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Discussione: Buddismo e crescita spirituale

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    Opinionista L'avatar di xmanx
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    Buddismo e crescita spirituale

    C'è un articolo molto interessante che parla di buddismo e crescita spirituale.

    E' un aritcolo davvero illuminante.

    Da esso si deduce come le religioni (buddismo compreso) nascono dall'homo e sono una proiezione del pensiero umano in base allo stadio di "crescita spirituale" in cui ci si trova.

    Il vero cammino di "crescita spirituale" va oltre qualunque tradizione, qualunque etichetta, qualunque "scuola", qualunque religione e qualunque fede. E' un processo di maturazione psichica che parte dall'ego e lentamente supera l'ego, va oltre l'ego, per aprirsi alla comprensione dell' "invisibile ordine delle cose". Ed è accessible a tutti. E va oltre qualunque "fede", qualunque tradizione e cultura perchè è legato alla natura umana. E la natura umana è sempre la stessa per tutti, indipendentemente dalla cultura nella quale si vive.

    Il succo del discorso è questo. Se tu credi nell'Hinayana e in tutti i concetti che esso prevede (karma e reincarnazione), non significa che l'universo funzioni effettivamente così. Significa solo che questo è ciò in cui tu hai bisogno di credere in questa particolare fase del tuo cammino di crescita spirituale. Tu hai bisogno di questo e aderisci a una visione della vita che ti dà ciò in cui hai bisogno di credere.

    Qual'è il problema? Il problema è che la tua mente ti porta a credere che quella "fede" sia effettivamente corrispondente alla Realtà delle cose, quando invece è solo ciò di cui ha bisogno adesso la tua psiche. E' solo ciò in cui hai bisogno di credere.

    Questo è esattamente ciò che succede anche a quelli che aderiscono alla "fede" cattolica.

    Certo. La "fede" cattolica si basa su concetti diversi da quelli della "fede" Hinayana. Ma non è questo che conta. Ciò che conta è che il meccanismo psichico che sta alla base è lo stesso. Io ho bisogno di credere in quello...e quindi quella è la Realtà.

    Questo ovviamente vale anche per l'ateismo. Che è una fede esattamente come lo sono la fede cattolica e la fede hinayana.

    Si può rimanere bloccati in questa fase di crescita psichica per tutta la vita. O si può evolvere.

    E questo articolo ci mostra chiaramente quali sono le fasi di maturazione psichica del processo di "crescita spirituale". Un processo che supera e trascende qualunque tradizione, qualunque cultura e qualunque religione ed è lo stesso per tutti gli uomini di tutte le culture e di tutti i tempi perchè è legato alla natura umana e la natura umana è la stessa per tutti, indipendentemente dalla cultura di appartenenza. E mostra chiaramente che ogni "fede", qualunque "fede" è un blocco e un ostacolo al processo di "crescita spirituale". E' un ostacolo perchè la mente ci illude con la convinzione che avendo una "fede" abbiamo anche la "verità" e quindi la mente ci blocca perchè ci illudiamo di essere già "arrivati". Mentre alla "verità" si arriva con un processo di trasformazione, con un divenire. Si arriva alla "verità" attraverso un processo di trasformazione e maturazione psichica. E ogni fede blocca questo processo sul nascere.


    Questi sono i tre generi diversi di pratica buddista:

    Hinayana

    Un discepolo ha lo scopo di divenire un arhat, cioè colui che ha raggiunto il Nirvana e non rinascerà mai più. Questo stadio, richiede un’esistenza assolutamente rigorosa e di rinuncia del mondo.

    Mahayana

    Un discepolo mira a raggiungere l’Illuminazione per diventare un Bodhisattva, cioè colui che ritarda l’entrata nel Nirvana per aiutare altri nella via della salvezza..

    Vajrayana

    Un discepolo mira a conseguire l’illuminazione qui e ora, in questo corpo e in questa vita.

    Sono state suddivise in Hinayana, Mahayana e Vajrayana, come generi diversi di pratica buddhista, ma sono solo differenti etichette che riguardano diversi atteggiamenti della mente e diverse fasi della nostra crescita spirituale....Si rivolgono ai diversi livelli della nostra vita e della nostra crescita spirituale e solo quando non vengono compresi, quando li si prende come posizioni fisse, solo allora c’è conflitto tra le tradizioni.

