Leggendo il dsm iv manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, mi è venuto da riflettere come la definizione di malattia mentale dipenda e sia distorta dalla cultura di riferimento, dai valori e deformazioni professionali di cui è portatrice la classe medico-psichiatrica, e venga inficiata nel suo significato anche nel modo e nelle parole con cui viene intesa dal pubblico.
Certo, certe malattie esistono, sono plateali e corrispondono a sintomi ben precisi che vengono a presentarsi insieme e contemporaneamente; ma che il singolo sintomo sia considerabile "malattia" è ben difficile stabilirlo, soprattutto se non provoca problemi soggettivi in chi ne soffre, tralaltro inducibili nel malato per via, diciamo, sociale
Infatti, sempre secondo me, sia 1:la consapevolezza della malattia (mi comporto in modo diverso dagli altri---->mi faccio "i complessi"------> ho un certo problema) sia 2: la guarigione (ho parlato col medico/ mi ha fatto sentire meglio/ mi ha dato il farmaco x e mi sento guarito) penso che potrebbero a volte essere frutto di suggestione.
Per esempio, ho avuto un pensiero: se un gruppo di persone culturalmente eterogeneo e che non si conosce fra loro comincia a tingersi di rosso e contemporaneamente ad uscire la notte nei boschi, entrambe cose che non fa la maggioranza della gente, è facile pensare ad un disturbo mentale qualificabile come "malattia";
Ma se un gruppo di persone si tinge solo di rosso, o esce solo la notte nei boschi, com'è che il singolo sintomo può essere definito malattia? Come può il giudizio conformistico e culturale (o professionale, nel caso della classe medica) non essere coinvolto?
Inutile in tal caso affermare che esistono "ben precisi parametri" di identificazione, come ad esempio si dice malato uno se ha tale comportamento da sei mesi ecc ecc..., questi parametri non cambiano il problema di fondo, cioè se il comportamento debba essere una devianza considerabile malattia.
Anche nei campi medici che non riguardano la mente, non è che ogni deviazione dalla moda statistica viene considerata "malattia", e quindi da curare. Solo alcune.
C'è un limite tra scostamento dalla norma e malattia da curare e rimuovere.
Quale è questo limite in Psicologia?
La domanda è ancora più rilevante in quanto una persona malata di mente, al contrario di altri malati, non ha valenza sociale, non è ascoltata, non può difendere i propri diritti o, nei casi meno gravi, quello che dice è comunque ascoltato dalle altre persone con un forte pregiudizio.
Quale è il potere della psichiatria, non a livello economico-farmaceutico (che è ovvio e straparlato), ma a livello di condizionamento culturale della società?
Perché alcune psicoterapie, come quella cognitivo comportamentale e in misura ancor maggiore la meno usata ma più evocativa psicanalisi sono criticate da autorevoli fonti?
Come si può stabilire che in certi casi il medico che guarisce non si sia semplicemente sostituito al vecchio parroco o farmacista dei tempi andati, che facevano stare meglio le persone per il loro potere suggestivo?