La metto qui perché non mi sembra un argomento di quelli che occupano le prime pagine dei giornali, e nondimeno lo definirei tranquillamente da tolleranza zero.
Non è mai passata la moda del bimbominkiese che già una nuova droga imperversa per le strade. Dopo esserci visti costretti a lasciar passare -mi auguro a malincuore- le più atroci, insensate e inverosimili storpiature della lingua, accompagnate da spregio solenne per una punteggiatura che a volte da sola basterebbe a salvare il senso di una serie di monosillabi e grugniti alquanto sinistri, oltre che pretenziosi, eccoci arrivati alla nuova frontiera delle chat: dimenticarsi a bella posta del punto di domanda quando invece è sacrosanto.
Si vede che ormai siamo abituati a farci consegnare il mondo in casa, sicché la resistenza alla fatica è sempre meno, fosse anche quella di digitare caratteri: perfino i pollici più avvezzi a questo genere di cose non vedono l'ora di finire. Poi non crediate sia una malattia che colpisce solo i giovanissimi cresciuti sotto la campana di vetro: ne sono afflitti anche i meno giovani, come mi rendo conto ogni giorno di più.
All'atto pratico possiamo anche fregarcene se qualcun altro sta male, oppure se è certificato dislessico, disgrafico o discalculico pur cavandosela meglio di noi anche senza strumenti compensativi. Se però il suo malessere ha influenza anche su di noi, volenti o nolenti, dobbiamo essere messi in condizione di difenderci. Nei casi più fortunati riusciamo a capire dal contesto della frase che si tratta di una domanda, anche se manca il punto interrogativo; ma laddove la frase abbia senso compiuto anche in forma affermativa, cosa dobbiamo fare? È lecito porci il dubbio che possa essere una domanda, almeno quando un errore d'interpretazione potrebbe portare a equivoci anche spiacevoli? In fin dei conti non abbiamo il supporto del parlato, dove la mancanza di grafemi è ampiamente compensata dall'intonazione. Debbo confessarvi che mi sono scervellato parecchio sul problema, ma oggi sono fiero di potervi annunciare di essere giunto a una conclusione.
Partendo dal noto principio secondo cui ogni errore di comunicazione è da attribuirsi al comunicante e non al ricevente, rafforzato dal fatto che la frase presa in senso affermativo è perfettamente sensata, a mio modesto avviso non è compito del ricevente prendersi l'onere di dipanare una questione che nella fattispecie non si pone nemmeno, essendo puramente ipotetica e senz'altro non richiesta perfino nel più generoso anelito di comprensione. Nel caso infelice in cui, necessariamente ex post, avvenimenti successivi dovessero mostrare che quella frase voleva essere una domanda senza averne titolo, sarei quindi propenso a cazziare l'imbecille di turno con toni ed epiteti quantomeno proporzionali all'entità del danno causato, o anche solo eventuale, accrescendoli esponenzialmente in caso di recidiva.
Voi che ne pensate?