Lo scrittore Catozzella: "Chi odia i migranti è perché ci ritrova se stesso"
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Quali sono oggi gli ostacoli culturali principali per l’integrazione?
Lo straniero, ad un popolo come noi italiani, attiva una reazione molto intima e che vogliamo rimuovere: un senso di vergogna. Vergogna perché, data la nostra storia rurale di miseria e di immigrazione, lo straniero ci porta necessariamente a riconoscerci in lui. Di fronte allo straniero penso: questo sono io. Perché se non sono migrati i nostri genitori, i nostri nonni o i nostri bisnonni, magari siamo migrati noi, o i nostri figli. Tutto ciò, unito ad un presente di povertà, genera quel senso di odio collettivo di cui parlavo anche prima. Tutto questo impedisce una risposta razionale al più grande fenomeno del nostro tempo, che è quello delle migrazioni. Che pure conosciamo molto bene perché ha visto e vede protagonisti gli italiani per primi.
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Ha scritto che l’Italia oggi è “un Paese dalla mentalità asfittica”. Che cosa intende? E siamo sempre stati così o lo siamo diventati? E se lo siamo diventati, quando è avvenuto, come, perché?
Lo siamo sempre stati, fin dall'Unità, credo. Siamo un paese contadino e segnato dalla miseria che non ha conosciuto la "rivoluzione" borghese o liberale, al contrario dei grandi Stati nazionali europei, cioè non è mai stato in grado di costruirsi una identità culturale e collettiva, e un disegno del futuro slegato dalla materia, dalla terra, dal bisogno. Abbiamo conosciuto un benessere economico per pochi decenni, dalla fine del secondo dopoguerra fino a una decina di anni fa. Ma in mancanza di strutture culturali diffuse, di un senso collettivo di nazione e partecipazione e di uno slancio culturale verso il futuro, non abbiamo potuto che interpretare e utilizzare quel breve benessere in chiave privata, familistica, materialistica. L'italiano ha imparato che il tertium non esiste, che la Giustizia non esiste, che per sopravvivere occorre "fottere" il prossimo e lo Stato, perché lo fanno tutti, Stato incluso. Che non vige la certezza della pena ma l'unica certezza che più gravi per la collettività saranno i reati e meno verranno puniti.
Da questo non può che risultare un paese asfittico, senza aria, senza visione, senza speranza e, di fatto, senza futuro, visto che anche l'emigrazione non si è mai fermata e anzi è aumentata negli ultimi anni (ricordo infatti che lo scorso anno 180.000 ragazzi italiani hanno lasciato l'Italia per trovare un lavoro degno di loro). Domina una visione chiusa, gretta, aridamente materialistica, utilitaristica all'eccesso: la guerra di tutti contro tutti, dei poveri contro i poveri.
Oggi il “senso comune” in Italia non è certo aperto nei confronti dell’accoglienza e dei migranti. Non era così, fino a pochi anni fa. Di chi sono le maggiori responsabilità?
Non era così forse finché a ricevere migranti o stranieri erano principalmente i Paesi che hanno conosciuto la rivoluzione degli Stati nazione, i Paesi ricchi quindi: Francia, Inghilterra, Germania, USA su tutti. Fino a pochissimi anni fa gli emigranti veri eravamo noi italiani, e come ricordavo prima stiamo tornando ad esserlo. In Australia siamo i "wog", in America i "wop", termini più che dispregiativi. Adesso che a ricevere stranieri siamo anche noi, non siamo preparati. Non siamo pronti culturalmente. E non lo siamo nemmeno economicamente. Non abbiamo una visione del futuro per noi, figurarsi per i nuovi arrivati.
Questo genera un sentimento presente e vivo nelle fasce meno avvantaggiate della popolazione, ovvero la grande maggioranza. Se questi sentimenti privati, intimi, di insicurezza e invasione vengono poi alimentati ad arte da chi detiene il megafono, ovvero politica e media, che usano slogan per atterrare spettatori o clic, allora accade che un sentimento di vergognoso rancore privato ottenga un riconoscimento pubblico, e questo è molto pericoloso. La vergogna privata facilmente si trasforma in appartenenza, in orgoglio. E da lì in diritti negati, in un nazionalismo negativo, privo di un vero disegno culturale costruttivo. E poi in odio. Odio sociale, collettivo.
Questo “senso comune” impaurito e quindi xenofobo si può ribaltare secondo lei? E come? Quali sono le caratteristiche e i perimetri di questa battaglia culturale?
È difficilissimo. Se la battaglia è culturale, come lo è, allora è già quasi persa in partenza. Stiamo parlando di un Paese, il nostro, dove pochissimi leggono (1 su 10), e dove molti, moltissimi sono ancora analfabeti o analfabeti funzionali. Le battaglie culturali da noi non funzionano, perché il senso comune italiano è pre-culturale o addirittura anti-culturale. Questo non significa che bisogna arrendersi, certo. Significa solo che è molto difficile. Occorre più di tutto una grande politica indirizzata alla Scuola. Lì si gioca ogni cosa. Copiamo la Francia se non abbiamo idee. Ma quei soldi che ci sono vanno messi nella Scuola e nei libri.
http://espresso.repubblica.it/attual...?ref=HEF_RULLO