In questo secolo la cristologia presenta lo stesso quadro che presentava la filosofia ai tempi di Kant.

Allora i filosofi erano divisi in due grandi correnti, quella del razionalismo e quella dell'empirismo.
Il razionalismo attribuiva valore soltanto alla conoscenza razionale e svalutava totalmente l'esperienza, viceversa l'empirismo riconosceva valore solo alla conoscenza sensitiva e negava qualsiasi valore all'attività della ragione ed ai suoi concetti.
Contro le tesi estremistiche dei razionalisti e degli empiristi Kant pronunciò la famosa sentenza: " Le sensazioni senza i concetti sono cieche, i concetti senza le sensazioni sono vuoti ".

Anche nella cristologia del nostro tempo abbiamo due correnti estremistiche, le quali tra l'altro hanno una singolare affinità con quelle del razionalismo e dell'empirismo, perché partono da basi gnoseologiche simili. Infatti per la corrente teologica la conoscenza piove tutta dall'alto come per il razionalismo, solo che in questo caso anziché dalla ragione essa proviene esclusivamente dalla fede: la corrente teologica si accosta a Cristo solo con la fede e, di conseguenza, concentra tutta la sua attenzione sulla sua divinità.

Invece per la corrente antropologica la conoscenza proviene dal basso, ossia non più dalla fede bensì dalla ragione, e da una ragione inesorabilmente imprigionata nei sensi come per l'empirismo: si tratta infatti di una ragione profondamente affetta di positivismo scientifico e di scetticismo metafisico; pertanto la corrente antropologica si accosta a Cristo con la disposizione a coglierne soltanto l'aspetto empirico, sperimentale, fenomenico.

Parafrasando l'espressione kantiana ci pare legittimo pronunciare contro queste due impostazioni la seguente sentenza: l'impostazione antropologica è cieca, infatti ci dà frammenti di umanità senza la forma interiore della divinità; l'impostazione teologica è vuota, infatti ci dà la struttura divina senza però sostanziarla di umanità.