa da se stessa.
    Ultima modifica di Hamlet; 25-07-2006 alle 05:59

  12. #27
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    Essere sfiorati dalle Ali di chi cerchi e non vuoi...è passato molto presente:

    Il piacere di scrivere nasce da una frase che d’improvviso ti passa per la mente.
    L’integrità è passione. L’integrità morale è passione. L’integrità del proprio corpo è passione.
    Un giorno un Demone mi si è avvicinato; mi ha guardato, io ho guardato Lui; mi sfiorò, io l’ho accettai. Angelo o Demone non ha importanza, è presenza in piena assenza, è un soffio in un locale pieno di fumo, gente, puzzo d’alcool. Presenza. E’ l’ombra che respira dietro quando corro. Presenza. E’ quella sensazione di peso che aggredisce in quella strada non abbastanza buia per peccare ma non abbastanza illuminata per mostrarsi. Presenza. E’ quella sensazione di peso che aggredisce in quella stessa strada non abbastanza buia per essere liberi di piangere senza vergognarsi ma non abbastanza in luce per ridere della propria felicità. Presenza. E’ il cane che ha attraversato la strada che percorrevo correndo, si è infilato sotto un cespuglio non molto basso dopo avermi gettato uno sguardo tra l’impaurito e l’indifferente, tipico degli animali nei confronti dell’animale Uomo, quindi, accovacciandosi, mi è parso che si trasformasse in pietra stranamente dello stesso colore del suo pellame da cane. Presenza. E’ un ricordo che mi affiora alla mente quando meno me l’aspetto, forse proprio quando dovrei essere più concentrato perché indaffarato nelle vicende della vita; un ricordo qualsiasi, senza più data, senza più nomi, e ciò che penso diventa immagine, quindi un suono, quindi una voce, quindi un profumo, la luce del sole di prima mattina dalla finestra di una casa sconosciuta. Presenza. E’ quella voce che qualche volta parla di dentro, beffeggia, urla, ride, dimostra a pieno la sua natura, la sua cultura, la sua forza. Presenza. E’ quel pensiero della fine che macchia il presente più vivo. E’ un pensiero sporco. E’ la voglia di stare zitto perché bisogna parlare. E’ il bisogno di urlare in una quiete fatta d’ovatta che con un niente può prendere fuoco. Presenza. E’ l’assenza quando si è presenti. Mi distoglie l’attenzione dall’ascoltare chi ha bisogno di essere ascoltato. Presenza. E’ in tutta quella musica che anticipa un pensiero, fa addormentare e crea un sogno. Presenza. E’ al tavolo tra me ed un amico quando tra noi c’è una bottiglia. Presenza. E’ in una giornata indifferente,
    all’improvviso, in una giornata indifferente; cos’è una giornata indifferente? Una tra le tante, senza usare metafore, una giornata della vita, una giornata con la giusta quantità d’ossigeno per respirare, di cibo per il nutrimento, di gente incontrata per non sentirsi soli, di una carezza alla propria compagna per ricordare che ci si vuol bene, di lavoro per non sentire l’inutilità, una giornata non grande, non piccola, non media. Una giornata indifferente.
    Dicevo, all’improvviso in una giornata indifferente puoi incontrare il Demone.
    Può avere un nome, ma può non averlo perché non né possiede. Può essere reale, ma è altrettanto pericoloso se incontri quello irreale. Può essere in un gatto, un cane, un albero, una strada, un giardino, un odore, nella pioggia, nella neve, in un uomo, in una Donna, in un Pensiero.
    Si può nascondere bene ma è difficile far finta di non riconoscerlo. E’ in tutto ciò che è contraddizione, in tutti gli opposti. Può rovinarti la vita perché ti sfiora appena guardandoti vivere nella tua beata giornata indifferente. Può ucciderti con un solo sguardo, una sola parola, un solo gesto, con la sua musica. Angelo o Demone non è importante. Ciò che è rilevante è che proprio in quel momento, in un attimo, in quel giorno, a quell’ora, in quel posto, con qualunque stato d’animo tu sia, allegro o triste, e in qualunque faccenda tu sia occupato, Tu lo hai incontrato o pensato o immaginato, la giornata cambia, la vista non è più la stessa, non conosci più ciò che prima ti era più familiare, non conosci più ciò che era realtà nelle tue cose di sempre, e come se ci si abbandonasse ad un sogno che non ti mostra la Verità ma te né fa intuire l’esistenza concreta facendoti capire senza neanche tanti scrupoli che è irraggiungibile. D’improvviso tutti i contrari delle cose si mostrano, non si ha più facoltà di decidere, è come un veleno che comincia ad andare in circolo nel proprio corpo, magari cerchi una ferita per capire chi ti ha morso e non trovi nulla, né puntura d’insetti, né il morso di una serpe, né la puntura di uno spillo.
    D’improvviso la tua giornata indifferente è cambiata, ma è sempre la stessa.
    D’improvviso tu sei cambiato, ma sei sempre lo stesso.
    D’improvviso tutto ti è chiaro, ma mai come ora sei annebbiato.
    D’improvviso ti senti impazzire, ma sei mentalmente sano.
    D’improvviso hai paura , ma mai hai avuto intorno cose così rassicuranti.
    D’improvviso non sei più niente. Ecco il punto. D’improvviso non sei più niente.
    Il Demone ha dimostrato o mostrato questo di te. Il Demone è un bacio, una carezza, una voce, un dolce suono, un movimento lieve, un leggero tremolio in un lato delle labbra, nel vento tra gli alberi, nel caldo di una giornata d’estate, nel movimento seducente di una gonna leggera, in due occhi tristi, nella dolcezza di un attimo. Il Demone è nella rabbia, in uno schiaffo, nella forza del freddo, in un silenzio che non ha fine, in tutta la debolezza che senti quando invece avresti bisogno di tanta forza, nell’indifferenza, nell’odio, nell’invidia, nella gelosia, nella guerra.
    Il Demone è dentro quanto fuori. Si cerca o s’incontra per caso. Se sei chi sei una volta sfiorato la sua presenza non ti abbandona più.

