Dopo le prime due sentenze di assoluzione per insufficienza di prove, ieri la cassazione ha riconfermato i 16 anni gi� richiesti in terzo grado per Alberto Stasi, unico imputato per l'omicidio di Chiara Poggi. Un giallo che si � trascinato per otto anni, su un crimine che a tutt'oggi resta privo sia di arma del delitto che di movente, la cui scena � stata pesantemente inquinata fin dal primo momento da tecnici e investigatori che non solo non vedono al di l� del proprio naso, ma non sanno fare nemmeno il mestiere per cui sono pagati. Sentenza pronunciata proprio quando il sostituto procuratore di Milano, rappresentante della pubblica accusa, aveva richiesto l'annullamento del processo. Improvviso attacco di delirio, o magari di sanit� mentale?
Anche se le motivazioni non sono ancora state depositate, una condanna del genere qualcosa di chiaro gi� lo dice, ed � del tipo: s� lo sappiamo che sei stato tu, ma siccome siamo stati cos� coglioni che ormai non riusciamo pi� a dimostrarlo, diamo un colpo al cerchio e uno alla botte. Una sentenza che vorrebbe sembrare salomonica ma che invece si rivela una tragica barzelletta, in accordo con quello che � stato l'intero iter investigativo e giudiziario del caso.
Se non hai ucciso 16 anni sono troppi, ma se hai ucciso sono troppo pochi. Per quanto la famiglia di Chiara Poggi dia mostra di soddisfazione, in entrambe le ipotesi (e non ce ne sono altre) � stata commessa una grossa ingiustizia.