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Giacomo Casanova
A Venezia, fino al 27 luglio nel museo di Palazzo Mocenigo c’è la mostra dedicata all’immagine e all'eleganza maschile al tempo di Giacomo Casanova: scrittore, poeta, avventuriero e diplomatico. Icona di un’epoca e di una civiltà, egli è anche chiave di lettura del Settecento europeo, delle grandi corti, delle dinastie, degli incontri con i protagonisti del mondo culturale e artistico.

La mostra di abiti del Settecento, in parte provenienti dalle collezioni del Museo di Palazzo Mocenigo e a prestiti dal Museo Stibbert di Firenze, consente di entrare nell’universo settecentesco di cui Casanova fu uno dei più illustri protagonisti.
La rassegna nelle sale del primo piano nobile del museo, aiuta a comprendere quanto e come l’estetica fosse un linguaggio non solo nella declinazione seduttiva, ma soprattutto nell’affermazione sociale del singolo individuo in un’epoca in cui la visibilità era l’unico mezzo per ribadire il proprio ruolo sociale ed economico.

L’esposizione evidenzia come l’abbigliamento maschile abbia subito una progressiva trasformazione: da espressione di potere a simbolo di raffinatezza, cultura e sensibilità.
La moda del tempo, che si codifica principalmente nel completo di tre pezzi (marsina, gilè e calzoni), affina e si semplifica, abbandonando le ridondanze dei secoli precedenti e anticipando l’eleganza discreta che ancora oggi caratterizza il vestire maschile.
Giacomo Casanova era un uomo colto e spregiudicato. Quando gli dicevano che il titolo nobiliare con cui si presentava (cavaliere di Seingalt) era falso, rispondeva senza vergogna: “L’alfabeto è di tutti. Ho preso otto lettere e le ho combinate insieme. La parola che ho formato mi è piaciuta e l’ho adottata”.
Il gioco d’azzardo era il vizio più diffuso nella nobiltà europea. Casanova aveva cominciato a giocare quasi adolescente: “Non avevo la forza di andarmene quando ero sfortunato”. Per breve tempo pensò di trasformare quel vizio in una professione poi desistette. Non sempre barava per vincere. A volte perdeva di proposito per lusingare l’avversario.
Le sue ossessioni furono le numerose conquiste femminili. Per sedurre le “prede” usava qualsiasi mezzo, abbinava all’arte l’inganno, alla seduzione il genio per conquistare la sfuggente voluttuosità della donna.
Per lui ogni momento della vita era un’occasione di misurarsi con la sorte: distruggeva i suoi successi, provocava i potenti, esagerava con i suoi raggiri.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Dux, in un isolato castello della Boemia, come bibliotecario di un giovane ammiratore, il conte di Waldestein. Quando tornava il conte, il castello si animava e a Giacomo sembrava di tornare ai bei tempi, ma subito i domestici provvedevano a irritarlo obbligandolo a cenare su un tavolino a parte, con la scusa che non c’era più posto. Aveva creduto di incutere soggezione alla servitù indossando la sua fastosa tenuta di gala, ma invano. Furente gridò: “Siete delle canaglie, dei giacobini, mancate di rispetto al conte e il conte mi manca di rispetto non punendovi”. Poi disse a Waldestein: “Non sono un gentiluomo, ma mi sono fatto gentiluomo”.
Ormai si sottraeva a un deludente presente rifugiandosi con il pensiero nello splendore del passato.
Morì a Dux (oggi Duchcov, nella Repubblica Ceca) il 4 giugno 1798.
Ultima modifica di doxa; 06-06-2025 alle 08:42
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