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Discussione: Imparare a vivere

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    Imparare a vivere



    Il prof. Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica nell’università di Torino, ha recentemente pubblicato da Laterza un suo libro titolato: “Imparare a vivere. Vivere, sopravvivere, previvere, convivere”: sono le tappe attraverso cui questo libro fa riflettere sul significato della vita e a come si possa imparare a vivere. Ciò è possibile ? Stando a quanto scrisse due mesi prima di lasciare il mondo l’amico fraterno di Ferraris, il filosofo Jacques Derrida, imparare a vivere non è possibile, perché significherebbe accettare definitivamente il fatto di dover morire.

    Se si accetta l’idea heideggeriana che la morte conferisce alle nostre azioni un orizzonte di significato, è anche vero che il pensiero della morte, quando riesce a farsi spazio nella mente non ne esce più e ci immalinconisce.

    In questo libro l’autore spazia su vari temi ma inizia descrivendo una caduta accidentale che lo costringe ad una sosta nella propria quotidianità. Egli dice che nel momento in cui ci si ferma, la galassia di sentimenti e risentimenti che emergono è fatta dalla memoria delle cose vissute nel passato, nel proprio intimo, attraverso gli altri, intrecciata alle cose apprese anche attraverso i libri, la letteratura, da Montaigne a Heidegger, da Nietzsche a Derrida, da Proust a Yourcenar, da Fitzgerald a Hemingway.

    Il banale incidente sembra suggerire che tutto quello che avevamo ritenuto stabile, potrebbe finire. Che forse non abbiamo ancora imparato a vivere. È proprio in quel momento che vale la pena di provarci ancora una volta, sperando che il vento si levi, disincagliandoci dalla secca in cui siamo finiti.

    “Il nostro tempo ha una scadenza ultima e la realtà ci oltrepasserà, esisterà ancora e indipendentemente da noi, quando noi saremo trapassati. L’errore fatale che possiamo commettere è quello di ignorare la questione: come il pesce dell’aneddoto raccontato da David Foster Wallace (che, per dovere di cronaca, si è suicidato) e che campeggia quale simbolo sulla copertina del libro. Due giovani pesci, nuotando, ne incontrano uno più anziano che chiede loro «Com’è l’acqua, oggi?», ma uno dei due giovani risponde: ‘Cos’è l’acqua?’. Come l’acqua per i pesci che non sanno di nuotarvi, così può essere per noi una vita vissuta nella totale inconsapevolezza; il che costituisce un grande peccato, se non religioso di certo filosofico”.

    Ferraris ha fede in quella che egli definisce la “cultura tecno-umanistica”. Secondo lui, noi esseri umani siamo composti da due nature indissolubili: la natura organica, che cessa con la morte, e la natura tecnica, capace di sopravviverci, nella misura in cui l’essenza di homo sapiens coincide con la sua abilità tecnica; e ciò sin dai tempi remoti in cui imparò a fabbricare manufatti e a raccogliersi in gruppo attorno a un fuoco per narrare storie. Infatti, l’artefatto tecnico più straordinario di cui dispone la nostra specie è la scrittura, la trascrizione di storie in documenti capaci di trasmettere il sapere alla collettività al di là della cessazione della vita del singolo. Gli apparati di registrazione, pitture rupestri, papiri, taccuini, volumi, pdf o podcast, film o anche solo post sui social, rappresentano una forma di sopravvivenza, se non del corpo, quantomeno del corpus di informazioni (più o meno utili) da tramandare ai posteri.

    C’è, anche, l’esercizio del previvere, cui ci si dedica da giovani immaginando cosa sarà il futuro adulto fintanto che il futuro non si fa davvero presente, sovrastandoci con la sua ingombrante realtà. Possiamo previvere grazie alle opere letterarie o cinematografiche, attraverso la finzione, utile frutto di quella cultura tecno-umanistica di cui Ferraris tesse l’elogio: le opere di finzione ci fanno provare con l’immaginazione esperienze che avranno un’inevitabile ricaduta nel modo in cui vivremo la nostra vita.

    Nella scrittura, nella lettura, nella comunicazione e condivisione di documenti c’è l’insegnamento che ci proviene dal convivere. Siamo animali socievoli, inestricabilmente legati agli altri, a chi ci sta a fianco e a coloro di cui leggiamo a distanza di secoli. Sono gli altri a darci un significato, sin dalla nascita, sin da quando imparammo a sorridere imitando il sorriso di nostra madre e a recitare filastrocche. Oggi, nell’era dell’individualismo e del narcisismo, è importante ribadire che la convivenza e l’empatia costituiscono l’essenza stessa della nostra umanità e il vero antidoto a ogni forma di nichilismo.
    Ultima modifica di doxa; 18-03-2024 alle 21:40

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