Riassuntino per chi non abbia tempo/voglia di leggere
In sintesi, le "tecniche retoriche" non sono in sé manipolazione: la loro "eticità" dipende dal contesto, dalle intenzioni e dagli effetti. Diventano tossiche quando usate per oscurare, confondere, imporre, mirando a limitare la capacità di giudizio dell’altro senza che se ne accorga, operando nell’ombra della fiducia, sfruttando le vulnerabilità relazionali, cognitive ed emotive.
Quindi, stateve accuorte...
Nel post successivo: "Manualetto di istruzioni"





La Legge Naturale, l'unica, é quella della "sopravvivenza", della stirpe e quindi dell'individuo che la compone. Ne consegue che l'individuo, per "sopravvivere", deve "farsi spazio" con i mezzi che madre natura gli ha dato. L'ommo (e la fimmina pure) hanno avuto intelliggggienza e socialità.
Per "farsi valere", invece della cornata, del mozzico, dell'artigliata...o della mazza ferrata l'ommo (e la fimmina) intelliggienti usano mezzi meno violenti : l'argomentazione, il dialogo, il ragionamento. Una tecnica/scienza chiamata in tempi remoti "retorica". (Oggi, "comunicazione". In inglisc e non da sola, con un sacco di altri termini, rigorosamente inglisc. Fa "figo" e....soldi)

La retorica, sin dalle sue origini nell’antichità greca, è stata intesa come l’arte del persuadere mediante il linguaggio.
Strumento nobile e potente, essa si presenta come una tecnologia del discorso capace di orientare il giudizio e l’azione degli altri senza l’uso della forza, sostituendo alla costrizione la seduzione del logos.
Ma, allora, la retorica é manipolazione ? O dualmente, la "I]manipolazione[/I] é buona e salutare? Quando e come la retorica, da arte della persuasione legittima, degenera in manipolazione?
Dove si colloca il crinale fra il sostenere razionalmente un proprio volere e l’indurre l’altro ad aderire capziosamente (bello, vero? ) a una visione che non avrebbe autonomamente scelto?
Sfoggiamo un po' di ricordi dei Bignami del liceo:

Nel Gorgia, Platone attribuisce a Socrate una severa critica della retorica, definita come una pratica meramente opinativa, priva di una vera conoscenza del bene. Retori come Gorgia o Isocrate sarebbero, per Socrate, “adulatori dell’anima”, capaci di produrre piacere ma non verità. Tuttavia, già Aristotele risponde a questa accusa distinguendo la ῥητορική come δύναμις τοῦ θεωρεῖν τὸ ἐνδεχόμενον ovvero la retorica come capacità di vedere il possibile in ogni situazione.
Nella Retorica, Aristotele fonda l’arte oratoria su tre pilastri: logos (argomentazione razionale), ethos (credibilità dell’oratore), pathos (coinvolgimento emotivo del pubblico).
In questa visione, la retorica non è un inganno, ma una forma di razionalità pratica che tiene conto di tutti gli aspetti, sia ambientali che individuali

La questione centrale, che distingue un uso legittimo della retorica da un uso tossico, è l’intenzionalità di chi parla o scrive, ed il riconoscimento dell’altro come interlocutore libero. Se la retorica è impiegata per esporre con efficacia le proprie ragioni, cercando l’assenso altrui attraverso un confronto di posizioni, é una tecnica raffinata di argomentazione.
Al contrario, la manipolazione comincia quando si mira a influenzare il comportamento altrui senza che l’altro possa realmente comprendere o valutare l’insieme degli elementi in gioco. Il manipolatore cerca che l’altro sia spinto ad aderire e stop, magari illudendosi di averlo fatto liberamente.

La manipolazione, dunque, è una forma degenerata della retorica in cui il discorso diventa uno strumento per aggirare l’autonomia dell’altro. Hannah Arendt, in "Vita activa", distingue tra potere e violenza: il primo è fondato sul consenso, la seconda sull’imposizione.
La manipolazione tossica è quindi un atto deliberato di controllo relazionale asimmetrico, dove chi manipola non cerca un’adesione consapevole, ma una risposta automatica, quasi condizionata.
Il problema non sta nell’efficacia retorica in sé, ma nel fatto che essa viene impiegata per ottenere consenso senza trasparenza, limitando la libertà dell’altro.
In questo senso, la manipolazione è una forma di violenza simbolica, sottile ma pervasiva, che consuma fiducia e senso critico, trasformando il dialogo in strumento di dominio.

Per questo motivo, un’etica della comunicazione ,fonda la legittimità del discorso sull’argomentazione libera da coercizioni in quanto solo in condizioni di simmetria dialogica e trasparenza è possibile un discorso autenticamente persuasivo e non manipolativo.
Chi parla deve poter essere contraddetto, e l’altro deve essere messo in condizione di comprendere, valutare, e scegliere consapevolmente.

Per evitare tali derive, occorre sviluppare una consapevolezza critica del discorso: come ascoltatori, allenarsi a riconoscere le strategie argomentative e le emozioni che veicolano.

E allora, concretamente?
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