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"Ignorante"....cioé, "Ateo"?
Premessa: coppola coi sonagli lasciata in guardaroba. Assenza di "giullaraggine" garantita. Polemica, sarcasmo, ironia: idem
Per me, a oggi, la domanda sull’origine dell’Universo resta sospesa in un punto di elegante tensione: chi o cosa ha originato il vuoto primordiale? Detto altrimenti: da dove proviene ciò che ha preceduto la materia, le forze fondamentali e persino il tempo stesso? La fisica quantistica, per quanto avanzata, non ha ancora raggiunto il confine di quella che potremmo chiamare ontogenesi(oggi i paroloni sono in saldo) cosmica. Al massimo descrive ciò che avviene dopo l’istante di Planck (10^-43 secondi), ma ciò che sta prima, se “prima” ha senso, rimane un orizzonte teorico più che un dato empirico.
Similmente, la domanda sull’origine della vita resta tuttora aperta. Come è avvenuto il passaggio dal non-vivente al vivente? Come si è costituito il primo procariote? Le ipotesi sono molteplici: chimiche (Miller-Urey), ambientali (bocche idrotermali), informazionali (RNA world), e negli ultimi anni si affacciano proposte bioquantistiche, come quelle di Giuseppe Vitiello, Roger Penrose, Paul Davieso o Jim Al-Khalili che postulano un ruolo attivo della coerenza quantistica nei processi prebiotici. Ma si tratta, ancora una volta, di ipotesi, non di teorie. Eleganti, ispirate, ma prive di una verifica conclusiva. Di falsificazione definitiva.
In questo scenario, la comunità scientifica è tutt’altro che omogenea. Alcuni scienziati e filosofi della scienza ipotizzano la presenza di un principio ordinatore o di una razionalità creatrice: una forma di intelligenza o coerenza che precede l’universo osservabile, non nel senso religioso del termine, ma in quello strutturale. Fabiola Gianotti, direttrice del CERN, in una recente intervista dichiarava: “L’universo è troppo armonico per essere frutto del caso. La bellezza delle equazioni può avere un significato che va oltre la nostra comprensione attuale.” Un’affermazione che non implica un Dio, ma nemmeno lo esclude. E sull'argomento, non dice né di più, né di meno. Sempre.
Dall’altro lato, scienziati come Steven Weinberg, Richard Dawkins o Lawrence Krauss insistono sull’autosufficienza dell’universo fisico e sulla completa eliminazione di ogni residuo “metafisico”. Weinberg scrive: “Più l’universo ci appare comprensibile, più ci appare privo di scopo.” Dawkins definisce la religione “un virus mentale” e considera l’ipotesi di Dio un’illusione evolutiva. Krauss, infine, nel suo "A Universe from Nothing", propone un modello secondo cui l’universo può emergere dal “nulla quantistico”. "un nulla" che é tuttaltro che nulla. Piuttosto "un vuoto" strapieno di "energia/e"
Ora, dentro questo spazio di tensione, mi colloco: monellaccio giullare, ingegnere e lettore di fiosofi . Uno che sa che i modelli hanno limiti, sfruculeia (=titilla timorosamente) sistemi complessi, apprezza la logica ma si nutre di dubbi. Questo giullare non afferma di sapere, né si nasconde dietro formule evasive: si dichiara ignorante, nel senso più serio e socratico del termine. E si chiede se debba essere definito ateo
La risposta dipende, innanzitutto, da cosa si intenda con "ateo". Se con ateo si intende colui che nega esplicitamente l’esistenza di ogni divinità, intelligenza, principio ordinatore o mente cosmica, allora no: il giullare non è ateo. Non nega, ma sospende. Riconosce che ci sono domande alle quali la scienza non ha risposto ancora e forse non risponderà mai, e proprio per questo non si pronuncia dogmaticamente né in un senso né nell’altro.
Alcuni, tuttavia, intendono l’ateismo in senso più ampio: chi non crede, anche se non nega. In tal caso, il giullare potrebbe apparire come un “ateo pratico”. Ma questa classificazione risulta imprecisa. Perché lil giullare non si definisce in base a ciò in cui non crede, ma in base all’atteggiamento epistemico (parolone domenicale detto. check): sospensivo, critico, radicalmente metodico.
