Decamerin

[King Kong]

Preso dalla noia di questa reclusione forzata, si cimentò a fare finalmente ordine nello studio. Nello sportello più basso della vecchia scrivania, con grande sorpresa e stupore, trovò una vecchia scatola di latta di una marca di biscotti ormai inesistente. L’apri con trepidazione.
Assieme a delle foto scattate da chissà chi a Woodstock che lo ritraevano con i lunghi capelli sulle spalle, una collana tibetana sulla camicia a fiori aperta fino all ombelico, trovò nell’ordine: un anello d’argento con una bella corniola verde mare, un coltellino svizzero a sette lame, una ciocca di capelli ( ?) biondi tenuta insieme da un nastrino rosso, un medaglione di ebano con inciso da una mano esperta, un OHM 🕉 tinto di vernice oro, cinque biscotti, all’apparenza al cioccolato.
Si lascio sprofondare sulla comoda poltrona Frau e chiuse gli occhi...
Passò in rassegna le immagini di quei tre giorni di follia, musica e libertà. Prese a scorrere fra le dita le fotografie e, così facendo, consumò, uno dopo l’altro, i biscotti trovati nella scatola.
Non erano al cioccolato.
Ora si trovava coinvolto in una accesa discussione filosofica con Blacky, il cavallo bianco che,seduto di fronte a lui, fumava un grosso sigaro cubano.
“Te lo ripeto, non esiste nessuna realtà oggettiva. Tutto non è che una proiezione della tua mente “.
“Impossibile, rispondeva lui con un tono di disperazione, i maiali attorno al tavolo non potrebbero mai finire la loro partita di poker se le cose stessero come dici tu!”
“Nessun tavolo, nessun maiale, nessuna partita a poker. Niente acqua nel secchio, niente luna. Solo proiezioni della mente nel vuoto del brahman”.
“Non ci siamo, Solange. Nemmeno le fragole sono per sempre. E la lumaca che sale sul muro non si nutrirà per sempre di lattuga, questi sono fatti e, nel momento in cui sarà una grande maggioranza a riconoscerli, li dovremo definire oggettivi”.
“Bravo!” Esclamò il tricheco che fino a quel momento aveva solennemente russato sul divano. “I miei baffi sono una prova lampante!”
Squillò il telefono.
“Sì, mamma! Ho lavato la faccia, anche dietro gli orecchi, ma i pantaloncini corti non me li metto più, sono grande adesso! E non farmi più gli spinaci, non mi sono mai piaciuti, nemmeno con il parmigiano!”
“Da quanto tempo sei qui?” Chiese la fata con i capelli turchini.
“Da sempre” rispose con l’ansia che gli saliva nel corpo
“Mi vuoi avere?” Ammiccò lei, allentando la broche che chiudeva il mantello sulla spalla.
“Con tutto me stesso”. Disse d’un fiato.
Si amarono fino all’alba sui morbidi tappeti nella tenda beduina all’ombra del tamarisco.
Lo risveglio il brumire dei cammelli e il primo raggio di sole che gli tormentava gli occhi...
Il telefono che squillava senza tregua lo costrinse ad aprire gli occhi..
Per un attimo vide ancora Blacky e le larghe spire di fumo che si sprigionavano dal grosso sigaro cubano, senti un’ultima volta i grugniti dei maiali impegnati nella loro interminabile partita di poker, l assordante russare del tricheco e il respiro regolare della fata turchina.
Come una nebbia che il vento disperde, le immagini, i suoni, il tocco delle carezze... tutto svanì e si ritrovò nelle braccia materne della poltrona Frau, la scatola di latta ancora in mano, le fotografie disperse sul morbido tappeto.
Restò immobile per un lungo istante.
La radio lasciata accesa sussurrava le note di un vecchio motivo..,
“Freedom, freedom, freedom...”

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