  13. #28
    Neve_che_vola
    Guest
    E’ quella sensazione di peso che aggredisce in quella stessa strada non abbastanza buia per essere liberi di piangere senza vergognarsi ma non abbastanza in luce per ridere della propria felicità.


    e non ti abbandona più...........

    sei senza pelle anche tu...
    da quanto mi chiedo...
    io l'ho dimenticato da quanto tempo ormai...
    tu ricordi?
    quando è iniziato tutto questo?
    oppure è sempre stato...

  14. #29
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    Figli


    Malgrado tutte le filosofie che ci riconducono al “Tutto” come insieme che lega tutte le Anime in una unicità, malgrado io voglia credere fermamente in questo senza dare un nome (Dio, Luce, Essenza, Comprensività, Tutto…), capisco che è sempre un’idea, un proprio pensiero ed è contestabile e su esso ci si può discutere e capire, pur nella fermezza di pensiero.
    Ma è incontestabile un’altra “cosa” della vita che ci lega tutti e su questo non possiamo porre dubbi.
    Siamo e siamo stati tutti figli.
    Banalità?
    Certo è l’ennesima banalità detta, ma io ripeto sempre che la vita è una continua serie di banalità, insieme formano un complesso spesso difficile, contorto, amabile o meno, vissuto o meno.
    Siamo stati e siamo figli, e questo non dobbiamo dimenticarlo, dal cinquantenne a chi è sulle soglie dei quaranta, al ventenne che scrive e gioca alla persona che ha appena scavalcato la sua preadolescenza, siamo stati tutti figli e siamo figli.
    Ma non abbiamo modo di dimenticarlo, semplicemente perché se genitori, vediamo nei nostri comportamenti, spesso, come ci muovevamo noi e i nostri comportamenti spesso sono velate imitazioni di cosa abbiamo vissuto da figli.
    E come figli ancora giovani e lontani dall’essere genitori, state accumulando esperienze che un giorno vi porteranno a scegliere le strade del comportamento da adottare anche incosciamente con la vostra eredità inclusa in un nome di bambino.

    Ma come figli tutte le nostre scelte sono, spesso, dettate da come siamo stati figli, decidere se averli, non averli, abbandonarli, amarli, violarli, abusarne, portarli alle stelle, ridurli come ombre, ucciderli.

