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Compiuta Donzella
Gentile Regina d'Autunno è un po’ che non ti dedico un post. Per redimermi oggi ti offro un topic, titolato “Compiuta Donzella”: pseudonimo dello sconosciuto nome di una poetessa nata a Firenze, vissuta nel XIII secolo. Sono tre suoi sonetti in volgare toscano, influenzati dagli stili trobadorico e giullaresco, conservati in un codice manoscritto, il “Canzoniere Vaticano Latino 3793”., conservato nella Biblioteca Vaticana.
È un codice realizzato a Firenze tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento. I paleografi hanno individuato l’alternarsi, all’interno del manoscritto, di una quindicina di grafie diverse, appartenenti a scrivani non professionisti.

Il codice, composto da ventiquattro fascicoli, è diviso in due parti: nella prima parte le canzoni, più di trecento, nella seconda i sonetti.
Sono quasi mille i componimenti poetici trascritti. Molti sono di autori noti: Giacomo da Lentini, Guido Guinizzelli, Guittone d’Arezzo, e di altri poeti cosiddetti minori per i quali questo manoscritto rappresenta l’unico testimone che ne conservi nomi e testi: se fosse andato perduto, di tanti poeti si sarebbe completamente ignorata l’esistenza, tante poesie non si sarebbero potute leggere.
Tra i molti nomi di poeti pre-stilnovisti altrimenti sconosciuti, sfogliando il Vaticano Latino 3793 c’è quello della poetessa, Compiuta Donzella. Sono soltanto tre i componimenti a suo nome custoditi dal codice vaticano.
Essi sono:
“A la stagion che 'l mondo foglia e fiora”: la poetessa lamenta l'infelicità della propria condizione: all'immagine di gioia di tutte le damigelle nelle quali la primavera suscita l’amor cortese, Compiuta Donzella contrappone lo smarrimento per il proprio infausto destino di promessa sposa contro la sua volontà.
“Lasciar vorria lo mondo e Dio servire”: in questo sonetto emerge il contrasto fra il suo proposito di diventare monaca e quello del padre deciso ad obbligarla a contrarre matrimonio.
“Ornato di gran pregio e di valenza”: è una tenzone con un poeta anonimo vissuto nello stesso secolo, che alcuni critici identificano con il fiorentino Chiaro Davanzati, influenzato dai temi della “Scuola siciliana”.
Ecco i testi dei tre sonetti:
«A la stagion che ‘l mondo foglia e fiora
acresce gioia a tut[t]i fin' amanti:
vanno insieme a li giardini alora
che gli auscelletti fanno dolzi canti;
la franca gente tutta s'innamora,
e di servir ciascun trag[g]es' inanti,
ed ogni damigella in gioia dimora;
e me, n'abondan mar[r]imenti e pianti.
Ca lo mio padre m'ha messa ‘n er[r]ore,
e tenemi sovente in forte doglia:
donar mi vole a mia forza segnore,
ed io di ciò non ho disìo né voglia,
e ‘n gran tormento vivo a tutte l'ore;
però non mi ralegra fior né foglia.»
Nella prima parte di questo sonetto Compiuta Donzella presenta la primavera come la stagione degli amori, nella quale gli amanti possono esprimere i loro sentimenti. In antitesi con le prime due strofe abbiamo le seconde due nelle quali la poetessa, contrariamente alle altre fanciulle, non può subire il fascino dell'innamoramento e non può abbandonarsi all'amore perché destinata, per volere del padre, a un uomo che non ama. La sofferenza che ciò le provoca che di quel rapporto non ha né "disio" né "voglia", è maggiormente accentuata dal contrasto con la primavera, motivo di gioia per le altre fanciulle, ma anche simbolo di fertilità, di spensieratezza e di gaudio. La natura fiorente non la "ralegra", anzi, a causa dell'errore in cui si trova, ella vive in tormento.
Secondo sonetto:
“Lasciar voria lo mondo e Deo servire
e dipartirmi d'ogne vanitate,
però che vegio crescere e salire
matezza e villania e falsitate,
ed ancor senno e cortesia morire
e lo fin pregio e tutta la bontate:
ond'io marito non voria né sire,
né stare al mondo, per mia volontate.
Membrandomi c'ogn'om di mal s'adorna,
di ciaschedun son forte disdegnosa,
e verso Dio la mia persona torna.
Lo padre mio mi fa stare pensosa,
ca di servire a Cristo mi distorna:
non saccio a cui mi vol dar per isposa”.
Vorrei lasciare consacrarmi al servizio di Dio, e staccarmi da ogni vana cura, poiché vedo aumentare la follia, la villania, la falsità; vedo morire la saggezza, nobiltà e bontà: per cui io no vorrei prendere un marito per mio signore, e se dipendesse da me, vorrei non stare al mondo. Ricordando che ogni uomo si ammanta di male azioni, li disprezzo tutti con ogni forza, e anelo di ritornare a Dio. Mio padre mi fa restare addolorata, poiché tenta di distogliermi dal servire Cristo; non so a chi mi voglia maritare.
Il sonetto è motivato dalla religiosità e dall’amore, triste come nel primo sonetto.
È il lamento d'una donna, costretta a ubbidire e a subire, che si rivolge a Dio.
Terzo sonetto:
“Ornato di gran pregio e di valenza
e risplendente di loda adornata,
forte mi pregio piú, poi v’è in plagenza
d’avermi in vostro core rimembrata
ed invitate a mia poca possenza
per acontarvi, s’eo sono insegnata,
come voi dite, c’agio gran sapienza,
ma certo non ne sono amantata.
Amantata non son como voria
di gran vertute né di placimento;
ma, qual ch’i’ sia, agio buono volere
di servire con buona cortesia
a ciascun ch’ama sanza fallimento:
ché d’Amor sono e vogliolo ubidire”.
I filologi ipotizzano che l'uomo amato sia un chierico, Maestro Rinuccino, oppure un cavaliere, Chiaro Davanzati. E, proprio a Chiaro, la poetessa risponde con quest’ultimo sonetto.
Lo scambio di apprezzamenti e cortesie, permette a Compiuta Donzella di riconoscersi come donna che può avere la realizzazione di sé soltanto nel servizio dell'Amore, l’unico degno d’essere obbedito.
segue
Ultima modifica di doxa; 09-11-2025 alle 23:41
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