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رباني
Come eravamo
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Dov’é finito Jack?
La nostra auto non era una Cadillac del 1947, non sapevamo cos’erano le tortillas e i bordelli messicani erano lontani.
Anche noi però avevamo le nostre serate da passare sui Navigli in pessimi locali dove il Lambrusco della casa avrebbe potuto servire a smacchiare la tuta del lavoro dal grasso per automobili e a togliere la ruggine alla catena della bicicletta.
Per questo ci sentivamo un po’ Kerouac e, con le nostre camice militari comprate usate, anche un po’ Che Guevara.
Quando c’era il ponte di Pasqua, tutti a Monterosso che era sì bello ma soprattutto aveva questo nome, Monte - rosso e valeva ben una messa solo per questo.
La nostra strada era fatta così.
Con gli occhi di oggi di una banalità disarmante.
Un’utilitaria, una tenda, un bottiglione di vino e tre chitarre.
Come Jack sognavamo anche noi un mondo diverso dove l’amicizia e la semplicità avrebbero vinto sulla guerra e sulla competizione, la musica avrebbe preso il sopravvento sui conflitti grandi e piccoli, la solidarietà avrebbe sconfitto l’egoismo.
Come in un film americano allora diventato culto, uno si sposò, l’altro tornò al paese d’origine, il terzo cominciò ad avere i suoi problemi di salute e il quarto salutò tutti e partì per l’India, ognuno alla ricerca della sua di strada da percorrere.
Allora non lo sapevamo ancora ma “sulla strada” avrebbe presto acquistato un significato diverso.
Se qui era ancora un atteggiamento nel difficile percorso alla ricerca di un’identità, negli anni a seguire diventerà l’impulso par la ricerca della verità ultima, di un valore universale ed eterno, di un punto di riferimento che possa valere per tutto e per sempre.
Dei quattro, uno ci ha già lasciati senza un vero perché, dell’altro non ci sono più tracce, il terzo suona ancora la sua chitarra e il quarto rimane lontano.
Ognuno di quelli rimasti è a modo suo ancora sulla strada perché questa ricerca non finisce, credo, mai.
Ad ogni Aha! per un traguardo raggiunto, si apre un nuovo orizzonte, più grande, più vasto, più lontano e la corsa riprende di nuovo in un paesaggio che muta in continuazione e che è la ricompensa per il tragitto compiuto fin qui.
È un viaggio fatto di momenti di grande esaltazione e di profonde delusioni, di corse al limite del possibile e soste interminabili, di luce abbagliante e buio pesto, di deserti torridi e foreste lussureggianti, di solitudini assordanti e di compagnie dolcissime.
È un viaggio al quale non potrei mai più rinunciare.
Le condizioni dei viaggiatori cambiano di minuto in minuto. Il sacco a pelo è stato sostituito da comodi materassi, la tenda è un appartamento con ogni comodità, l’utilitaria sostituita da un’automobile con l’aria condizionata e il cambio automatico, per gli spostamenti più lunghi si prende l’aereo ma la scintilla che portavamo dentro di noi si è trasformata in un incendio impossibile da spegnere anche quando, nei momenti del dubbio, è ricoperto di cenere e tutto sembra perduto. Un soffio del vento e il fuoco riprende a bruciare più intenso di prima.
Sono i momenti nei quali so che Jack è ancora vivo, anche se il mio Jack non è più quello di Kerouac ma di Siddharta, non è un beatnik ma un derviscio, non nutre la sua estasi col vino ma con l’ambrosia, non percorre più le strade di questo mondo ma quelle interiori dello spirito e del cuore e i suoi compagni di viaggio non sono degli ubriaconi stipati in una vecchia Cadillac del ‘47 ma persone splendide che condividono con lui gli stessi tormenti, gli stessi dubbi, gli stessi momenti di felicità, condivisa a volte in maniera rumorosa, a volte con lunghi silenzi, a volte vicini, a volte separati da distanze che solo in apparenza ci tengono lontani.
Ecco dov’è finito Jack.
Jack è cambiato, sulla strada dei vagabondi del dharma.
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