A questo punto, è necessario chiarire una distinzione cruciale: il concetto di razionalità creatrice non coincide, né implica, un’adesione religiosa. Troppe volte, nel dibattito pubblico, si sovrappongono impropriamente questi due piani. Una cosa è ipotizzare che l’universo manifesti un ordine sottostante, una struttura non arbitraria, forse una logica intrinseca. Un’altra è aderire a un sistema dottrinale, con rituali, dogmi, morale prescrittiva e una teologia narrativa.
Il giullare lo sa bene.
Sa che Einstein, ad esempio, parlava di una “religiosità cosmica” fondata sull’ammirazione per l’armonia dell’universo, ma rifiutava esplicitamente ogni religione storica: “Credo nel Dio di Spinoza, che si rivela nell’ordine armonioso di ciò che esiste, non in un Dio che si occupa del destino degli uomini.” e diceva peste e corna della cristiano-giudaesimo.
Spinoza stesso, nel Trattato teologico-politico, difende una visione panteistica: Dio è la Natura, non un ente separato e giudicante.
Similmente, il filosofo Alfred North Whitehead propose un’idea di divinità come processo, come polo attrattivo di organizzazione, non come monarca sovrano.
Carlo Rovelli, fisico e pensatore, pur dichiarandosi non credente, insiste sulla bellezza delle leggi fisiche e sulla relazionalità come principio fondante della realtà. Tutte visioni che lasciano spazio a una razionalità cosmica, ma non religiosa in senso tradizionale.
In questa chiave, il giullare (esplodendo in un delirio di grandezza del proprio IO magniloquente) si avvicina alla figura di Socrate, che nel Teeteto si presenta come “ostetrico dell’anima”: uno che sa solo di non sapere, e proprio per questo aiuta gli altri a partorire idee.
Il giullare, tra le equazioni di Maxwell, i limiti di Gödel e l’indeterminazione di Heisenberg, sa che ogni teoria è iscritta in un sistema di limiti: logici, matematici, linguistici.
Il principio di indeterminazione sancisce non solo un limite tecnico alla misurazione, ma una vera soglia ontologica: non tutto ciò che esiste è determinabile.
E lo stesso Stephen Hawking, pur apertamente ateo, ammetteva che una teoria del tutto non risolverebbe comunque il problema di fondo: perché c’è qualcosa invece di nulla? Una domanda che, già in Leibniz, segnava il confine ultimo della ragione metafisica
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Alla luce di tutto ciò, il giullare non si ritiene/definisce ateo. Non per residuo fideistico, ma per diligenza intellettuale. Egli non rifiuta la possibilità di una mente cosmica, ma neppure la invoca come tappabuchi epistemico(insisto con i paroloni in saldo domenicale e checido' e checido'). Non cade nella fallacia della spiegazione totale, ma coltiva un’ignoranza attiva, che non la smette di interrogare ed interrogarsi.
Si potrebbe dire che è un devoto dell’incertezza. Non venera un Dio, ma il dubbio e la domanda: rifiuta le scorciatoie: tanto quelle della fede imposta quanto quelle del rifiuto assoluto.
E proprio perché è abituato a progettare sistemi, a cercare coerenze, a scoprire difetti strutturali, si sforza di non scambiare mai un modello per la realtà. Che ci riesca, altro discorso.
In un mondo sempre più polarizzato tra teismo dogmatico e scientismo radicale, il giullare cerca una terza via. Come nelle domande a risposte obbligate. Posizione intellettuale, forse addirittura etica, sospensiva, che non pretende risposte definitive, ma nemmeno rinuncia alla domanda.
In questo senso, egli non è né credente né ateo. È un ignorante metodologico, un ricercatore che non si accontenta, ma neppure si illude..
Uno umile non davanti a un nome, ma davanti all'equazione irrisolta
Che cerca la soluzione, evitando le scappatoie più facili. Quelle usate da tutti. O quasi.
Si....."vassapé"....esattamente.
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