    Per esempio, il buddhismo Theravada viene spesso considerato come rappresentativo della posizione Hinayana, di un interesse per se stessi che ci fa dire: “Che io esca velocemente da qui, ne ho abbastanza di questo dolore e di questa confusione nella mia vita, voglio finirla con il dolore e il caos della mia vita il più presto possibile.” Si può comprendere che questo è uno stadio ben preciso dello sviluppo spirituale. Inizialmente abbiamo un atteggiamento individualista; fondamentalmente non siamo affatto interessati allo sviluppo spirituale. Vogliamo solo la felicità, comunque e ovunque si possa trovarla. Abbiamo una prospettiva individualista e nessun orientamento spirituale. Così, dunque, la nostra prima forma di risveglio alla vita spirituale avviene quando cominciamo a riconoscere la sofferenza. Riconosciamo il bisogno di soccorso e aiuto.
    L’Hinayana, dunque, riguarda questo passo iniziale sul cammino spirituale, la comprensione che qualcosa va fatto per sistemare la nostra vita. E’ un naturale interesse per se stessi, non ti metti ad aiutare gli altri, né ti sta troppo a cuore il benessere degli altri se tu stesso stai affogando. Prima di tutto devi raggiungere la sicurezza della riva. Ma poi basare la propria pratica spirituale sull’interesse per se stessi e cercare solo di rendersi la vita tranquilla e felice è ovviamente di scarso valore. Si può comprendere che se restiamo bloccati a questo livello, subentrerà una certa aridità e sterilità.

    ....

    Anche io cominciai dalla pratica Hinayana e, alla fine, mi accorsi dell'aridità in cui mi trovavo. Fu uno shock per me quando mi resi conto di questo e compresi di aver imboccato il sentiero sbagliato. Poi, qualcos’altro accadde spontaneamente. In realtà, non pensai al buddhismo Mahayana o all’ideale del bodhisattva, ma cominciai a dirmi: “Bene, non m’importa di provare neanche un istante di felicità in questa vita, non m’importa di dover rinascere diecimila milioni di volte. Se solo riesco a compiere un atto di gentilezza verso un altro essere in migliaia di milioni di vite, allora tutto questo tempo non sarà stato speso invano.” Nella mia mente, cominciarono a sorgere spontaneamente pensieri come questo, e provai all’improvviso un’incredibile gioia e felicità e un senso di sollievo, che è strano se ci pensate razionalmente: diecimila milioni di vite di attività inutile e di completo dolore e noia. Ma il risultato fu una gioia vibrante e una sensazione di piacere. Era l’evasione dalla prigione dell’autoriferimento della pratica Hinayana.

    Quando la mente entra in questo atteggiamento di desiderio di morte, aspettando solo che tutto finisca, non provi interesse che per te stesso. Diventi cieco e immune verso gli altri. Anche senza volerlo, ti ritrovi a costruire ogni sorta di muri intorno a te stesso. E capisco che è questa la causa che ha portato alla nascita dello spirito e della tradizione Mahayana: far sorgere l’altruismo, la sollecitudine, anche se è un compito smisuratamente vasto, assumerselo in ogni caso. Esso libera il naturale altruismo e senso di affinità che proviamo per gli altri esseri. Riconosciamo, allora, l’interconnessione con tutti gli altri esseri, tutte le altre vite e per rispetto verso di essi, nasce un senso di gioia nel poter dare, aiutare e servire.

    L’interesse per se stessi ci conduce all’esperienza del deserto, anche se notiamo che le contaminazioni più grossolane della mente sono state eliminate o si sono logorate da sole, anche se non siamo posseduti da troppa ansia, desiderio, avidità, avversione, invidia o quant’altro, e la mente è piuttosto in pace. Come vi potete accorgere, dopo un ritiro di una settimana, potete sedere con la mente concentrata, silenziosa e, anziché provare rapimento o un senso di interezza e di totalità, la sensazione è: “E allora? E’ per arrivare a questo che il Buddha formulò il suo insegnamento, questo vuoto mentale, dove non accade nient’altro?” Senza pensieri e sensazioni, senza passioni con cui lottare, è come ritrovarsi in una grigia stanzetta. Non c’è alcun disturbo, ma sembra un’esperienza un po’ insipida per costruirci attorno una religione diffusa in tutto il mondo.
    Pensate: “Questa è una truffa! Ho lottato per cinque o sei anni con la paura o il desiderio e simili e ora raggiungo lo spazio di libertà, sono all’aperto, ed è un deserto. Non è giusto!” Ma poi comprendete che non è questo che il Buddha indicava come la meta della vita santa, perché anche se non scorgi alcun oggetto evidente che fa da ostacolo o da contaminazione, quel che ancora c’è sei tu, o in questo caso, me. C’è il senso dell’io, qualcuno qui che fa l’esperienza, c’è una persona. Questo senso di identità, anche se non è evidente, non spunta fuori in modo vivido, è però una costante presenza. L’io è una struttura psicologica simile a un muro attorno a noi, a una prigione. Ed essendo assorbiti dalla vita nella prigione, non ci accorgiamo di essere rinchiusi. Solo quando tutto si acquieta e si ha la possibilità di guardarsi attorno e di accogliere l’ambiente, si sente il senso di limitazione, di aridità, c’è tedio.

