A Roma, nel Museo Nazionale Romano, nella sede delle antiche Terme di Diocleziano, dal 4 maggio al 30 luglio di quest’anno, in occasione della grande mostra titolata “L’istante e l’eternità”. Tra noi e gli antichi”, verranno esposti circa 300 pezzi tra opere greche, romane, etrusche, italiche, e l’atteso “carro della sposa”, che veniva usato dalle persone benestanti per le cerimonie di matrimonio.



Fu rinvenuto nel 2021 a sei metri di profondità in un ambiente che faceva parte di un portico a due piani aperto su un cortile nella bella villa di Civita Giuliana, a nord del complesso archeologico di Pompei.

Nella stessa area, nel 2018, furono rinvenuti nella stalla i resti di tre cavalli con le loro bardature. Erano pronti per portare in salvo delle persone presenti nella casa, ma queste non fecero in tempo. Furono sopraffatte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d. C., descritta da Plinio il Giovane in due lettere in cui raccontava le tragiche circostanze della morte dello zio, Plinio il Vecchio, partito con una nave dal porto militare di Miseno (Campi Flegrei) per portare soccorso agli abitanti di Pompei.

Chissà se quel giorno di festa la giovane sposa l'abbia vissuto oppure le fu impedito dall’eruzione vulcanica.





Questa tipologia di carro, che i Romani chiamavano “pilentum” , era conosciuto dagli studiosi soltanto dalle immagini su mosaici, bassorilievi e dal racconto delle fonti antiche: Livio, Virgilio, Claudiano.

Dopo il lavoro archeologico per il recupero, durato un anno, il carro è stato studiato, ricostruito, restaurato in ogni suo pezzo e assemblato con un lavoro che non ha precedenti.

Quando fu rinvenuto c’erano impresse nella cinerite le tracce delle corde, delle stoffe, dei legni. Nella cenere anche l’impronta delle due spighe di grano lasciate sulla seduta. Tutte cose che il tempo ha dissolto.

Era una lussuosa carrozza, con lo stretto cassone di legno, dipinto, ornato con medaglioni in bronzo e in argento, sui quali ci sono impressi amorini, scene erotiche con abbracci e amplessi, figure femminili.



I restauri che hanno reso leggibili i decori riportando alla luce centinaia di particolari, confermano il legame di questo carro con il mondo femminile e con le nozze.

Il deperito legno del cassone è stato ricostruito con elementi in plexiglass per indicare le parti mancanti. Le grandi ruote del carro erano in legno di faggio e cerchioni in ferro.

Il fenomeno della mineralizzazione ha mantenuto in parte i tronconi dei mozzi in legno, il lungo perno in ferro che garantiva il movimento delle ruote anteriori ancora funziona.

Della spalliera della seduta è rimasta soltanto la parte in ferro, ma è facile immaginarla coperta di cuoio e di comodi cuscini, con i due braccioli per rendere più agevole il percorso alla sposa e a chi l'accompagnava verso la casa dello sposo.

Con la ricostruzione delle parti mancanti, il carro è diventato visibile non solo nella sua grandezza, ma anche nei suoi colori e nell’estetica complessiva.

Un carro simile a questo fu rinvenuto anni fa nell'antica Tracia, in una tomba appartenuta a una famiglia di alto rango. Per non danneggiarlo si decise di lasciarlo nel tumulo senza restaurarlo né rimontarlo.

Post scriptum: il sito archeologico della villa di Civita Giuliana fu scoperto dagli archeologi e parzialmente indagato nei primi anni dello scorso secolo. Purtroppo fu trovato anche dai cosiddetti “tombaroli”, che scavarono numerosi cunicoli per cercare manufatti artistici e monili da vendere clandestinamente all’estero.

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