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Discussione: La parabola del figliol prodigo

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    Opinionista L'avatar di crepuscolo
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    La parabola del figliol prodigo

    Qualcuno ha detto che se di tutta la tradizione evangelica si fosse conservata unicamente la parabola del figliol prodigo, essa basterebbe pienamente a ricostruire la novità e l'unicità della figura di Gesù. Questo è senz'altro vero. Essa è di importanza centrale per la peculiare immagine empatica del Padre o di Dio presentata da Gesù. Ma in particolar modo per l'educazione e la psicoterapia moderne si tratta semplicemente di un fondamentale segnavia.
    Solitamente questa parabola viene associata a quella della dramma perduta o all'altra della pecorella smarrita, ma in esse sono presentate situazioni ben diverse, e quindi diversi atteggiamenti di fondo. La dramma è una cosa; se si perde, si deve cercarla, come la donna della parabola, su ginocchia e gomiti, altrimenti è andata. La pecorella smarrita è si un animale che può belare per indicare al pastore la direzione delle sue ricerche; ma essa resta dipendente in assoluto dal soccorso del pastore.
    Nella parabola del figliol prodigo, invece, un giovane adulto vuole andare per il mondo, e chiede al padre il capitale a lui spettante. Del padre sappiamo che acconsente alla richiesta del figlio e lo lascia andare. Niente buoni consigli o l'esortazione a mandare notizie il più regolarmente possibile. Nessun suggerimento del più anziano sul modo migliore per impiegare il denaro, nessun accordo per il ritorno. Un giovane adulto prende una decisione per sé, e come reagisce il padre? Lo lascia assolutamente libero.
    Nel caso di Adamo, la cacciata si era compiuta in modo meno gradevole. Ma la situazione era anche del tutto diversa. Il padre era un irremovibile, autoritario patriarca , che invece del capitale ereditario, dava ai suoi figli come punizione soltanto maledizioni. E l'uomo era un essere infantile, non cresciuto, che veniva respinto, del tutto impreparato, in un mondo freddo e inospitale. Per lui e per il mondo le conseguenze erano ovvie.
    Ma nella parabola di Gesù si trova una situazione del tutto diversa: viene infatti delineato un padre autentico, buono, che con un atteggiamento realmente empatico sa di cosa il figlio ha bisogno. La solita descrizione, che presenta il figlio come ribelle e disubbidiente, è una relazione maligna: nulla di tutto questo c'è nella parabola. In realtà il giovane uomo vuole inoltrarsi nella vita per fare le sue proprie esperienze, che di fatto nessun altro può fare per lui, nemmeno il migliore dei padri. L'atteggiamento comprensivo, empatico, del padre, era qualcosa di nuovo, e tale è ancora oggi.

    E questo è il commento della signora Hanna Wolff teologa ed esperta della psicologia del profondo, da cui ho preso lo spunto: delle madri mi telefonano per i loro figli 26 enni, per sentire se voglio sottoporli a terapia; dei padri mi chiedono colloqui per avere suggerimenti su come indurre alla ragione dei figli adulti. Dei giovani uomini nevrotici, malgrado gravi danni provocati dall'ambiente familiare, dicono, sia pure a capo chino: lo ammetto, malgrado tutto i miei genitori hanno sempre voluto il meglio per me.
    Disperatamente io lotto coi genitori contro il loro costante tener sotto tutela i figli in età scolare, contro la loro eccessiva sorveglianza sui compiti scolastici. Ma lasciate che i figli facciano finalmente le loro esperienze, devo dire continuamente. Non potete certo sostenerli e spingerli avanti per tutta la vita. Invece di parlare di tutte le cose da fare a scuola ed in casa, sarebbe meglio lasciar andare i figli, dar loro libertà, malgrado il timore che possano finire "tra i porci". Anche di lì ci può essere una via di ritorno, osserva la parabola.
    Ma in realtà in tutto questo non si tratta affatto dei figli, si tratta in primo luogo della propria vanità, che registra un eventuale fallimento del figlio come un fallimento proprio, cosa assolutamente intollerabile di fronte a parenti e conoscenti. Anche oggi dunque si tratta prevalentemente della proiezione di desideri propri, ed anche della reazione di ritorno, che vuole avere dal figlio quanto si è riposto in lui di lavoro, denaro e speranze.

