Dopo almeno un mezzo secolo in cui è stato solo accordato, disfo l'antico pianoforte di casa (risale al 1916) per una sessione di grandi pulizie.
Eccolo svuotato di tasti e meccaniche:


Togli la meccanica, smonta 88 tasti, cambia 88 fetrini, rimonta 88 tasti; smonta gli smorzatori della meccanica e ripulisci il tutto dai rotolini polverosi di feltro, che in casa mia si chiamano anche "gatti" chissà perché, rimonta gli smorzatori...
La meccanica celeste del pianoforte:


e i suddetti "gatti" di polvere e feltro che vi si annidano...


Sfortunatamente - a proposito di gatti - godo dell'assolutamente non richiesto aiuto da parte di Pastrocchio, che cerca di darsi da fare intralciandomi nelle operazioni.




Ma fortunatamente, visto che non riesce ad afferrare il cacciavite per darmi una mano, dopo un po' si è messo a dormire.

Il lungo lavoro ripetitivo mi fa riflettere sul fatto che ormai da cinquant'anni il pianoforte "da salotto" si può considerare un residuo ottocentesco, una delle buone cose diventate di pessimo gusto al volgere del millennio, come l'antiquariato e i quadri del '600 che non sono di Caravaggio.
Così mi prende un po' di malinconia, o perchè è uno di quei quei giorni che ti prende la malinconia o per il pensiero del tempo crudele che impolvera le nostre vecchie cose che pur abbiamo tanto amato e le fa diventare di pessimo gusto.
E mi ritorna in mente il dettagliato elenco delle "buone cose di pessimo gusto" che Guido Gozzano - ma chi se lo ricorda più? - fece un secolo fa riferendosi al 1850 (in "L'amica di Nonna Speranza") e voglio provare a vedere, di quell'elenco, quante cose già di pessimo gusto un secolo fa ho ancora in casa, sopra i mobili o appese alle pareti.

Madamina, il catalogo (di Gozzano) è questo:

Loreto impagliato e il busto d’Alfieri, di Napoleone,
i fiori in cornice, (le buone cose di pessimo gusto!)

il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,

un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve,
gli oggetti col mònito, salve, ricordo, le noci di cocco,

Venezia ritratta a musaici, gli acquerelli un po’ scialbi,
le stampe, i cofani, gli albi dipinti d’anemoni arcaici,

le tele di Massimo d’Azeglio, le miniature,
i dagherottipi: figure sognanti in perplessità,

il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone
e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,

il cùcu dell’ore che canta, le sedie parate a damasco
chermisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!


A, seguire - finché il mio cuore ce la fa - metterò le foto di quelle di questo elenco che mi ritrovo in casa, e pure in bella mostra.
Sono tante, troppe, son già mille e tre: e anche se per lo più ereditate, la cosa che più mi desta malinconia è che alla faccia del pessimo gusto a me non dispiacciono poi del tutto, sarà perché sono invecchiato con loro o perché ogni scarrafone è bell’ ‘a mamma soja...