“il cervello che ride. Neuroscienze dell’umorismo” è il titolo del saggio scritto dalla neuroscienziata Mirella Manfredi (Carocci edit.) per svelare i lati nascosti del fenomeno cognitivo inerente all’umorismo. A proposito di questo, ricordate il film “Io e Annie”, diretto e interpretato da Woody Allen ?

La trama: Alwy Singer è un attore comico che lavora per la radio e per la televisione. Ha successo, ma spesso viene coinvolto dalla depressione. Già messo in passato a dura prova da due matrimoni falliti, ha una storia con Annie Hall (interpretata dall’attrice Diane Keaton), intellettuale, carina, benestante, con ambizioni personali nel ramo dello spettacolo. Ambedue stanno sulla difensiva. Condividono interessi professionali, ma anche una certa instabilità emotiva.

Nel divertente film la comicità è surreale, con riferimenti autobiografici, dialoghi scoppiettanti e spietati, bizzarri richiami alla sessualità, la malinconia e la nevrosi esistenziale.

Woody Allen e Diane Keaton sono l'amalgama perfetto per rappresentare una coppia nevrotica e discontinua nel loro rapporto fatto di prendersi e lasciarsi.

Caro Cono, tu che frequenti il centro di ascolto parrocchiale e morbosamente vuoi sapere le afflizioni degli altri, ti domando se è vero che le donne s’innamorano di uomini che le fanno ridere, mentre gli uomini prediligono partner che ridono alle loro battute.

Studi neuroscientifici ed evoluzionistici hanno dimostrato come la capacità degli individui maschi di far ridere sia un tratto distintivo che attrae le femmine. Infatti l’umorismo è il risultato di complesse funzioni neurocognitive ed è associato ad un alto quoziente intellettivo. Di contro, l’opinione che gli uomini siano più divertenti delle donne è soltanto un pregiudizio culturale, che si palesa già in età scolare e che poi influenza per tutta la vita la percezione e la fruizione dell’umorismo sulla base di una distinzione di genere.

Ridere insieme è un potente collante sociale, è utile a rendere più solide le relazioni in un gruppo. Una convincente conferma di questa finalità sociale è il fatto che nell’esperienza umoristica ha un ruolo importante l’empatia.

La Manfredi nel suo citato libro dice che esiste un modello teorico in base al quale si distinguono quattro differenti forme di umorismo sociale:

quello affiliativo, utile a facilitare i legami interpersonali;

l’autovalorizzante, che coglie gli aspetti comici in situazioni stressanti;

l’aggressivo, che denigra sarcasticamente gli altri;

l’autodistruttivo, denigra sé stesso per far ridere gli altri.

Quindi se ridiamo, ridiamo sempre con e per gli altri, anche quando siamo soli, per esempio quando leggiamo alcuni post nel forum.

Lo aveva già intuito, in parte, Sigmund Freud nel suo saggio sull’umorismo, pubblicato nel 1927. Questo psicoanalista proponeva, fra le altre, questa storiella:

“Un re esce dal palazzo per recarsi in piazza ; qui, in mezzo alla folla, vede un uomo del popolo che gli somiglia in modo sorprendente; allora il re gli si rivolge e gli chiede: ‘Vostra madre è mai stata a palazzo ?’; e quello fulmineo, gli risponde: ‘No, ma c’è stato mio padre’.”