    Io e la mia compagna (non utilizzo il termine moglie e non utilizzo questo termine perché sento che sa di passato e burocratico) ci conosciamo e stiamo insieme da venti anni. Sono molti. Sono tanti. Perché sono fatti di tanti giorni. Giugno 1986. Io 19 Lei 17.
    Negli anni è venuto fuori il discorso bambini, subito dopo trasformato in figli. Per Amore Lei decise di restare con me pur avendole detto chiaramente che Io non volevo figli. E discutevamo molto sulle motivazioni che Lei ancora oggi ricorda e sa che non le ho cambiate, ma ho capito molto non dagli anni passati, ma dalla loro intensità.
    Il motivo fondamentale per cui io non volevo una mia diretta discendenza era non voler vedere in una persona tutta la rassomiglianza con me stesso.
    Non ho parole più sintetiche per esporre questa motivazione.
    Seguivano motivi come il concetto di educazione, di dare valori, esporre in modo educativo la vita, ma visto con gli occhi di un quasi quarantenne che ora sono, capisco che tutte le altre motivazioni non potevano avere fondamento allora perché come ventenne con la testa tra nuvole, fumo, pensieri neri, poca luce, poche cose viste fuori ma molte dentro, non potevo essere in grado di fare una scelta per sempre.
    In realtà era il non voler vedere e sapere che la mia discendenza, mio figlio, fossi Io. Io con tutti i miei “contenuti” imposti da me. Imposti dagli altri. Spesso anche fisicamente, non volevo vedere rassomiglianza, avevo una forte paura di non volergli bene affatto.
    Allora, sempre nella mia inossidabile autoironia, grande arma anch’essa, dicevo a S. che un nostro figlio potevamo averlo solo se Lei mi dava la certezza che fosse stata uguale a Lei, di me non doveva avere niente, doveva essere l’opposto mio, che poi e l’essenza di S., completamente il mio opposto. Non potendo assicurare questo decise che restavamo insieme non avendo un futuro di continuità come famiglia, qualora ci fossimo sposati, cosa che avvenne più tardi.

    L’idea della rassomiglianza mi torturava in una vita di pensiero già contorta è piena di difese per poter controllare con il pensiero stesso una mia grande battaglia che dovevo vincere assolutamente senza calpestare nessuno se non la parte più nera di me. Vincere la cagna, vincere la pazzia in nome della follia, vincere il cupo pensiero per conoscere la Luce, vincere il Giano bifronte che potevo osservare nello specchio e non aveva stile allora.
    Ed ho vinto, malgrado cicatrici non visibili ma udibili e leggibili ad occhi che sanno vedere ed orecchie vogliose di verità molto celate.

    Su che basi avrei parlato con mio figlio? Cosa gli avrei raccontato? Quale strada potevo mai insegnargli se le mie erano perse ed il peggio era che fingevo con tutti, compreso con S., utilizzando maschere bellissime, vanità composta, sorrisi come epitaffi, bellezza dell’anima in una profondità gelida è nauseabonda, che cosa gli avrei raccontato?
    Bene…gli avrei raccontato quello che ora conosco e di come si cresce un pensiero di Luce in un mondo buio e nascosto finanche alla solitudine più triste.

    La vita è strana, molto strana, sia quella teorizzata che quella vissuta. La vita non è bella e non è brutta, la vita è strana.
    Infatti essa è piena di ironia e sarcasmo che può uccidere, io pur con i miei pensieri ero catalizzatore di tutti i bambini degli altri, tutti, difatti ancora oggi ho questa capacità istintiva e per nulla impegnativa, sono attratti dal mio modo di essere con loro ed io amo molto parlare con loro ed essere al loro pari che è un livello molto più alto di quello che crediamo tutti, sono i più grandi adulti che io abbia mai incontrato e sono dotati di un’intelligenza che può annodare i miei pensieri per farne una palla con la quale giocare una partita con la vita e loro sono i vincenti.
    Ovunque andiamo e ci sono bambini creo asilo, è istintivo, avveniva prima che ci fossero problemi di infertilità, avviene oggi che i problemi non sono stati risolti in entrambi gli uteri, quello fisico di S. quello mentale mio.
    La comunicazione con loro è la più profonda che esista e la profondità sono loro a farla vedere perché stanno imparando da Te, non esiste spazio, io mi siedo a terra, ovunque, che sia strada o una elegante sala di qualche casa di un’amico, sono al loro livello e di questo mi rendono orgoglioso, sanno osservare e sanno parlare dicendoti subito quello che pensano. Ma quello in cui mi perdo è la loro follia. Certo, certo, loro non sanno che si perderà nell’essere adulti, ma vivere quella loro follia è un premio alla follia da adulto.
    Questi pensieri, questo mio modo di essere esisteva anche allora, ma ho sempre creduto che con un figlio mio, il mio modo di essere sarebbe stato molto diverso.