    Anche nel Buddhismo Mahayana, che è estroverso, incentrato sull’altruismo, la generosità, la compassione, lo sviluppo di una vita spirituale per il bene di tutti gli esseri, se la pratica si ferma allo stadio di “Io che dedico la vita ad aiutare gli altri”, anche se in modo altamente sviluppato, alla fine c’è ancora ME e TE, io che aiuto tutti gli esseri senzienti. Anche in questo caso, pure se c’è molta gioia, incontri comunque una barriera, un senso di isolamento o di mancanza di significato. C’è una separazione. E’ dunque importante usare la pratica della meditazione non per restare assorbiti da pensieri e sentimenti altruistici, perché, se fate attenzione, molti degli insegnamenti del Buddha sono rivolti all’assenza di un sé, alla vacuità, come gli insegnamenti su anatta. Se non c’è un sé, chi è che irradia gentilezza sul mondo intero?

    Allora, si capisce che c’è un livello di comprensione, di essere, che è al di là di ciò che è limitato dai concetti di sé e altro. Non importa quanto alta, raffinata e pura possa essere la nostra aspirazione, finché non andiamo al di là del senso di identità con un sé e della separazione, ci sarà sempre una sensazione di incompletezza, si insinuerà l’esperienza del deserto.

    Dunque, se accediamo all’atteggiamento mentale del grande cuore, realizziamo ciò che appartiene alla saggezza della comprensione ultima, della Realtà Ultima, quella che viene definita insegnamento Vajra. Vajra significa diamante o fulmine, indistruttibile, supremamente potente, la Verità adamantina. E’ la comprensione dell’assenza di un sé. Quando si mette l’attenzione sul senso dell’io, si usa la pratica per illuminare le supposizioni che facciamo riguardo alla nostra identità. Dobbiamo distogliere la mente dagli oggetti esterni e portarla sulle supposizioni che creiamo riguardo al “soggetto”. Quando la mente è calma e tranquilla, è molto utile cominciare a investigare: “Chi è la persona che è al centro di tutto questo?” “Chi medita?” “Cosa conosce?” “Chi è colui che conosce?” “Cos’è che conosce pensieri e sensazioni?” E’ quando osserviamo e sfidiamo le supposizioni che esista una celata entità, è allora che all’improvviso i muri della prigione crollano.

    Sei o sette anni fa, feci un’esperienza a questo riguardo, quando cominciai a usare questo tipo di meditazione in un lungo ritiro, chiedendomi: “Chi sono io?” o “Cosa sono io?” e usandolo per creare un’esitazione nella mente, per immettere in una prospettiva il senso del sé, fu come uscire dalla cella di una grigia prigione e ritrovarsi nella luce del sole, in un campo di fiori. Fu una sensazione di grandissima freschezza e di sollievo, come imbattersi in un’oasi nel deserto.

    Il Buddha disse che la più grande felicità è essere liberi dal senso dell’ “io sono”. Può sembrare ad alcuni un po’ ridicolo o insensato, perché il nostro “sé” sembra la cosa più reale di tutto l’universo, “Se esiste qualcosa di reale, quel qualcosa sono io.” Ma è solo perché non abbiamo mai osservato o investigato il senso dell’io, del me, del mio. E’ solo perché non l’abbiamo mai studiata e vista con chiarezza, che questa illusione si mantiene. Se la si guarda da vicino, l’illusione va a pezzi. Non puoi restarne catturato.

    Quando si supera l'illusione dell'ego si scopre che...
    L’unica cosa che esiste è “Ciò che è così com’è” o “Il Meraviglioso” o “La Mente Universale” o qualsiasi altro degli innumerevoli termini che vengono usati.

    Questa è la consapevolezza.

    Il succo della pratica è dimorare costantemente nella qualità della consapevolezza. La vita sarà frustrante e dolorosa se cerchiamo la certezza e la definizione riguardo a essere una persona, un luogo, un essere nel tempo. Solo quando lasciamo andare il senso dell’io, di me e del mio, il senso di essere una persona qui che deve andare o non andare da qualche parte, solo allora c’è un chiaro dimorare nella consapevolezza.

    Si può avere l’impressione di un’infinita regressione, ed è come cadere all’indietro da una rupe. Ma non è così, perché accade che quando lasciamo andare il senso di identità, allora c’è solo il chiaro conoscere. La mente riposa nello stato luminoso, privo di sé, che conosce, che è senza tempo.
    Se permettiamo alla mente di rilassarsi e riposare nel senso del conoscere, nella purezza dell’essere, allora c’è la liberazione, proprio in quel punto c’è la libertà. A quel punto, la mente è consapevole del senso di unità, delle cose come sono, c’è la visione unificante che nella terminologia cristiana è detta beatitudine. La visione di beatitudine è la visione della totalità, dell’interezza, la scomparsa di ogni separatezza. In questa realizzazione, non c’è sé, non ci sei tu con la verità ultima, c’è solo QUESTO, la mente nel suo puro stato risvegliato.
    Ultima modifica di xmanx; 27-03-2020 alle 12:22
    Lo stagista.
    Apprendista stregone.

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