…era impensabile che una donna ai tempi di Shakespeare , potesse avere il genio di Shakespeare. Perché un genio come quello di Shakespeare non nasce tra gente ignorante, asservita, costretta a fare i lavori pesanti. Non era nato in Inghilterra tra i Sassoni o i Britanni. Non nasce oggi tra il proletariato. E dunque come avrebbe potuto nascere tra donne che, a quanto dice il professor Trevelyan, cominciavano a lavorare quasi prima di lasciare la tutela della balia, le quali a questo venivano costrette dai loro genitori e poi dal peso della legge e della tradizione? Eppure una qualche specie di genio deve essere esistito tra le donne, così come deve essere esistito nel proletariato. Di tanto in tanto una Emily Brontë o un Robert Burns esce fuori, splendente, a testimoniare la sua esistenza. Ma certamente quel talento non riuscì mai a raggiungere l’espressione letteraria. Eppure, ogni qualvolta leggiamo di una strega che è stata affogata, di una donna posseduta dal demonio, di una levatrice che vende piante medicinali, o persino dell’esistenza della madre di qualche personaggio straordinario, allora io credo che siamo sulle tracce di un romanziere mancato, di un poeta condannato al silenzio, di una Jane Austen muta e senza gloria, di una Emily Brontë che doveva essersi bruciata il cervello nella brughiera o si aggirava gemendo per le strade, resa folle dalla tortura che il suo stesso talento le infliggeva. E a dire il vero mi arrischierei a sostenere che Anonimo, che tante poesie ha scritto senza mai firmarle, spesso era una donna. Ed era stata una donna – credo fosse Edward Fitzgerald a dirlo -, a creare ballate e canti popolari, mentre li canticchiava ai suoi bambini o se ne serviva per ingannare la noia della filatura o delle lunghe sere d’inverno.

Una stanza tutta per sè, Virginia Woolf.