    Si deve saper lasciar liberi, e tuttavia continuare ad amare. Ce lo ha chiarito per la prima volta l'immagine empatica del Padre, presentata da Gesù. " Mi leverò ed andrò da mio padre", dice il figlio lontano. La comprensione della figura del padre, qui proposta, non è affatto così ovvia come può apparire a prima vista. Di fatto essa ha subito le interpretazioni più disparate. Ad esempio si è pensato che nella situazione descritta qualsiasi padre agirebbe così. Oppure si è concluso che può certo trattarsi di un determinato padre, ma che il rapporto con Dio è moto vago. Si è addirittura fatto notare che la parabola in questione non può essere così unica, perché essa viene narrata con forti analogie addirittura nella letteratura buddista. Essa apparterrebbe quindi al patrimonio generale dell'umanità.
    In ogni caso, un "ritorno senza timore" ancora oggi non è affatto una cosa ovvia. Basta che pensiamo ai molti suicidi di studenti; già un brutto voto rende impossibile a chi studia un ritorno senza timore. Se un brutto voto od una risposta mancata possono scatenare simili reazioni psichiche, come reagirebbe la maggioranza dei padri di fronte ad un figlio rovinato o caduto così in basso, quale è presentato nella parabola?
    Nella parabola di Gesù si tratta evidentemente di un padre particolare. Al contrario dei padri patriarcali, caratterizzati dalle loro aspettative o pretese che associavano al figlio, Gesù ci mostra un padre, che dal figlio non aspetta niente per se stesso. E perciò non può essere deluso da lui. Questo è dunque un padre che accetta il figlio così com'è, proprio per il fatto che è appunto suo figlio. Da un padre simile si può tornare, qualsiasi cosa sia successa.
    Osserviamo questo padre un po' più da vicino. Se all'inizio della storia è il padre concreto, obbiettivo, che lascia andare il figlio, alla fine di questo dramma appare un aspetto del tutto diverso dello stesso uomo. Sono dei tratti quasi femminili e materni, quelli che ora imprigionano il suo comportamento. Egli corre incontro al figlio, non interroga sull'aspetto e la colpa di questo, ma lo abbraccia e lo bacia, ed esulta, e grida la sua gioia al mondo intero. mangiare e bere, vestirsi ed adornarsi, erompere del sentimento: tutto il resto viene cancellato. Questo è il modo di reagire di una madre. Per lo più gli uomini sogliono esprimere i loro sentimenti in modo diverso. Questo padre, ed è evidente che Gesù vuole dimostrarlo con particolare forza, è di fatto un padre tutto particolare, e cioè il modello del suo proprio Padre che sta nei cieli. In contrasto con il padre patriarcale, unilateralmente maschile, Gesù presenta qui per la prima volta, diffusamente e con tratti marcati, la sua propria immagine di Dio, completa e integrata, che comprende in ugual misura modalità di reazioni maschili e femminili e che venne chiamata la prima immagine di Dio veramente sana nella storia universale.
    Ma osserviamo un po' più a fondo anche il figlio. Come ha potuto avere il coraggio di azzardare senza timore il ritorno a casa , dopo una giovinezza così sprecata? In lui deve essersi mosso qualcosa, che malgrado tutto lo spingeva in questa direzione. E con questa ipotesi tocchiamo un fatto di importanza fondamentale. E' vero che molti a questo punto potrebbero pensare: che fatto d'importanza fondamentale ci può essere, quando si è finiti a tal punto nel fango? Di lì è certo che si torna a casa volentieri. In verità invece le cose non stanno affatto così: di regola si percorrono vie ben diverse. In base all'esperienza, dai "porci" si passa alla prigione o al suicidio. Se in questo caso la strada conduce alla casa paterna, ciò dimostra chiaramente che il figlio aveva portato con sé, da questa casa, qualcosa di fondamentale, e cioè la certezza interiore di una incancellabile appartenenza. Nella psicologia si parla, con riferimento all'americano Erik H. Erikson, di "fiducia originaria" come di una dote di particolare valore per dominare la vita, e di notevole rarità. Metaforicamente si può parlare di biglietto gratuito per la casa del padre, il che si identifica col " ritorno senza timore".
    Il "ritorno senza timore" proposto da Gesù contiene pertanto molti elementi differenziati di psicologia. Ma esso è allo stesso tempo una bomba sotto il fatiscente edificio dei tradizionali principi dogmatici cristiani di origine patriarcale. Qui non sentiamo parlare di espiazione e sacrificio cruento, di croce e grazia, come elementi necessari per ristabilire solennemente e suggellare questa comunione tra padre e figlio. Non ha luogo alcuna udienza riguardante un peccatore che si spera pentito. E quindi neppure un'elargizione di grazia: non ci sono neppure sottintesi cenni ad una successiva resa dei conti del genere: aspetta pure, che il bello verrà alla fine. Di tutto questo, così indispensabile per la cristianità in genere, in questa fondamentale parabola si trova soltanto l'esatto contrario. E deve essere proprio così. I concetti dogmatici infatti risalgono in definitiva a quell'immagine di Dio onnipotente, ma in realtà vendicativa e meschina, preoccupata continuamente soltanto del suo proprio onore.
    Il "ritorno senza timore" di Gesù ci mostra invece il grande Dio imperscrutabile, non misurabile con alcuna misura umana, che può permettersi di agire così.
    Come fa Gesù a sapere tutto questo? Egli lo presenta semplicemente, lo dice, ma non dà nessun commento. Ma lo sa bene, perché parla del suo proprio Padre. Ma dietro tutto questo c'è il mistero di quella genuina autorità, che può dire: nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
    Ultima modifica di crepuscolo; 20-03-2017 alle 18:48

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