    Mio padre non salutò neanche quel pomeriggio, non volle chiamare il 118 e si fece accompagnare in ospedale da mio fratello. La penultima immagine che ho di Lui e che chiese a mia madre un bicchiere d’acqua, lo fece per le scale, bevve, assaporò quel bicchiere in modo particolarmente intenso, non salutò però. Era sabato primo ottobre 1994.
    La domenica il medico disse queste cose: “Signora, abbiamo fatto il possibile ma suo marito è….”
    Il “morto” dovette dirlo mia madre…
    Ero vicino a Lei e sono rimasto molto freddo e non ho regalato una lacrima a nessuno, nessuno.
    Bisognava agire ed impegnarsi perché un’equilibrio familiare molto, molto labile, stava crollando.

    Siamo tutti figli e vedremo i nostri andare via.

    L’immagine di mio padre che scendeva dalle scale, senza aver salutato è stata la penultima…
    L’ultima è stata quella che vidi quando la porta della stanza di chirurgia si apri leggermente, il giusto per poter dare un’occhiata sulla morte; Lui aveva il collo coperto per una veloce e poco risolutiva tracheotomia e gli occhi aperti guardavano fuori dalla finestra. Di fronte l’ospedale della mia città ci sono colline. Mio padre ha guardato le colline, ma non ha salutato nessuno però.

    Scrivo degli ultimi istanti di vita di M. perché con il suo andare via e l’impossibilità di parlargli per l’ultima volta, io ho deciso che volevo un figlio, fregandomene di tutti gli opposti.

    La vita è strana.
    Io e S. non possiamo avere figli. S. per problematiche mai capite e mai curate bene, fuori e dentro, ed io per un alieno pseudocancerogeno perché forse ben nascosto si è perso in una cura non sua non uccidendo un corpo ma uccidendo la possibilità di concepirli.

    La lenta evoluzione di pensiero non ha avuto un traguardo dove arrivare.

    Ora il senso di tutto è che io e S. avremo un bambino per adozione. E questa persona avrà Amore incondizionato e sarà salutato al suo arrivo come l’ho saluterò un giorno al mio andare via.

    La lenta evoluzione di pensiero si è persa in un lento e progressivo avanzamento dell’esistenza.



    Questo è un pensiero passato:
    Quanto entusiasmo negli occhi di un bambino che ha solo la minima percezione che dovrà vivere una vita tutta sua piena di cose. Che costruzione fantastica, che meraviglia. Qui non si tratta di sogni, quelli vecchi di una persona grande, vecchi perché per quanto sogni costruttivi e ottimisti sono poveri di innocenza. Negli occhi di un bambino che si sta solo preparando inconsapevolmente a vivere la sua esistenza c’è la meraviglia di tutta la forza che dovrà accumulare per vedere tutto, respirare l’aria migliore, correre sulle strade che lui sceglie, imparare le più belle parole per parlare sempre meglio, c’è l’entusiasmo dell’aria sulla pelle e del sole delle tante albe e dei tanti tramonti che dovrà vivere, c’è la felicità di non conoscere l’infelicità, c’è l’arrendevolezza del proprio corpo a non restare piccolo ma a crescere e così la propria mente che assorbirà nel tempo tante di quelle cose che sono il suo futuro, quindi il suo presente, saranno i suoi ricordi poi. C’è una certa derisione nei confronti di certi grandi perché quegli occhi dicono “Io non sarò te”. C’è l’unicità della loro vita che quando prima inizierà esplodendo e migliaia di schegge c’inonderanno, ci dilanieranno l’animo, ed ogni scheggia che ci trafigge ci ricorderà in un istante un attimo del nostro più intimo passato, quando noi avevamo quegli occhi e non abbiamo avuto cura di osservarci a lungo davanti ad uno specchio per ricordarceli e ricordarci così di noi tutta quella forza dell’inconsapevolezza di prepararci a vivere una vita tutta nostra. Poi si diventa grandi.
    Ultima modifica di Hamlet; 27-07-2006 alle 19:09

  15. #30
    Opinionista
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    Messaggi
    877
    "Heee...Angiolè, brutta l'allergia e...? Hai certi uocchie ruscc'"
    Hai certi occhi rossi.

    Sotto la doccia dopo il lavoro ho pianto, e molto, l'acqua e le lacrime si sono semplicemente unite per dimostrarmi che sono la stessa cosa, unite nel tutto che ci circonda.

    Io non soffro di allergie.

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